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da Storia sociale dellarte di Arnold Hauser Storia dellarte Einaudi 1

Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'Arte - Vol 1

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Intento di Hauser in questa sua storia sociale dell'arte è discutere e riba- dire il concetto di storicità del fenomeno figurativo. Problema complesso, come rivelano le moltissime discussioni e polemiche, tra formalismo, idea- lismo e marxismo, che dalla fine dell'Ottocento hanno arricchito la rifles- sione critica. Perche storicità vuoi dire riportare le manifestazioni figura- tive al proprio tempo, ma non ridurle al solo stile artistico di quel momento. Si tratterà, come Hauser tenta di fare con risultati che continuano ades- sere di grande interesse, di proporre l'epoca intera nella sua fisionomia, e nei suoi elementi determinanti, siano essi politici o ideali, religiosi o so- ciali o tecnici. Il lettore, nei capitoli di questo volume dedicato a Rinasci- mento, Manierismo e Barocco, avrà modo di notare con quali attenzioni il tessuto delle conoscenze ne risulta arricchito.

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da Storia socialedell�arte

di Arnold Hauser

Storia dell�arte Einaudi 1

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Edizione di riferimento:Arnold Hauser, Storia sociale dell�arte. Volume pri-mo. Preistoria. Antichità. Medioevo, trad. it. di AnnaBovero, Einaudi, Torino 1987Titolo originale:Sozialgeschichte der Kunst und Literatur, Ch. H.Beck, München

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Indice

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la preistoria

I. L�età paleolitica. Magia e naturalismo 4II. L�età neolitica. Animismo e geometrismo 12III. L�artista stregone e sacerdote. L�arte come

professione e attività domestica 23

civiltà urbane dell�antico oriente

I. Elementi statici e dinamici nell�arte dell�antico Oriente 31

II. La posizione dell�artista e l�organizzazione del lavoro artistico in Egitto 35

III. L�arte stereotipa del Regno Medio 42IV. Il naturalismo dell�epoca di Echnatòn 49V. La Mesopotamia 56VI. Creta 59

l�antichità classica

I. I tempi eroici e i tempi di Omero 65II. L�arcaismo e l�arte alle corti dei tiranni 79III. Classicità e democrazia 94IV. L�illuminismo greco 104

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la preistoria

Capitolo primo

L�età paleolitica.Magia e naturalismo

Antichissima è la leggenda dell�età dell�oro. Nonconosciamo esattamente l�origine sociologica del cultodel passato; che può avere le sue radici nella solidarietàfamiliare e tribale o nello sforzo di gruppi privilegiati difondare i loro privilegi sull�origine. Comunque, l�ideache il migliore debba essere anche il piú antico è ancoroggi cosí forte che storici dell�arte e archeologi non arre-trano neppure davanti alla falsificazione storica, pur diriuscire a presentare come originario lo stile che prefe-riscono. Come primissima testimonianza dell�attivitàartistica, gli uni designano l�arte severamente formalevolta a stilizzare e idealizzare la vita, gli altri invece ilnaturalismo, che coglie e mantiene l�essere naturale dellecose; vedendo gli uni nell�arte un mezzo per dominaree soggiogare la realtà, gli altri uno strumento della devo-zione alla natura. In altre parole, essi attribuiscono ilpregio di una maggiore antichità o alle forme geometri-co-ornamentali, o alle espressioni di un naturalismomimetico, secondo le proprie inclinazioni autocratichee conservatrici, o liberali e progressive1. In ogni caso, imonumenti indicano, in modo chiaro e sempre piú strin-gente col procedere dell�indagine, la priorità del natu-ralismo, cosí che diventa sempre piú difficile sostenerela teoria di un�arte originariamente lontana dalla natu-ra e stilizzatrice della realtà2.

Ma ciò che è piú notevole nel naturalismo preistori-

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co non è che esso sia piú antico dello stile geometrico,che sembra tanto piú primitivo; bensí che vi si possanogià riconoscere tutti gli stadi tipici di sviluppo che appa-riranno poi nella storia dell�arte moderna; poiché essonon è affatto quel fenomeno puramente istintivo, inca-pace di sviluppi, astorico, descritto dagli studiosi fana-tici del geometrismo e del rigorismo formale.

Abbiamo a che fare con un�arte che da una linearefedeltà alla natura, ancora un po� rigida e minuziosa nelmodellare le singole forme, si evolve verso una tecnicafluida e arguta, quasi impressionistica, e sa rendere conefficacia l�impressione visiva in modo sempre piú pitto-rico, rapido e apparentemente improvvisato. La corret-tezza del disegno s�innalza fino a un virtuosismo che sipropone di dominare positure ed aspetti sempre piú dif-ficili, movimenti e conversioni sempre piú fugaci, scor-ci e tagli sempre piú arditi. Questo naturalismo non èuna formula rigida e immota, ma una forma mobile eviva che si accinge a riprodurre il vero con i mezzi piúdiversi e assolve il suo compito ora con maggiore, oracon minore abilità. Lo stato di natura cieco e istintivoè già superato da un pezzo, ma il grado di civiltà che creaformule rigide e salde è ancor di là da venire.

