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Antonio Gramsci e l’educazione Spunti e riflessioni

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Antonio Gramsci e l’educazione

Spunti e riflessioni

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ANTONIO GRAMSCI (ALES 1891 – ROMA 1937)

Nasce ad Ales, in provincia di Oristano, nel 1891, in una famiglia del piccolo ceto impiegatizio, originaria dell’Albania.

Compie gli studi liceali a Cagliari. Grazie ad una borsa di studio nel 1911 si trasferisce a Torino, dove si iscrive alla facoltà di lettere. Torino, era anche un centro del movimento operaio, dove conobbe compagni della sua futura vita politica, tra cui Palmiro Togliatti.

Per concentrarsi sulla vita politica lascia l’università; nel 1914 aderì al Partito socialista e avvia l’esperienza dei “consigli di fabbrica”.

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Nel 1917 insurrezione degli operai di Torino contro la guerra; gli venne affidata la direzione del partito socialista, poi l’esempio della Rivoluzione d’ottobre che egli giudicherà non proprio coerente con i principi marxisti ortodossi, lo spinse a prendere posizione nell’ala più rivoluzionaria del partito.

Nel 1919 Gramsci, con Palmiro Togliatti, dà vita al giornale “Ordine nuovo” che, nato come quotidiano, diventerà, poi, settimanale e, infine, quindicinale.

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Nei suoi articoli afferma che il consiglio di fabbrica deve essere eletto da tutti i lavoratori, indipendentemente dalla loro collocazione politica, così che essi assumano la funzione dirigente che spetta loro in quanto “produttori”.

Tramite la rivista promuove l’idea di individuare, nelle fabbriche, dei nuclei di democrazia operaia diretta e dei nuclei di futuri organi del potere proletario. Nasce, così, una nuova corrente politica che, nel 1921, dà vita al Partito comunista d’Italia, come scissione del Partito socialista.

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Dal 1922 al 1924, partecipa, a Mosca e a Vienna, all’Internazionale comunista, in occasione della quale conosce Lenin e la donna che sposerà, Giulia Schucht, violinista, dalla quale avrà due figli: Delio e Giuliano.

Durante la sua permanenza in Russia approfondisce le conoscenze del leninismo e osserva gli sviluppi della dittatura del proletariato. Il rientro in Italia avviene nel 1924.

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Intanto in Italia, gli oppositori della dittatura fascista vengono incarcerati o uccisi, come G. Matteotti (nel 1925).

Gramsci, nel novembre del 1926, viene arrestato dalla polizia fascista con l’accusa è di essere “il cervello del comunismo italiano”.

Un tribunale speciale del regime di Benito Mussolini, nel 1928, lo condanna a circa vent’anni di reclusione, da scontare nel carcere di Turi, in provincia di Bari.

Durante la prigionia, in particolare tra gli anni 1931 e 1934, scrive la sua opera più importante: “I quaderni dal carcere”, poi si ammala gravemente e viene portato in una clinica a Formia, nei pressi di Roma. Non riuscì a godere del beneficio dello sconto di pena, perché nel 1937 morì nella clinica di Quisisana di Roma, dove era stato trasferito nel 1935.

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Gramsci avvertì profondamente il nesso pedagogia-politica, il problema del rapporto

tra intellettuali e produttori, tra cultura e lavoro.

Perché…

…se l’uomo si concepisce come l’insieme “dei rapporti sociali”, il senso del suo essere è imprescindibile dai rapporti con il mondo

esterno.

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Le sue pagine “pedagogiche” (articoli, lettere, note dei quaderni) mostrano la problematicità del suo

pensiero, e ci offrono UN’ALTERNATIVA PEDAGOGICA…

…Il suo ragionamento pedagogico concilia termini antitetici:

spontaneità e disciplina, sincerità e conformismo, originalità e

consapevolezza…

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ALLE ORIGINI DEL SUO PENSIERO…

Gramsci, negli anni giovanili partecipò ad una sorta di “socialismo idealista”: ma mostrò insoddisfazione sia verso l’idealismo sia verso il socialismo.

Inizialmente aderì al movimento intellettuale e morale promosso da Benedetto Croce…

…ma l’idealismo crociano fu da lui considerato come l’occasione per uscire dalla provincia e assumere una posizione moderna e una collocazione nazionale.

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All’idealismo rimproverava una cultura incapace di proporsi per la formazione di uomini nuovi.

Un excursus sull’idealismoAll’inizio del XX secolo, in Italia

l’idealismo era molto diffuso, come reazione verso il positivismo, a partire dalla rivista “La Critica”, fondata nel 1903 da Croce in collaborazione con Gentile.

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Alla base dell’idealismo, c’era la filosofia di Georg Friedrich Hegel (1770-1831), che spiegava la storia attraverso il “metodo dialettico” o, semplicemente, o “dialettica”.

Lo spirito, inteso in senso hegeliano, è libertà, sviluppo, autocoscienza.

La realtà si interpretava attraverso la tesi, l’antitesi e la sintesi.

Ad esempio, dal conflitto tra due nazioni, tesi e antitesi, nasce una nuova civiltà (=sintesi), che è superiore alle altre due, perché mette insieme gli aspetti più validi dell’una e dell’altra nazione. Questa nuova civiltà, poi, diventa, a sua volta, tesi, che svilupperà un’antitesi, e così via, fino all’infinito.

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In questo processo infinito lo Spirito giunge alla perfezione e i conflitti che sorgono per obiettivi concreti, in realtà, permettono a una Ragione superiore di agire. Gli uomini, quindi, non sono altro che gli strumenti di questa Ragione superiore.

Principio costitutivo dell’idealismo era l’identità tra pensiero ed essere.

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Lo stesso Gentile fu autore di opere quali:

Riforma della dialettica hegeliana (1913); nel 1916 Teoria generale dello spirito come atto puro = Lo spirito è atto che pone il suo oggetto in più oggetti ma la loro molteplicità è risolta nell’unità dello stesso soggetto.

Gentile voleva rivedere determinati aspetti della speculazione filosofica di Hegel, che ad esempio, aveva separato la Logica e la Filosofia della Natura dalla Filosofia dello Spirito.

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I RIFLESSI DELL’IDEALISMO SULL’EDUCAZIONE

Gentile scrisse un’opera intitolata Sommario di pedagogia generale come scienza filosofica (1912); La pedagogia per avere un carattere scientifico deve utilizzare i risultati della filosofia, così si sosteneva una critica serrata al tecnicismo didattico.

Nel 1923, la Riforma Gentile “vedeva la separazione tra

cultura e lavoro, tra l’istruzione classica e l’istruzione professionale”

(F. Ravaglioli, Profili delle moderne teorie dell’educazione, Armando, Roma, 1999, p. 19).

Per i marxisti si trattava di una riforma classista, anche

perché dettata dalla necessità di sfoltire la scuola secondaria e l’università.

Dunque, la SELEZIONE a scapito della SOCIALIZZAZIONE.

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E IL SOCIALISMO?

L’altra origine del pensiero di Gramsci, era il socialismo, da lui però considerato culturalmente arretrato; gli rimproverava di elargire cultura in briciole alle masse o addirittura di respingerla.

Gramsci fece una critica serrata al socialismo di stampo positivistico. Il determinismo di origine evoluzionista rischiava di inibire la spinta rivoluzionaria, così attinse anche dall’idealismo.

A differenza di quel che pensavano i positivisti/socialisti, anche il proletariato aveva bisogno di una scuola umanistica, disinteressata e formativa (infatti, durante il suo periodo giovanile considerava il latino il vaglio delle capacità intellettuali e morali).

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Nei Quaderni dal carcere, tuttavia, riconosce un nuovo tipo di intellettuale, il TECNICO, che aveva bisogno di una professionalità non manuale ma integrata nel mondo della scienza, perciò la divisione tra scuola umanistica e scuola professionale diventava insufficiente.

Ecco allora che gli si rivelò utile l’esperienza marxista e quella sovietica (che gli suggerì la proposta dell’unificazione del grado elementare, ginnasiale e liceale fino all’università, quando poteva iniziare la specializzazione professionale).

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“Nel XIX secolo lo sviluppo industriale entrava nella fase acuta, soprattutto in Inghilterra. Le trasformazioni sociali diventavano imponenti” (Ivi, p. 23)

Marx, che studiò il fenomeno del capitalismo, seguiva la dialettica hegeliana, ma la criticava perché per lui non riusciva a conciliarsi con la pratica, perché troppo incentrata sulla coincidenza tra reale e ideale.

Marx ed Engels proponevano il MATERIALISMO STORICO: “La classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante”.

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Gramsci così innestò il pensiero di Karl Marx (1818-1883) nella tradizione italiana, sia per dare concrete soluzioni ai problemi politici, sociali ed economici delle nazioni alle prese con la rivoluzione industriale, sia per indicare una via italiana al socialismo.

È opportuno dunque prendere in considerazione il pensiero di Marx.

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Marx, da un lato, accetta la dialettica hegeliana, dall’altro, invece, la critica.

La storia, secondo Marx, non è guidata da una Ragione superiore, così come credeva Hegel, ma dagli uomini, e il suo progresso nasce dall’opposizione tra le classi sociali formate da uomini che trasformano la natura, per soddisfare i propri bisogni.

Le forze motrici della storia perciò sono economiche, la base della società è costituita dalle condizioni materiali e dunque di natura economica = STRUTTURA e su di esse nasce l’insieme delle istituzioni giuridico-politiche, morali, religiose e filosofiche, della società stessa = SOVRASTRUTTURA.

Marx, dunque, applicò la dialettica hegeliana alla storia.

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Secondo il materialismo storico:

1 – I BISOGNI MATERIALI E LA REALTÀ SOCIALE = come il FENOMENO PRIMARIO;

2 – LA COSCIENZA E I PRODOTTI CULTURALI SONO DELLE DERIVAZIONI.

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Nel sistema capitalistico, secondo Marx, si produceva un’enorme quantità di merci (feticismo delle merci), prodotta dal lavoratore salariato.

Il plusvalore, prodotto dal lavoratore, che viene retribuito meno di quanto vale il suo prodotto, determina, così, un aumento di ricchezza nelle mani del capitalista, che diventa sempre più ricco.

Tra le due classi (quella dei padroni e quella dei lavoratori), pertanto, si sviluppano tensione e odio, che porteranno alla rivoluzione, quindi al processo con cui il proletariato s’impossesserà del potere politico (= dittatura del proletariato), per passare dalla vecchia alla nuova società.