Questo fenomeno, forse il piú singolare di tutta lastoria dell�arte, è tanto piú sconcertante in quanto nontrova riscontro nei disegni infantili, né, di solito, nel-l�arte dei selvaggi. I disegni dei bambini e l�arte dei sel-vaggi son frutto della ragione, non dei sensi; mostranoquel che il bimbo e il selvaggio sanno, non quello chevedono realmente. Entrambi offrono dell�oggetto unasintesi teorica, non una visione organica. Combinano laveduta frontale con quella di fianco o dall�alto, non tra-lasciano nulla di quanto giudicano attributo importantedell�oggetto, esagerano le proporzioni di ciò che ha unvalore biologico o causale e trascurano tutto ciò che �per quanto possa essere, in sé e per sé, imponente e sug-

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gestivo � non svolge una funzione diretta nel contestooggettivo. È viceversa caratteristica del naturalismopaleolitico la capacità di rendere l�impressione visiva inuna forma cosí immediata, pura, libera, esente daaggiunte o limitazioni intellettuali, che rimane un esem-pio unico fino al moderno impressionismo. Qui noi tro-viamo studi di movimento che già richiamano le nostreistantanee fotografiche, e che ritroviamo soltanto nellefigure di un Degas o di un Toulouse-Lautrec; al puntoche, ad un occhio non esercitato dall�impressionismo,molto in queste pitture deve apparire mal disegnato eincomprensibile. I pittori del paleolitico sapevano anco-ra vedere a occhio nudo sfumature, che noi abbiamo sco-perto soltanto con l�aiuto di complicati strumenti. L�etàneolitica ne avrà già perduto la nozione, e fin d�alloral�uomo saprà sostituire saldi concetti alle immediateimpressioni dei sensi. Ma l�uomo paleolitico dipingeancora ciò che realmente vede, e non piú di quello chepuò afferrare con un�occhiata in un momento determi-nato. Ignora l�eterogeneità ottica degli elementi figura-tivi e il razionalismo della loro composizione: contras-segni stilistici a noi ben noti dai disegni dei bambini edall�arte dei selvaggi; soprattutto l�uso di comporre unvolto disegnandone il contorno di profilo e gli occhi difronte. La pittura paleolitica possiede, apparentementesenza sforzo, quell�unità dell�intuizione sensibile a cuil�arte moderna giunge soltanto dopo una lotta secolare;essa può migliorare i propri metodi, ma non li muta, eil dualismo fra visibile e invisibile, fra visione e cono-scenza le resta affatto estraneo.

Quale la causa, quale lo scopo di quest�arte? Espri-meva la gioia della vita, che incitava a conservarla e ripe-terla in immagini? O appagava l�istinto del gioco e ilgusto decorativo, l�impulso a coprire superfici vuote conlinee e forme, figure e ornamenti? Era il frutto dell�o-zio, o aveva un fine pratico determinato? Dobbiamo

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vedere in essa un trastullo o uno strumento, una droga,un piacere, o un�arma nella lotta per la vita? Sappiamoche fu l�arte di cacciatori primitivi, che, in uno stadiodi economia improduttiva e parassitaria, raccoglievanoo catturavano il loro cibo e non lo producevano; secon-do ogni apparenza, vivevano in forme sociali fluide, nonarticolate, in piccole orde isolate, nello stadio di un indi-vidualismo primitivo; probabilmente non credevanonegli dei, né nell�aldilà, né in alcun genere di sopravvi-venza. In quell�epoca di pura prassi, tutto gravitava evi-dentemente intorno ai mezzi di sussistenza, e nulla ciautorizza a supporre che l�arte servisse ad altro che aprocurarli direttamente. Tutto indica in essa lo stru-mento di una prassi magica, e come tale essa aveva unafunzione assolutamente pragmatica, volta in tutto e pertutto a fini economici immediati. Ma questa magia nonaveva nulla in comune con quello che noi intendiamo perreligione; a quanto pare, non conosceva preghiere, nonvenerava potenze sacre, e nessuna credenza, comunquecostituita, la collegava a spiriti ultraterreni; essa non cor-rispondeva quindi alle condizioni che sono state consi-derate come il requisito minimo di una religione3. Erauna tecnica senza misteri, un metodo pratico, l�uso con-creto di mezzi e di procedimenti lontani da ogni carat-tere mistico ed esoterico; proprio come noi, per esem-pio, disponiamo trappole per i topi, concimiamo il ter-reno o prendiamo un sonnifero. Le immagini facevanoparte dell�apparato di questa magia; erano la «trappola»in cui la selvaggina doveva cadere, o piuttosto la trap-pola con l�animale già catturato: perché l�immagine erainsieme rappresentazione e cosa rappresentata, deside-rio e appagamento. Nell�immagine da lui dipinta il cac-ciatore paleolitico credeva di possedere la cosa stessa,credeva, riproducendolo, di acquistare un potere sul-l�oggetto. Egli credeva che l�animale vero subisse l�uc-cisione eseguita sull�animale dipinto. La rappresenta-

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zione figurata non era, secondo la sua idea, che l�anti-cipazione dell�effetto desiderato; l�avvenimento realedoveva seguire il modello magico; o piuttosto esservi giàcontenuto, poiché le due cose erano separate soltanto dalmezzo, ritenuto inessenziale, dello spazio e del tempo.Non si trattava, dunque, di sostituzioni simboliche, madi vere azioni dirette ad uno scopo, atti reali che otte-nevano effetti reali. Non il pensiero uccideva, non lafede operava il miracolo, ma l�azione effettiva, l�imma-gine concreta, realmente colpita, aveva effetto magico.Quando l�uomo paleolitico dipingeva un animale sullaroccia, si procurava un animale vero. Per lui il mondodelle finzioni e delle immagini, la sfera dell�arte e dellapura imitazione, non significavano ancora un campospecifico, distinto e separato dalla realtà empirica; eglinon confrontava ancora i due mondi, ma vedeva nell�u-no l�immediata, integrale prosecuzione dell�altro. Il suoorientamento di fronte all�arte doveva esser simile aquello dell�indiano Sioux di Lévy-Brühl: egli diceva diaver visto uno studioso che eseguiva degli schizzi: � Soche quest�uomo ha fatto nel suo libro molti dei nostribisonti; c�ero, quando l�ha fatto; da allora non abbiamopiú bisonti4 �. L�idea che la sfera dell�arte continuiimmediatamente la realtà comune non svanisce mai deltutto, anche se, piú tardi, prevarrà nell�arte la volontàdi contrapporsi al mondo. La leggenda di Pigmalione,che s�innamora della statua da lui creata, ha origine daquesta mentalità. Testimonia di un orientamento simi-le il Cinese o il Giapponese che dipinge un ramo o unfiore, e il dipinto non vuol compendiare o idealizzare,esaltare o correggere la vita, come le opere dell�arteoccidentale, ma vuol essere semplicemente un ramo-scello o un fiore di piú sull�albero della realtà. Tra-smettono questa concezione anche gli aneddoti e le leg-gende sugli artisti, dove si narra che le figure di un qua-dro, varcando una porta, entrano nel paesaggio vero,

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nella vita reale. In tutti questi esempi si cancellano i con-fini tra arte e realtà, ma la continuità dei due campi nelleopere d�arte dei tempi storici è una finzione nella fin-zione; mentre nella pittura paleolitica è un semplicefatto, e prova che l�arte è ancora tutta al servizio dellavita.

Ogni altra spiegazione dell�arte paleolitica � adesempio la sua interpretazione come forma decorativao espressiva � è insostenibile. Vi si oppone tutta unaserie di indizi, e principalmente la posizione dei dipin-ti nelle caverne, spesso in angoli completamente nasco-sti, difficilmente accessibili, affatto oscuri, dove nonavrebbero mai potuto servire come «decorazione». Vicontrasta anche la sovrapposizione delle pitture, almodo di palinsesti, che distrugge ogni effetto decorati-vo, dove pure al pittore non mancava certo lo spazio.Tale disposizione indica appunto che i dipinti non furo-no eseguiti per la gioia degli occhi, ma perseguivano unoscopo per cui importava ch�essi fossero collocati in certecaverne e in certe parti determinate di esse � eviden-temente in luoghi particolarmente adatti all�incantesi-mo. Non è possibile parlare di intento decorativo o diesigenza estetica di espressione e comunicazione, quidove le pitture venivano piuttosto celate che esposte.Come fu giustamente osservato, ci sono due motividistinti, da cui derivano opere d�arte: alcune vengonocreate semplicemente per esistere, altre per esser vedu-te5. L�arte religiosa, intesa soltanto a onorare Iddio, e,in grado maggiore o minore, ogni creazione in cui l�ar-tista mira solo ad alleviare il proprio animo, ha in comu-ne con l�arte magica dell�era paleolitica il caratteresegreto. L�artista paleolitico, che mirava solo all�effet-to magico, avrà tuttavia provato una certa soddisfazio-ne estetica nel suo lavoro, anche se considerava la qua-lità estetica solo come un mezzo. Il rapporto fra mimi-ca e magia nelle danze cultuali dei selvaggi riflette nel

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modo piú chiaro il caso in questione: come in quelledanze il piacere della finzione mimica si amalgamaindissolubilmente con la pratica degli incanti, cosíanche il pittore preistorico, pur dedito al fine magico,avrà rappresentato con gusto e soddisfazione gli animalinei loro atteggiamenti caratteristici.

La miglior prova che quest�arte perseguiva conscia-mente e intenzionalmente un effetto magico, e non este-tico, è il fatto che gli animali sono spesso rappresentatitrafitti da spiedi e frecce, quando, una volta dipinti, nonsian colpiti con armi vere. Senza dubbio si trattava diun�uccisione in effigie. Dei rapporti fra l�arte paleoliticae le pratiche magiche testimoniano anche i gruppi difigure umane camuffate da animali, che evidentemente,per la maggior parte, eseguono danze. In queste pitture� anzitutto in quelle di Trois-Frères � troviamo masche-re ferine che, senza uno scopo magico, sarebbero sem-plicemente incomprensibili6. Il rapporto della pitturapaleolitica con la magia ci aiuta anche a spiegarne ilnaturalismo. Una rappresentazione che mira a creareun alter ego del modello, cioè non solo a indicare, imi-tare, simulare l�oggetto, ma letteralmente a sostituirlo,non può essere che naturalistica. L�animale da evocaremagicamente doveva presentarsi come il riscontro esat-to dell�animale dipinto: poteva fare la sua apparizionesolo se la sua copia era fedele e genuina. Già per il suoscopo magico, quest�arte doveva essere fedele alla natu-ra. L�immagine poco fedele non era soltanto sbagliata,ma irreale, senza senso e senza scopo. Si ritiene che l�eradella magia, la prima che serbi testimonianza di opered�arte, sia stata preceduta da uno stadio pre-magico7.L�età aurea della magia, con la sua tecnica già chiusa informule e il suo rigido rituale, dev�essere stata prepara-ta da un periodo di pratica sregolata, di puri tentativied esperimenti. Le formule magiche dovettero far buonaprova, dimostrarsi efficaci, prima di poter essere sche-