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Quale sarà la sintesi? La sintesi per Marx sarà il comunismo, cioè una società senza classi, in cui: non si avrà più lo sfruttamento dei lavoratori e gli individui saranno uguali, non solo sul piano politico sul piano politico ma anche su quello economico.

Marx, pertanto, considera l’uomo, essenzialmente, come praxis, cioè come azione volta ad abbattere tutto ciò che lo rende un oppresso e, quindi, a trasformare il mondo.

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Al 1848 risale il “Manifesto del partito comunista”, che trattava:

- delle contraddizioni tra le forze di produzione e i rapporti di produzione cristallizzati nella proprietà privata;

- la ricchezza della borghesia, che provocava la povertà del proletariato.

Da questa situazione derivava l’ALIENAZIONE DELL’UOMO CONTEMPORANEO, mentre con ESTRANIAZONE si intendeva l’alienazione storica, ovvero l’allontanamento del singolo dalla società civile.

Di contro a ciò si proponeva invece: - La cooperazione - Il possesso collettivo della terra e dei mezzi di produzione

prodotti dal lavoratore stesso.

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Anche per Marx come per Hegel il lavoro formava ed educava la coscienza, ma il carattere alienante dell’organizzazione capitalistica del lavoro provocava la perdita dell’essenza educativa del lavoro stesso.

I RIFLESSI DEL MARXISMO SULL’EDUCAZIONE

L’istruzione professionale era necessaria per eliminare l’alienazione del lavoro e si avvertiva l’esigenza di un collegamento della tecnica con la cultura generale.

Marx proponeva il modello della scuola sovietica: Scuola unica del lavoro del 1918, più che addestramento

professionale si affermava una ISTRUZIONE POLITECNICA, e la cultura marxista per la socializzazione della scuola.

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GRAMSCI E IL MARXISMO

Anche per Gramsci la capacità di capire la realtà doveva avvenire utilizzando la dialettica.

La società si struttura in classi, in lotta tra loro. È necessario, dunque, che una di esse, per la sua superiorità morale e intellettuale, diventi la classe dirigente (= egemonia), cioè la guida che plasma l’intera società, in grado di risolverne i problemi concreti, dato che la borghesia ha fallito in questo compito.

Questa classe dirigente deve distinguersi e conquistare “autocoscienza critica”, configurarsi quindi, come forza che si pone come classe “dirigente”, portatrice e promotrice della propria ideologia. Una classe diventa dirigente quando ottiene il consenso delle classi subalterne, fondando così il “blocco storico”, cioè un sistema articolato di alleanze sociali legate ad una ideologia comune.

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Gramsci, pertanto, credeva NELL’EMANCIPAZIONE DEL PROLETARIATO, che doveva avvenire attraverso

l’azione di un gruppo rivoluzionario e mediante la lotta di classe, il cui obiettivo non è tanto la

dittatura del proletariato (come nel pensiero di Marx), quanto, piuttosto, la creazione del blocco

storico.

Il gruppo che ha guidato la rivoluzione, tuttavia, affinché possa diventare classe dirigente, deve lavorare alla creazione del consenso di cui ha bisogno.

Per questo il pensiero di Gramsci, oltre ad avere una rilevanza sul piano filosofico, è denso di implicazioni pedagogiche.

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Gramsci lesse alcuni testi di Lenin, soprattutto quelli incentrati sul rapporto tra Stato, rivoluzione e soggettività e che portò alla frattura tra socialisti e comunisti (la rottura avvenne tra la II e la III internazionale).

Mentre per i socialisti le contraddizioni del capitalismo si ribalteranno spontaneamente nel socialismo, per i comunisti era necessaria la rivoluzione proletaria.

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Filosofia della praxis

…è il nome che Gramsci (prendendo l’espressione da A. Labriola) diede al suo originale marxismo, una sorta di MATERIALISMO STORICO che investiva tutto l’uomo…

…tuttavia, possiamo individuare delle differenze tra il materialismo di Marx e quello di Gramsci…

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Marx, infatti, considera la praxis, esclusivamente, in relazione ai problemi di natura economica e produttiva (ciò che Marx stesso chiama “struttura”).

Gramsci, invece, interpreta la praxis in maniera più globale, rifacendosi anche alle istituzioni e alla cultura (cioè anche alla “sovrastruttura”). Così, se per Marx, la praxis è, principalmente, la lotta di classe, per Gramsci, invece, è l’egemonia della classe DEL PROLETARIATO…

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Infatti, Gramsci considerava la debolezza del proletariato italiano la causa del

fascismo e nello stesso tempo, era un anti-crociano perché…

…gli intellettuali tradizionali concepivano se stessi come autonomi rispetto alla

classe sociale dominante.

Per questo, negli anni della prima guerra mondiale prese posizioni sul modo di considerare e organizzare la scuola.

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IL PENSIERO DI GRAMSCI SULL’EDUCAZIONE

Gramsci considerava la scuola classica una scuola ideale, poiché formativa.

Il suo giudizio era severo contro la scuola professionale che si limitava ad educare “dei mezzi uomini” limitati ad una sola attività.

Anche il socialismo, tuttavia, non aveva saputo interrogarsi sul principio culturale dell’istruzione, non aveva saputo creare una scuola disinteressata e valida per tutti.

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L’accusa era rivolta anche alle università popolari che diffondevano nozioni senza

riuscire a cambiare le condizioni delle masse.

Il popolo, da solo, è incapace di elaborare in modo coerente la propria concezione del mondo. La PEDAGOGIA POPOLARE era un

modo di pensare “disgregato e occasionale”, privo di consapevolezza critica… da qui IL

RUOLO DEGLI INTELLETTUALI, che dovevano guidare il senso comune verso una direzione

consapevole.

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CONTROLO L’INADEGUATEZZA DELLE STRUTTURE EDUCATIVE ESISTENTI,

Gramsci RICERVACA ALTRE VIE: circoli, club, direttamente collegati alle

associazioni politiche della classe operaia: i sindacati e i partiti.

 Con la Rivoluzione russa queste nuove vie

andarono a configurarsi sui modelli sovietici. Nella RICERCA DI UN

PRINCIPIO EDUCATIVO NUOVO, una nuova organizzazione che partiva “dal

basso”.

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Fu proprio la riflessione sul PRINCIPIO EDUCATIVO che lo spingerà dal socialismo idealista al comunismo

leninista.

Necessità di concepire la cultura come coscienza di classe del proletariato, respingere lo studio oggettivo

e disinteressato per legarlo ai fini del proletariato. Questa tesi lo fece uscire dai confini nazionali, così

come la cellula produttiva che è l’operaio è destinato a collegare fabbriche, città nazioni.

In tal senso l’ordine della vita produttiva viene trasferito anche nella vita culturale: l’esperienza

proletaria è il punto d’arrivo del percorso giovanile gramsciano.

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 Infatti, l’esperienza giovanile del consiglio di fabbrica

= PEDAGOGIA DI FABBRICA = L’educazione diventa un dispositivo che incarna la materialità

dei sistemi di produzione.

L’operaio deve diventare un intellettuale organico…

Educarsi in fabbrica significa allora costituirsi come soggetto cosciente per la produzione, mettere in atto

una pratica di costituzione di una soggettività antagonista operaia che sia abbastanza forte da realizzare con successo ‘l’espropriazione degli

espropriatori’”.

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DALLE LETTERE AI QUADERNI

Negli anni del carcere riprenderà la riflessione su questi temi, senza alcuna possibilità di lotta politica diretta, e senza poter conoscere il suo secondo figlio e i suoi nipoti, figli delle sue sorelle in Sardegna.

Nelle lettere dal carcere i temi vengono affrontati in maniera molecolare e si riproporranno nelle note ai primi quaderni (soprattutto nel primo e nel quarto) dove acquisiscono una dimensione universale (tuttavia, tra le lettere e i quaderni ci fu un continuo interscambio).

Le lettere ai familiari, come quella del 1929 alla moglie

Giulia sull’educazione dei figli, costituiranno dunque uno stimolo di riflessione sui rapporti educativi che poi verranno estesi anche a quelli politici…

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L’8 FEBBRAIO 1929 Gramsci ottenne la possibilità di tenere dei quaderni su cui prendere nota, nei quali tracciò innanzitutto il piano di lavoro che doveva riguardare 16 questioni fondamentali… che nella lettera del 1929 alla cognata, furono sintetizzati in tre punti:

LA STORIA ITALIANA con particolare riferimento agli intellettuali;

AMERICANISMO E FORDISMO;

TEORIA E STORIA DELLA STORIOGRAFIA.

(Nel piano del 1932, tratterà della scuola unica).

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I Quaderni dal carcere sono degli appunti, delle note, a cui si aggiungono delle scritture disomogenee, delle liste promemoria, un elenco dei volumi da chiedere, lettere non spedite, prove di traduzione ecc. che si aggirano intorno al tema della storia e degli intellettuali.

I Quaderni costituiscono dunque un testo piuttosto dinamico che accompagna il pensiero nel corso del suo farsi e che costituì anche un importante strumento di lotta contro il fascismo.

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L’interesse per la storia ha ragioni politiche…

“Forse oggi questi interessi diventano più vasti con la filosofia della prassi, in quanto ci convinciamo che solo la conoscenza di tutto un processo storico ci può render conto del presente e dare una certa verosimiglianza che le nostre previsioni politiche siano concrete”. (Ivi, p. 242).

La filosofia della prassi, inoltre, non esclude la storia etico-politica ma non la riduce a questa (cioè i fatti culturali assumono importanza storica oltre a quelli esclusivamente economici e politici).

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Quindi, nel 1929 Gramsci redige la prima pagina di un nuovo piano di lavoro e riempie di note i suoi primi novi quaderni…

…poi mentre la sua salute peggiora (avrà una prima crisi nel 1931 e un crollo nel 1933) rielaborò in maniera più sistematica le prime note arrivando a completare altri 20 quaderni (più quattro traduzioni) che porterà con sé nel 1935, quando uscirà per recarsi in una clinica a Formia, dove scriverà l’ultimo quaderno…

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Tra i vari punti, del primo piano di lavoro, affrontò la questione DEL RAPPORTO EDUCATIVO, tra educatore ed educando (che poi verrà esteso a quello tra intellettuali e masse) tra spontaneismo e coercizione/conformismo; rapporto tra scuola e società, tra istruzione e lavoro; il rapporto tra storia e storiografia…

Già nelle lettere si era dichiarato contro lo spontaneismo rousseauiano perché l’uomo non è natura bensì “tutta una formazione storica ottenuta con la coercizione”.