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matizzate. Non furono certo il frutto di pura specula-zione; trovate indirettamente, dovettero evolversi pergradi. Forse l�uomo scoprí per caso il nesso fra l�origi-nale e l�immagine dipinta, ma la scoperta dovette sog-giogarlo. Forse proprio quest�esperienza suscitò lamagia, col suo assioma dell�interdipendenza dei simili.Comunque, le due antichissime idee che, come fu osser-vato8, sono i primi presupposti dell�arte, l�idea dellasomiglianza e dell�imitazione, e quella della produzionedal nulla, ossia della potenza creativa, debbono essersiformate al tempo degli esperimenti e delle scoperte pre-magiche. I contorni di mani, trovati in molti luoghiaccanto alle pitture delle caverne, e che sono evidente-mente semplici calchi od impronte, forse per la primavolta hanno introdotto nella coscienza dell�uomo l�ideadel foggiare � poiein � e gli hanno suggerito che una cosainanimata e fittizia potesse essere in tutto e per tuttosimile a una cosa viva e reale. Da principio questo gioconon ebbe certo nulla in comune con l�arte né con lamagia; ma dovette prima diventare un mezzo magico,per poter diventare in seguito una forma dell�arte. Poi-ché l�abisso fra quelle impronte di mani e le piú antichefigure d�animali appare talmente smisurato (mentremancano del tutto documenti da inserire come forme ditransizione), che non possiamo pensare a un�evoluzionediretta e continua delle forme artistiche da quelle delgioco, ma dobbiamo concludere che s�interpose un ele-mento nuovo, proveniente dall�esterno, e cioè propriola funzione magica dell�effigie. Tuttavia anche quelleforme pre-magiche, quei giochi, avevano già una ten-denza al naturalismo, all�imitazione, se pur ancora mec-canica, della realtà, e non possono certo considerarsicome la manifestazione di un principio astrattamentedecorativo.

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Capitolo secondo

L�età neolitica.Animismo e geometrismo

Lo stile naturalistico dura per tutta l�era paleolitica,cioè per molte migliaia d�anni; una svolta � il primomutamento stilistico nella storia dell�arte � si manifestasoltanto con la transizione dal paleolitico al neolitico.Soltanto allora la visione naturalistica, aperta alla varietàdelle esperienze, cede il passo a una stilizzazione geo-metrica, a un�arte che tende ad estraniarsi dalla ric-chezza della realtà empirica. Invece del verismo, cheaderisce con amore e pazienza al carattere del modello,d�ora in poi troviamo dappertutto segni schematici econvenzionali, quasi geroglifici che alludono all�oggetto,anziché rappresentarlo. Anziché la vita concreta nellasua pienezza, l�arte mira a fissare l�idea, il concetto, lasostanza delle cose, a crear simboli, non riproduzioni. Leincisioni rupestri dell�età neolitica accennano alla figu-ra umana con due o tre semplici elementi geometrici: adesempio, una retta verticale per il tronco, due semicer-chi, volti l�uno verso l�alto e l�altro verso il basso, per lebraccia e le gambe. I menhir, in cui si vollero vedereritratti abbreviati di defunti9, mostrano nella plasticaun�astrazione altrettanto spinta. Sulla superficie piattadi questi «monumenti funebri» solo un trattino separala testa, che non ha con la natura neppure l�affinitàminima della rotondità, dal tronco, cioè dalla partebislunga della pietra; gli occhi sono segnati con duepunti, il naso è incluso in una semplice figura geometrica

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insieme con la bocca o coi sopraccigli. L�attributo dellearmi caratterizza l�uomo; due emisferi al posto dei seni,la donna.

Il mutamento di stile, che porta a quest�arte com-pletamente astratta, dipende da una svolta della civiltà,che rappresenta forse la cesura piú profonda della sto-ria umana. Con essa l�ambiente materiale e l�intimacostituzione dell�uomo preistorico mutano cosí radical-mente, che tutto quanto precede può sembrare pura-mente animale e istintivo, e quel che segue, evoluzionecostante, conscia dei propri fini. Ecco il passo decisivo,rivoluzionario: l�uomo, invece di campar da parassita suidoni della natura, invece di raccogliere o catturare, pro-duce ormai i mezzi di sussistenza. Allevando gli anima-li, coltivando la terra, egli comincia a trionfare dellanatura, e a rendersi indipendente dai capricci del desti-no, dalla fortuna, dal caso. Ora l�uomo comincia a prov-vedere metodicamente alle proprie necessità; si mette alavorare e ad amministrare; si crea riserve di cibo, divie-ne previdente, elabora le forme primitive del capitale.Con questi primi elementi � terre dissodate, animalidomestici, arnesi e provviste � comincia anche la diffe-renziazione della società in strati e classi, in privilegia-ti e paria, sfruttatori e sfruttati. Si comincia a organiz-zare il lavoro, si dividono i compiti, le attività si diffe-renziano: allevamento e agricoltura, produzione primi-tiva e artigianato, mestieri specializzati e arti casalinghe,lavori maschili e femminili, coltivazione e difesa delcampo tendono progressivamente a separarsi.

Ma col passaggio dalla civiltà dei raccoglitori e deicacciatori a quella dei pastori e dei piantatori muta nonsolo il contenuto, ma tutto il ritmo della vita. Le ordevaganti diventano comunità sedentarie; e quindi i grup-pi socialmente amorfi e facilmente disgregati cedono ilposto a collettività organizzate. Con ragione V. GordonChilde raccomanda di non considerare il passaggio allo

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stato sedentario come una svolta troppo netta e improv-visa, e pensa che anche il cacciatore paleolitico abitassenella stessa caverna, spesso per intere generazioni; d�al-tra parte la primitiva economia agricola e pastorale � poi-ché, dopo un certo periodo, campi e prati si esaurivano� era legata a periodici mutamenti di sede10. Ma anzi-tutto non dobbiamo dimenticare che, col progredire deimetodi agricoli, l�esaurimento del terreno divenne unfenomeno sempre piú raro; e in secondo luogo il conta-dino e il pastore � restassero per breve o per lungotempo sullo stesso terreno � dovevano essere legati allapropria sede, al pezzo di terra che li nutriva, con un vin-colo ben piú saldo del cacciatore errabondo, tornassepure quest�ultimo regolarmente alla sua caverna. E talevincolo sviluppò uno stile di vita affatto diverso dall�e-sistenza inquieta, instabile, dei predatori paleolitici. Incontrasto con l�irregolarità anarchica dei raccoglitori edei cacciatori, la nuova economia introdusse una vitarelativamente statica; invece dell�improvvisata economiadi rapina, invece del campare alla giornata e consumareimmediatamente quel che capita tra le mani, ecco l�e-conomia metodica, regolata in anticipo, a lunga scaden-za, e in vista di diverse eventualità; dallo stadio delladispersione sociale e dell�anarchia ci si avvia verso lacooperazione, dallo stadio della «ricerca individuale delcibo»11, verso un�organizzazione collettivistica � anchese non proprio comunistica � verso una società con inte-ressi, compiti, iniziative comuni; superato lo stadio deirapporti casuali di dominio, i singoli gruppi si trasfor-mano in comunità piú o meno accentrate, dirette inmodo piú o meno unitario; da un�esistenza priva di uncentro, ignara di istituzioni comunque caratterizzate, sisviluppa una vita che gravita intorno alla casa e alla fat-toria, al campo e ai pascoli, alla colonia e al santuario.