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“La natura dell’uomo è l’insieme dei rapporti sociali che determina una coscienza storicamente definita; questa coscienza solo può indicare ciò che è ‘naturale’ o ‘contro natura’.

Inoltre: l’insieme dei rapporti sociali è contraddittorio in ogni momento e in continuo svolgimento, sicché la natura dell’uomo non è qualcosa di omogeneo per tutti gli uomini e in tutti i tempi”.

(A. Gramsci, L’alternativa pedagogica, cit. p. 161)

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Il RAPPORTO PEDAGOGICO “esiste in tutta la società nel suo complesso […] Ogni rapporto di ‘egemonia’ è necessariamente un rapporto pedagogico e si verifica non solo all’interno di una nazione, tra le diverse forze che la compongono, ma nell’intero campo internazionale e mondiale, tra complessi di civiltà nazionali e continentali” (Ivi, p. 4).

EGEMONIA = gli intellettuali sono lo strumento della supremazia che in ogni società la classe dominante esercita su quelle subalterne.

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“L’egemonia è la modalità con la quale il maestro (in senso vasto educatore, maggiore, legislatore, politico) guida l’alunno a conquistare la faticosa sintesi fra la propria soggettività e l’oggettività superindividuale cosciente di cui è parte”

(C. Scurati, L. Caimi, Profili nell’educazione: ideali e modelli pedagogici nel pensiero contemporaneo, Vita e Pensiero, Milano, p. 145)

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“L’educazione è una lotta contro gli istinti legati alle funzioni biologiche elementari, una lotta contro la natura, per dominarla e creare l’uomo ‘attuale’ della sua epoca”.

(A. Gramsci, L’alternativa pedagogica, p. 130)

La questione che più interessa Gramsci è quella del rapporto tra gli intellettuali e il partito politico che lo porterà a riflettere sulla necessità della scuola di coordinarsi con la struttura culturale e produttiva della società.

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“L’intellettuale è una categoria organica che ogni classe si crea per elaborare una coscienza di sé e per imporla alle classi subalterne” (Ivi, p. 7)

Il partito politico è l’elaboratore della nuova figura di intellettuale, mescolato alla vita pratica che assurge alla tecnica e alla scienza.

Gli intellettuali, per Gramsci, non sono soltanto gli uomini di cultura, in quanto tali, ma anche coloro che lavorano nel settore produttivo e in quello politico-amministrativo. Essi, in modo particolare, non sono staccati dal popolo.

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L’intellettuale gramsciano, proprio per questa sua capacità ad aderire ai problemi concreti…

è chiamato “intellettuale organico” che agisce come un funzionario del partito, cioè da specialista si fa politico.

Inoltre, cura gli interessi comuni operando perché il popolo non abbia bisogno di altro se non del Partito.

Quindi l’intellettuale organico non è staccato dalla masse popolari, ma ne condivide i problemi. A differenza dell’intellettuale tradizionale che si opponeva alle masse popolari.

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Tutti gli uomini sono intellettuali: “Non c’è attività umana da cui si possa escludere ogni intervento intellettuale, non si può separare l’homo faber dall’homo sapiens”;

“ma lo stesso rapporto tra sforzo di elaborazione intellettuale-cerebrale e sforzo muscolare-nervoso non è sempre uguale, quindi si hanno diversi gradi di attività specifica intellettuale” (Ivi, p.12)

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“Il problema della creazione di un nuovo ceto intellettuale consiste pertanto nell’elaborare criticamente l’attività intellettuale che in ognuno esiste in un certo grado di sviluppo, modificando il suo rapporto con lo sforzo muscolare-nervoso” che deve diventare

…“il fondamento di una nuova integrale concezione del mondo”(Ivi, p. 13)

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La nuova qualità dell’intellettuale non sarà più l’eloquenza ma il mescolarsi alla vita pratica “dalla tecnica lavoro giunge alla tecnica scienza e alla concezione umanistica storica, senza la quale si rimane ‘specialista’ e non si diventa ‘dirigente’”. (Ibidem)

“Gli intellettuali sono i commessi del gruppo dominante per le funzioni subalterne dell’egemonia sociale” (consenso spontaneo delle masse) “e del governo politico” (dell’apparato di coercizione statale che assicura legalmente la disciplina)…

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Il partito politico, dunque, procura la saldatura tra intellettuali organici di un dato gruppo, quello dominante, e intellettuali tradizionali = il partito elabora i propri componenti fino a farli diventare intellettuali politici qualificati e dirigenti, organizzatori di tutte le attività inerenti una società integrale, civile e politica.

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Il partito ha una funzione direttiva, educativa, cioè intellettuale. Ci dev’essere una connessione sentimentale tra gli intellettuali e il popolo-nazione: gli intellettuali devono sentire le passioni elementari del popolo: solo così il rapporto può essere di rappresentanza, solo così si realizza la forza sociale del “blocco storico”.

Gli intellettuali sono gli attori del rapporto pedagogico-politico. Il partito è il “Nuovo Principe” ma che si pone il compito di eliminare la divisione tra governati e governanti, così da incorporare l’individuo nell’uomo collettivo.

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Il blocco storico si attua quando una classe sociale egemonizza una certa situazione e

riesce ad imporre la propria visione del mondo e i propri interessi COME VISIONE

UNIVERSALE DELL’INTERO CORPO SOCIALE.