Riti e pratiche cultuali sostituiscono magia e sorti-legio. L�età paleolitica rappresentava un momento reli-

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gioso della civiltà: l�uomo era assillato dalla paura dellamorte e della fame, cercava di difendersi da nemici,carestie, dolore, morte per mezzo di pratiche magiche,ma non collegava il bene o il male che gli toccava conuna potenza che si celasse dietro gli avvenimenti,dispensatrice di fortuna e di sventura. Solo il contadi-no o il pastore comincia a sentire e a concepire la pro-pria sorte come guidata da forze intelligenti, che ese-guono un piano. La coscienza di dipendere dalla volu-bilità del tempo, dalla pioggia e dal sole, dal fulmine edalla grandine, dalla peste, dalla siccità, dall�abbondan-za e dalla povertà della terra, dalla maggiore o minorfecondità del bestiame, suscita l�idea di spiriti e demo-ni d�ogni sorta � benevoli e maligni � che dispensanobenedizione e maledizione; l�idea dell�ignoto e dell�oc-culto, della strapotenza e del prodigio, del soprannatu-rale e del numinoso. Il mondo si divide in due mondi eanche l�uomo si sente diviso. Siamo alla fase dell�ani-mismo, della religione degli spiriti, della credenza nel-l�anima e del culto dei morti. Ma con la fede e il cultosorge il bisogno di idoli, amuleti, simboli sacri, ex voto,suppellettili funerarie e sepolcri monumentali. Si comin-cia a distinguere un�arte sacra e un�arte profana, laprima ieratica e figurativa, l�altra mondana e decorati-va. Cosí come troviamo i resti di idoli scolpiti e di un�ar-te sacra e sepolcrale compaiono tracce di una ceramicaprofana: caratterizzata per lo piú, come sostenne il Sem-per, da forme bizzarre, sviluppatesi direttamente dallospirito e dalla tecnica artigiana.

Per l�animismo il mondo si divide in reale e surrea-le: c�è un mondo fenomenico visibile e un mondo deglispiriti invisibile; c�è un corpo mortale e un�animaimmortale. Gli usi e i riti funebri non lasciano dubbi:già l�uomo dell�età neolitica comincia a immaginarsi l�a-nima come una sostanza che si svincola dal corpo. Lavisione magica del mondo è monistica, vede la realtà

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nella forma di un contesto semplice, di una continuitàperfetta; l�animismo è dualistico, inquadra il suo saperee la sua fede in un cosmo bipartito. La magia è sensisticae si attiene al concreto, l�animismo è dualistico e incli-ne all�astrazione. Là il pensiero è rivolto alla vita reale,qui alla vita soprannaturale. Ecco perché l�arte paleoli-tica ritrae le cose con naturalezza e con fedeltà, mentrel�arte neolitica contrappone alla realtà dell�esperienzaconsueta un mondo superiore stilizzato e idealizzato12.Ma cosí l�arte diventa intellettualistica e razionale: intro-duce simboli e sigilli, astrazioni e sigle, tipi e segni con-venzionali al posto di immagini e figure concrete, sop-pianta l�esperienza sensibile col pensiero e l�interpreta-zione, con la regola e il modello; insiste ed esagera, svisae snatura. L�opera d�arte non è piú soltanto l�immaginedi una cosa, ma di un�idea; non è piú soltanto un ricor-do, ma un simbolo: insomma, gli elementi concettuali enon sensoriali della rappresentazione soppiantano quel-li sensibili e irrazionali. E cosí la riproduzione si tra-sforma a poco a poco in un segno pittografico, la ric-chezza delle immagini si perde in uno stenogrammaprivo o quasi di valore figurativo.

In ultima analisi, due cause determinano il muta-mento di stile dell�età neolitica, il trapasso dall�econo-mia dei cacciatori e raccoglitori, parassitaria e consun-tiva, a quella, produttiva e costruttiva, dei pastori e deicontadini; e la sostituzione dell�immagine monistica,che la magia si era fatta del mondo, col sentimento dua-listico della vita, proprio dell�animismo: visione condi-zionata, a sua volta, dalla nuova economia. Il pittorepaleolitico era un cacciatore e doveva essere quindi unbuon osservatore; doveva saper riconoscere, dalle mini-me tracce caratteristiche, sedi e migrazioni degli animali;doveva avere occhio acuto per cogliere somiglianze e dif-ferenze, udito fine per indizi e suoni; tutti i suoi sensidovevano tendere all�esterno, alla realtà concreta. Lo

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stesso orientamento e le stesse facoltà si fanno valereanche nell�arte naturalistica. Al contadino neolitico nonoccorrono piú i sensi acuti del cacciatore; la sensibilitàe la capacità d�osservazione si atrofizzano; e acquistanovalore altre attitudini � specialmente la tendenza all�a-strazione, e al pensiero razionale �, come nell�attivitàeconomica, cosí nell�arte, formalistica, severamente sin-tetica e stilizzatrice. Quest�arte si distingue dall�imita-zione naturalistica soprattutto perché rappresenta l�og-getto reale non come la perfetta immagine di un mondoomogeneo, ma come il confronto di due mondi. Con lasua volontà formale si oppone all�apparenza consuetadelle cose; non è piú l�imitatrice, ma l�antagonista dellanatura; non fornisce un prolungamento della realtà, male contrappone una forma autonoma e normativa. Que-sto dualismo che sorge con la fede animistica, e che siconfigurerà poi in cento sistemi filosofici, trova espres-sione nell�antitesi di idea e realtà, spirito e corpo, animae forma, e sarà d�ora in poi inseparabile dal concetto diarte. Fra i due opposti momenti di tale antagonismo siprodurrà talvolta un equilibrio, ma la loro tensione siavverte in tutti gli stili dell�arte occidentale, siano essirigorosamente formali o naturalistici.

Il formalismo geometrico-ornamentale esercita, apartire dal neolitico, un dominio cosí lungo e incontra-stato, quale nessuna tendenza artistica dei tempi stori-ci, e meno che mai il rigorismo formale, sarà piú ingrado di esplicare. Se prescindiamo dall�artecretese-micenea, questo stile domina tutta la civiltà delbronzo e del ferro, tutto l�antico Oriente e la Greciaarcaica; un�era che va press�a poco dal 5000 al 500 a. C.In confronto, paiono effimeri tutti gli stili piú tardi e,in particolare, tutti i geometrismi e i classicismi si ridu-cono a semplici episodi Ma che cosa sostiene cosí alungo questa concezione artistica costretta in schemirigidi, dominata dai principî della forma astratta? Come

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poté sopravvivere a sistemi economici, sociali e politicicosí diversi? Alla concezione artistica, complessiva-mente unitaria, dello stile geometrico, corrisponde, salvodifferenze particolari, una fondamentale unità sociolo-gica che domina tutta l�epoca: la tendenza cioè a un�or-ganizzazione economica rigidamente conservatrice, auna struttura autocratica del potere, all�ispirazione iera-tica di una società tutta permeata di spirito cultuale ereligioso, in contrasto sia col disordinato e primitivoindividualismo dell�orda cacciatrice, sia con la vita socia-le differenziata, consciamente individualistica, animatadallo spirito di concorrenza, che caratterizza la borghe-sia antica e moderna. Il senso della vita dei cacciatori-predatori, che campavano alla giornata, era anarchico edinamico: e analogamente l�arte era diretta ad espande-re, dilatare e differenziare l�esperienza. I contadini, chesi adoperano, a conservare, consolidare, assicurare imezzi di produzione, hanno una visione statica e tradi-zionale del mondo; le forme della vita sono impersona-li e stazionarie, e le forme artistiche che vi corrispon-dono sono convenzionali e immutabili. È perfettamen-te naturale che lo sviluppo di forme salde, rigide e fermes�accompagni in tutti i campi della vita civile ai metodidi lavoro, essenzialmente collettivi e tradizionali, propridella vita rurale. Già Hörnes sottolinea l�ostinato spiri-to conservatore che «caratterizza lo stile in sé, come l�e-conomia di una civiltà agricola inferiore»13. E GordonChilde, per caratterizzare questo spirito, fa notare unostrano fenomeno: tutte le ceramiche di un villaggio neo-litico sono uguali14. La civiltà dei contadini che si svi-luppa al riparo dalle fluttuazioni economiche delle città,resta piú a lungo fedele alle rigide consuetudini tra-mandate di generazione in generazione; e l�artigianatorurale moderno presenta ancora certi tratti formalisticiaffini allo stile geometrico della preistoria.

Il mutamento dal naturalismo paleolitico al geome-

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trismo neolitico non si compie senza passare attraversoforme intermedie. Mentre ancora fioriva il naturalismo,accanto alla tendenza impressionistica della Franciameridionale e della Spagna settentrionale, troviamo, inun gruppo di pitture spagnole, un carattere espressioni-stico piuttosto che impressionistico. Sembra che gliautori di tali opere abbiano rivolto tutta la loro atten-zione ai gesti e al dinamismo dei corpi e che, per espri-merli in modo piú intenso e suggestivo, alterino a bellaposta le proporzioni delle membra, disegnando lunghegambe caricaturali, toraci inverosimilmente sottili, brac-cia contorte e giunture slogate.

Ma questo espressionismo, come piú tardi ogni stileconsimile, non tradisce una volontà artistica oppostaper principio al naturalismo: anche se gli accenti esage-rati e i lineamenti che questa esagerazione semplificaoffrono alla stilizzazione e alla schematizzazione unpunto di partenza piú favorevole che non le proporzio-ni e le forme del tutto corrette. Ma il vero trapasso algeometrismo neolitico appare solo in quella gradualesemplificazione e stereotipizzazione dei contorni, cheHenri Breuil constata nell�ultima fase paleolitica e chedesigna come la «convenzionalizzazione» delle formenaturalistiche15.

Egli descrive il processo per cui il disegno naturali-stico diventa sempre piú trascurato, sempre piú astrat-to, rigido e stilizzato, e su questa osservazione fonda lasua teoria delle forme geometriche sorte dal naturalismo:questo processo, anche se, considerato di per se stesso,si svolge senza salti e discontinuità, dipende tuttavia dacondizioni esterne. La schematizzazione segue due diret-trici: l�una si sforza di trovare forme chiare e facilmen-te comprensibili; l�altra, di creare forme decorative sem-plici e piacevoli. E cosí, alla fine dell�età paleolitica, tro-viamo già sviluppate le tre forme fondamentali dellarappresentazione artistica: l�imitativa, l�informativa, la

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decorativa; in altre parole, la riproduzione naturalistica,il segno pittografico e l�ornamento astratto.