Il partito comunista per Gramsci è il “moderno Principe”; così come in

Machiavelli, infatti, il principe è un individuo concreto (nel quale lo stato si rende visibile), anche nel comunismo, il partito è il soggetto nel quale si rende visibile la volontà collettiva

del gruppo rivoluzionario.

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Il partito rappresenta tutti gli interessi della classe lavoratrice, proponendosi come guida morale, ideale e politica. Il Principe inoltre prende il posto, nella coscienza umana, della divinità, dell’imperativo categorico, ovvero assume un valore etico.

Nel pensiero di Gramsci, dunque, il lavoro politico ha una valenza pedagogica perché produce una generale rivoluzione della mentalità per arrivare all’emancipazione sociale e politica, contro ogni forma di “alienazione”.

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Il compito di educare, dunque, spetta al partito, il quale si presenta come “educatore collettivo”, che nel suo sforzo pedagogico segue il criterio del conformismo, cioè dell’organizzazione della cultura, in modo tale da investire ogni cittadino, modellandolo sul progetto politico-culturale del partito stesso.

La cultura è centro di questa rivoluzione, che libera dal folklore, integra le classi. L’egemonia culturale si costruisce attraverso la scuola ed altre istituzioni.

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CONFORMISMO VS SPONTANEISMO?

Ma come far sì che questo conformismo sociale sia avvertito come libertà? Questo elemento di spontaneismo doveva essere educato, per essere frutto della spontaneità e della direzione consapevole.

Lo Stato va concepito come educatore, opera sulle forze economiche ma non deve abbandonare a se stessi i fatti che riguardano la sovrastruttura.

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La disciplina non è da intendersi come accettazione passiva di un ordine, ma come una consapevole e lucida assimilazione della direttiva da realizzare.

“La disciplina pertanto non annulla la personalità e la libertà”…

…se l’origine del potere che ordina la disciplina è democratica la disciplina è un elemento fondamentale di ordine democratico, di libertà.

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La lotta è contro un determinato individualismo, e precisamente contro l’individualismo economico… lottare per distruggere il conformismo autoritario e sviluppando l’individualità e la personalità critica giungere all’uomo collettivo.

La disciplina dunque è da intendersi come CONFORMISMO DINAMICO, RAZIONALE O SOCIALE… si tratta di un conformismo proposto, voluto e accettato liberamente e responsabilmente.

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“La tendenza al conformismo contemporaneo è più estesa e più profonda che nel passato: la standardizzazione del modi di pensare e di operare […] grandi fabbriche, taylorizzazione, ecc. Ma nel passato esisteva l’uomo collettivo?”

“Lo sviluppo delle forze economiche sulle nuove basi e l’instaurazione progressiva della nuova struttura saneranno le contraddizioni che non possono mancare e avendo creato un nuovo ‘conformismo’ dal basso, permetteranno nuove possibilità di autodisciplina, cioè di libertà anche individuale” (A. Gramsci, L’alternativa pedagogica, cit.)

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Gramsci criticò J. J. Rousseau (1712 - 1778) e il principio della natura libera e buona dell’uomo, proprio a proposito dello spontaneismo, invece l’uomo va educato, formato, istruito, abituato al sacrificio, al lavoro, in maniera graduale, con la disciplina, non solo esteriore, ma anche interiore.

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Questa educazione interiore porta all’autodisciplina anche intellettuale. Non c’è spazio, dunque, per lo spontaneismo, che Gramsci definisce come “teoria dello sgomitolamento”:

“Questo modo di concepire l’educazione come sgomitolamento di un filo preesistente ha avuto la sua importanza quando si contrapponeva alla scuola gesuitica […], ma oggi è altrettanto superato” (A. Gramsci, L’alternativa pedagogica, cit., p. 174).

Il rapporto educativo secondo Gramsci non consiste nel tirar fuori, socraticamente, ciò che già sarebbe insito nel bambino. Il soggetto, invece, va formato dall’esterno. Gramsci vede perciò nel fanciullo, valori storici e non solo valori naturali.

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LA SCUOLA

Gramsci si schierava contro il moltiplicarsi delle scuole professionali che tendevano a cristallizzare le differenze tradizionali e stratificazioni interne, poiché la tendenza democratica deve dare ad ogni cittadino la possibilità di diventare governante.

“La scuola è lo strumento per elaborare gli intellettuali di vario grado. […] Alla più raffinata specializzazione tecnico-culturale non può non corrispondere la maggiore estensione possibile della diffusione dell’istruzione primaria e la maggior sollecitudine per favorire i gradi intermedi al più gran numero” (Ivi, p. 14)

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Sostenne una critica accesa verso la riforma Gentile del 1923 che si era scagliata a favore di quelle divisioni: era una vecchia scuola, che concepiva la formazione manuale nella scuola elementare e faceva della scuola superiore una scuola prettamente votata all’educazione umanistica (che, beninteso, Gramsci aveva lodato negli anni giovanili).

Gramsci, invece, sosteneva il rifiuto del vecchio umanesimo per individuarne uno nuovo.

 

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  Il vecchio intellettuale era votato alla retorica, alla persuasione, quello nuovo è il tecnico votato alla produzione industriale, costruttore, organizzatore.