Le forme di transizione dal naturalismo al geome-trismo corrispondono ai gradi intermedi fra l�economiaparassitaria e quella produttiva. Probabilmente, già alcu-ne tribú cacciatrici cominciarono a conservare certibulbi, a risparmiare certi animali prediletti � piú tardiforse animali totemici �, dando l�avvio all�agricoltura eall�allevamento16. Non si tratta quindi di un mutamen-to improvviso né in arte né in economia; fu piuttosto,nei due campi, un rinnovamento graduale.

E tra le forme di transizione dei due campi sussistela stessa interdipendenza che lega la vita parassitaria delcacciatore al naturalismo, l�agricoltura produttiva al geo-metrismo. D�altronde, la storia economica e sociale degliodierni selvaggi ci offre un�analogia, da cui possiamoconcludere che si tratta di un rapporto tipico. I Bosci-mani, cacciatori e nomadi come l�uomo paleolitico, dun-que allo stadio della «ricerca individuale del cibo», igno-rano qualsiasi forma di cooperazione sociale, non cre-dono a spiriti né a demoni, si dedicano al rozzo sortile-gio e alla magia, e hanno un�arte naturalistica, somi-gliantissima alla pittura paleolitica; mentre i negri dellacosta occidentale dell�Africa, che praticano l�agricoltu-ra, vivono in comunità rurali e credono nell�animismo,sono rigidamente formalisti e hanno un�arte astratta egeometrica, come i neolitici17.

Sulle condizioni economiche e sociali dell�uno e del-l�altro stile, concretamente possiamo soltanto asserireche il naturalismo è connesso con forme di vita anar-chiche e individualistiche, con una certa mancanza ditradizioni e convenzioni fisse, con una visione delmondo tutta profana; il geometrismo, invece, con unatendenza all�organizzazione unitaria, con istituzionidurevoli, e con una visione del mondo orientata, nellesue grandi linee, verso l�aldilà; tutto ciò che va oltre la

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constatazione di questi rapporti, per lo piú si fonda suequivoci. E cosí è della correlazione, che Wilhelm Hau-senstein cerca di istituire fra lo stile geometrico e l�eco-nomia comunistica delle primitive «democrazie agra-rie»18. Nei due fenomeni egli constata una tendenzaautoritaria, egualitaria, pianificatrice; ma trascura ilfatto che questi concetti non hanno lo stesso significa-to in arte e in economia, e che, formulando i concetticon cosí scarso rigore, è possibile collegare il medesimostile con forme sociali diversissime, e lo stesso sistemasociale con gli stili piú diversi. Ciò che s�intende per«autorità» in senso politico può riferirsi altrettanto benea ordinamenti sociali autocratici o socialisti, feudali ocomunisti; i confini dello stile geometrico sono moltopiú angusti, non comprendendo neppure tutta l�artedelle civiltà autocratiche, e tanto meno, quindi, l�artedel socialismo. Viceversa, il concetto di «eguaglianza»è piú stretto in rapporto alla società che in rapportoall�arte. Nell�accezione politico-sociale contrasta conqualsiasi principio autocratico; nel campo dell�arte, incui può significare soltanto impersonalità e ostilità all�in-dividuale, possiamo collegarlo coi piú diversi ordina-menti sociali, ma proprio allo spirito democratico esocialista corrisponde pochissimo. Insomma, non c�èalcun rapporto diretto fra «pianificazione» sociale eartistica: fra l�intento pianificatore che, in campo eco-nomico e sociale, elimina la libera e illimitata concor-renza e quello che obbliga a seguire rigorosamente unmodello artistico, elaborato fin nei minimi particolari,si può, tutt�al piú, istituire un rapporto metaforico; insé e per sé rappresentano due principî completamentediversi, ed è lecito pensare che in una economia e in unasocietà pianificata possa prevalere un�arte che, libera danorme costrittive, si sbizzarrisca in forme individuali eimprovvisate. Per l�interpretazione sociologica dellacreazione spirituale non c�è pericolo maggiore di simili

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confusioni, in cui si incorre di frequente. Nulla di piúfacile che istituire suggestivi rapporti fra i vari stili arti-stici e le forme sociali di volta in volta contemporanee,rapporti che, in definitiva, poggiano su una metafora; enulla di piú seducente del lustro che promettono taliardite analogie. Ma esse sono trappole non meno fataliper la verità delle illusioni enumerate da Bacone, e meri-tano d�essere aggiunte alla sua lista come idola aequivo-cationis.

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Capitolo terzo

L�artista stregone e sacerdote.L�arte come professione e attività domestica

Molto probabilmente, nell�età paleolitica, i pittorid�animali erano cacciatori professionali � come si puòindurre quasi con sicurezza dalla loro intima conoscen-za del soggetto � e non è verosimile che, nella loro qua-lità di «artisti», o comunque venissero considerati, fos-sero completamente esenti dai doveri dell�approvvigio-namento19. Ma certi indizi confermano che si era già for-mata una differenziazione professionale, limitata forsea questo campo. Se, come noi crediamo, la rappresen-tazione degli animali serviva effettivamente a fini magi-ci, chi era capace di produrre queste opere doveva esse-re ritenuto in possesso di doti magiche e onorato comestregone; e a questo fatto poteva riconnettersi una posi-zione di privilegio e l�esenzione, almeno parziale, degliobblighi dell�approvvigionamento. D�altronde, anche latecnica evoluta delle pitture paleolitiche rivela che nonsono opera di dilettanti, ma di persone del mestiere, cheavevano impiegato una parte notevole della loro vita neltirocinio e nella pratica dell�arte e formavano una cate-goria professionale a sé. I molti «schizzi», «abbozzi» ed«esercizi scolastici» corretti, che si sono rinvenuti accan-to agli altri documenti, fanno anzi pensare ad una sortadi attività artistica specializzata, con scuole, maestri,orientamenti e tradizioni locali20. L�artista-mago sembraquindi il primo rappresentante della specializzazione edella divisione del lavoro. In ogni caso, egli emerge per