Significava ritrovare un’unità tra lavoro manuale e intellettuale. A tal proposito nel primo quaderno indica la necessità di un tipo di scuola “unica, intellettuale e manuale” ispirata alla cultura moderna che si poteva definire americana.

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Nel quarto quaderno, affermava la necessità di formare i produttori non solo attraverso la semplice scuola professionale-manuale, bensì tramite una scuola tecnica ma di cultura. La soluzione stava nel creare…

…una scuola unica di base, cioè non professionale ma tale da fornire la

capacità di operare sia manualmente che intellettualmente.

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…si trattava, cioè, una scuola integrale, un collegio scuola, con refettorio,

dormitori ecc. più breve dei corsi liceali per consentire ai ragazzi di terminare gli

studi verso i 15 e i 16 anni.

Questa sorta di attivismo portò con sé una dose inevitabile di conformismo, ma si tratterà di un dogmatismo dinamico

(diverso, come vedremo, dalla coercizione brutale di Ford e Taylor).

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Una “scuola unica iniziale di cultura generale, umanistica, formativa, che contemperi giustamente lo sviluppo della capacità di lavorare manualmente (tecnicamente, industrialmente) e lo sviluppo delle capacità del lavoro intellettuale. Da questo tipo di scuola unica […] si passerà a una delle scuole specializzate o al lavoro produttivo” (Ivi, p. 101).

Il Primo grado elementare della durata di 3-4 anni = insegnamento delle prime nozioni strumentali dell’istruzione, diritti e doveri (indirizzo dogmatico, conformismo dinamico);

Il resto del corso di studi non sarebbe dovuto durare più di sei anni. A quindici-sedici anni di età = fine scuola unitaria.

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Ai gradi successivi la scuola dovrà passare da scuola attiva a scuola creativa, ossia diretta verso l’autodisciplina intellettuale e l’autonomia morale.

La fase ultima doveva creare i valori fondamentali dell’umanesimo =autodisciplina intellettuale, autonomia morale, studio e apprendimento dei metodi creativi.

La scuola creativa era il coronamento di quella attiva, creativa nel senso di apprendimento spontaneo del discente.

 

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Dopo la scuola unitaria alle accademie aspettava il compito di preparare coloro che sarebbero passati al lavoro professionale = istituti specializzati in tutte le branche di ricerca e di lavoro scientifico.

Organizzazione scolastica e ricerca del principio educativo sono altamente legati. Sempre nel quarto quaderno Gramsci chiarirà cosa si intende per principio educativo.

PRINCIPIO EDUCATIVO = IL CONCETTO E IL FATTO DEL LAVORO (DELL’ATTIVITÀ TEORICO-PRATICA) come principio educativo immanente della scuola elementare.

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La scuola di base, uguale per tutti, era fondata su un nuovo modello educativo in cui si univano sia l’attività intellettuale, con la riscoperta delle fonti classiche, sia quella manuale attraverso il lavoro, così da stimolare l’allievo alla crescita verso un’etica del lavoro.

Una scuola, quindi, di cultura, non di tipo politecnico, ma che sia sempre lavoro, impegnata in una trasformazione della realtà.

Egli era sensibile e attento ad una pedagogia, che da Célestin Freinet (1896 - 1966) in poi si chiama “popolare”, volta all’emancipazione delle classi povere.

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Necessità di un’educazione che con Marx chiameremo tecnologica, teorica, pratica, e anche Gramsci sembrava recuperare i valori di quello storicismo che però era legato dell’umanesimo tradizionale: necessità di una formazione umanistico-storica e tecnologica insieme.

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Uniformare il motivo storicistico a quello tecnologico = storia della scienza e della tecnica.

Metodologicamente sosteneva la logica che si allontana da quella matematica per elaborare un GIUDIZIO STORICO E PSICOLOGICO.

Da Giovane universitario Gramsci era stato studioso di linguistica, ciò lo aveva portato ad esaltare la logica formale che si nutriva di grammatica e non di aritmetica.

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IL METODO

Il suo pensiero si origina da un’analisi quanto più obiettiva del reale “Poste queste ragioni, si presenta il problema…” = “IL METODO DEL POSTO CHE… “

Gramsci era in realtà un politico impegnato che voleva comprendere storicamente il reale e trovare soluzioni dalle contraddizioni che esso mostrava.

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LA SCUOLA E IL MODELLO SOVIETICO

La scuola unica è l’originale interpretazione dell’esperienza sovietica, “la scuola unica del lavoro” (che si era imposto di trattare nel piano di lavoro del 1932)…

…risentiva del modello propugnato da Lenin nell’opuscolo “Materiali per la revisione del programma di partito”, posto alla base dell’VIII Congresso del Partito comunista bolscevico nel 1919 e che sosteneva il valore politico dell’utopia.

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IL MODELLO SOVIETICO DELL’INDUSTRIALIZZAZIONE

In Unione Sovietica si era manifestato un certo interesse per il modello di vita americano e di un uomo capace di reintegrarsi nella produzione razionalizzata (A Ford e Taylor però Gramsci rimproverava di sviluppare nel lavoratore solo una parte macchinale)

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Tuttavia, Gramsci si pose il problema se il tipo di industria e di organizzazione del lavoro fordista, cioè, far subire agli operai-massa tutto un processo di trasformazione psico-fisico per adattarsi al nuovo modello di operaio, fosse un’esigenza razionale.

Dopo un’attenta riflessione, stabilì che il modello era razionale, ma per generalizzarsi richiedeva un processo lungo in cui sarebbe dovuto avvenire un mutamento delle condizioni sociali, morali e materiali…

…e quindi non solamente con la coercizione ma con l’autodisciplina, individuando in questo sistema un miglioramento del tenore di vita dell’operaio.

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L’americanismo gli appariva pieno di contraddizioni proprio perché governato da una forza sociale ‘altra’ rispetto al proletariato, ma poteva proprio per questo essere superata…

“L’americanizzazione richiede un ambiente dato, una data struttura sociale […] e un certo tipo di Stato. Lo Stato è lo stato liberale […] nel senso più fondamentale della libera iniziativa e dell’individualismo economico […]”

(Ivi, p. 200).

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L’AMERICANISMO Parlando di americanismo intendeva parlare

anche e soprattutto dell’industrializzazione socialista, evitando però la censura carceraria.

SPONTANEISMO O AMERICANISMO? Con americanismo intendeva l’industrializzazione, la macchinazione dell’uomo.

Occorreva formare un uomo nuovo, preparato alla moderna cultura del lavoro, e perciò era necessario il conformismo.

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Gramsci aveva combattuto la sua politica giovanile a Torino, nel maggior centro industriale italiano, e l’americanismo si configurava come la necessità di ricercare altre vie educative.

Il tema dell’americanismo si lega a quello del conformismo. Americanismo =

“continua vittoria dell’animalità sull’uomo”; “sforzo per creare un nuovo tipo di lavoratore e di uomo”.

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Americanismo = la forma di industrialismo, la più dinamica negli anni ’20 e ’30, era il modello dell’industrializzazione socialista in URSS…

…fondamentale in quanto la conquista delle forze materiali era il modo più importante di sviluppare la personalità.

I mutamenti richiesti dall’industrializzazione, però, erano imposti per “coercizione brutale”.

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Il conformismo esisteva inevitabilmente, il vero problema pedagogico era come cercare di non renderlo brutale.

Riflettere sulla scuola significava quindi anche riflettere sulla pratica a come poter attivare americanismo e conformismo.

Problema pedagogico dell’americanismo è quello della formazione dell’uomo adatto a questo nuovo tipo di società, alle nuove forme di produzione e di lavoro.

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LA CENTRALITÀ DEL LAVORO

La scuola unitaria doveva favorire la formazione di nuovi rapporti tra cultura e lavoro, tra lavoro intellettuale e industriale (in questo, un ruolo cardine di aggancio con le università doveva essere svolto proprio dalle accademie).

Il motivo che dà profondo respiro al pensiero pedagogico di Gramsci è IL LAVORO, inteso alla maniera di Marx come quel continuo processo di industrializzazione che è insieme di intellettualizzazione attraverso il quale la vera natura dell’uomo si socializza.

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 Il fine era quello di costruire…

…una società in cui lavoro e istruzione (permanente) avessero centri e finalità comuni = la società che l’Unione sovietica sulle orme di Marx e Lenin si prefiggeva di costruire.

L’aggettivo nuovo in Gramsci significa socialista = nuovo umanesimo, nuovo conformismo = industrializzazione socialista.

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LA RICERCA DEL PRINCIPIO EDUCATIVO

Gramsci era alla ricerca di un criterio non arbitrario che potesse giustificare il conformismo in pedagogia e l’egemonia in politica per la formazione di un uomo nuovo;

tale principio oggettivo era da individuare nel mondo della produzione, dove andava ricercata anche l’universalità del principio morale.

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Gramsci configurava la futura società senza classi, nella quale il conformismo si sarebbe potuto sviluppare razionalmente e in base alle forze sociali dominanti = così la personalità e l’originalità dell’individuo si sviluppano a partire dalla socialità.

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“La politica è concepita come un processo che sboccherà nella morale […] la collettività deve essere intesa come prodotto di una elaborazione di volontà e pensiero collettivo raggiunto attraverso lo sforzo individuale concreto, e non per un processo fatale estraneo ai singoli: quindi obbligo di una disciplina interiore e non solo di quella esteriore e meccanica” (Ivi, p. 164)

Quindi: responsabilità contro arbitrio individuale, libertà responsabile e dunque

collettiva o di gruppo.

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La ricerca del principio educativo era correlata, dunque, alla ricerca di un principio di oggettività che era necessità storica su cui basare l’universalità del principio morale…

“Occorre persuadersi che non solo è oggettivo e necessario un certo attrezzo, ma anche un certo modo di comportarsi, una certa educazione, un certo modo di convivenza, ecc. […]” (Ivi, p. 162).

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Gramsci riflette sul rapporto tra conformismo, inteso come socialità, e originalità:

“l’individuo è originale storicamente quando dà il massimo risalto alla socialità”.

(A. Gramsci, L’alternativa pedagogica, cit.)

(Nel suo caso ciò gli fu garantito tramite l’appartenenza ad

un partito politico e ad una tradizione).

In realtà l’interesse di Gramsci non era rivolta al mondo dei beni materiali, ma anzi, verso la liberazione dalle condizioni materiali = pensare cioè che la spiritualità dell’uomo si sarebbe potuta sviluppare aldilà delle condizioni materiali,

voleva dire affidarsi al potere di altri.