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primo, accanto al mago guaritore, dalla massa indiffe-renziata, e, come possessore di doti speciali, spiana la viaal vero e proprio sacerdozio, che pretenderà non solo afacoltà e conoscenze straordinarie, ma anche ad unasorta di carisma, e si sottrarrà al lavoro ordinario. Magià una parziale esenzione dagli obblighi dell�approvvi-gionamento diretto fa pensare a condizioni relativa-mente progredite; perché significa che il gruppo puòormai permettersi il lusso di mantenere qualche ozioso.Finché i rapporti sociali dipendono unicamente dall�ap-provvigionamento, è pienamente valida la teoria chevede nell�arte un prodotto della ricchezza; in questostadio dell�evoluzione, la presenza di opere d�arte indi-ca, di fatto, una certa abbondanza di mezzi e una rela-tiva libertà da preoccupazioni alimentari immediate. Manon si può applicarla senz�altro a rapporti piú evoluti,perché, se è vero che l�esistenza di pittori e di scultoripresuppone sempre un certo eccedente, che la societàdev�essere disposta a dividere con questi specialisti«improduttivi», questo principio non può essere appli-cato nel senso di quella sociologia primitiva che fa sem-plicemente coincidere le epoche di rigoglio artistico coiperiodi economicamente floridi.

Quando, nell�età neolitica, l�arte si distinse in sacrae profana, passò probabilmente in mano di due gruppidiversi. I compiti dell�arte sepolcrale e della modella-zione degli idoli, come l�esecuzione delle danze cultua-li, che � se dai risultati dell�indagine antropologica è leci-to trarre qualche conclusione per la preistoria � è diven-tata, nell�epoca dell�animismo, l�arte principale21, dove-vano essere affidati soltanto a uomini, soprattutto maghie sacerdoti. L�arte profana invece, ridotta a mestiere echiamata ad assolvere compiti puramente decorativi,doveva essere interamente affidata alle donne, comeparte dell�industria casalinga. Hörnes collega il caratte-re geometrico dell�arte neolitica soprattutto con l�ele-

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mento femminile. «Lo stile geometrico, � egli dice, � èin primo luogo uno stile femminile, ha carattere fem-mineo e reca i segni di ciò che è ormai docile e castiga-to»22. L�osservazione in sé può essere giusta, ma la spie-gazione si fonda su un equivoco. «L�ornato geometrico,� scrive ancora Hörnes, � piú che a quello dell�uomo,appare consono allo spirito della donna, casalingo, ordi-nato fino alla pedanteria e pieno di superstiziosa previ-denza. Considerato da un punto di vista puramenteestetico, è una maniera artistica gretta, vuota e limita-ta, nonostante ogni lusso e varietà; ma, pur nei suoi limi-ti, sana e valida, piacevole per la diligenza e l�esterioreeleganza; è l�espressione artistica della natura femmini-le»23. In questo linguaggio metaforico, sarebbe altret-tanto possibile riferire lo stile geometrico al rigore e alladisciplina, allo spirito ascetico e dominatore del maschio.

Il parziale assorbimento dell�arte nell�industriadomestica e nel lavoro casalingo, cioè il collegamentodell�attività artistica con altre attività, significa un passoindietro dal punto di vista della divisione del lavoro edella differenziazione professionale. Poiché la divisionedelle funzioni ha luogo, tutt�al piú, fra i sessi, e non fracategorie professionali. Se quindi le civiltà agricole pro-muovono, nell�insieme, la specializzazione, pongonomomentaneamente fine all�attività artistica professio-nale. E il mutamento è cosí radicale, che non solo i ramidell�attività artistica che toccano in sorte alla donna, maanche quelli che restano prerogativa dell�uomo, vengo-no esercitati come occupazione accessoria. È vero che,in quest�epoca, tutta l�industria � salvo, forse, l�artedell�armaiolo � è una «occupazione accessoria»24; manon dobbiamo dimenticare che l�attività artistica, diver-samente da ogni altro mestiere, ha dietro di sé uno svi-luppo autonomo e soltanto ora diventa un passatempopiú o meno dilettantesco. È difficile dire se la scompar-sa degli artisti «professionali» sia una causa o un effet-

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to della semplificazione e della schematizzazione for-male. Certo, lo stile geometrico, coi suoi motivi semplicie convenzionali, non esige le doti specifiche e la prepa-razione profonda dello stile naturalistico; ma, a suavolta, il dilettantismo che esso rende possibile contri-buisce al progressivo irrozzimento delle forme.

Agricoltura e pastorizia implicano lunghi periodid�ozio. Il lavoro dei campi è limitato a certe stagioni,l�inverno è lungo e senza impegni specifici. L�arte neo-litica ha il carattere di un�«arte rustica», non soltantoperché le sue forme impersonali e inclini alla rigidezzacorrispondono allo spirito conformista e conservatoredella campagna, ma anche perché essa è il prodotto del-l�ozio campagnolo. Tuttavia non è un�«arte popolare»,come l�arte rustica odierna. Non lo è, in ogni caso, fin-ché non è ancora giunta a compimento la separazione inclassi delle società agricole: perché l�espressione «artepopolare», come è stato osservato, ha un senso soltan-to se opposta ad «arte aulica»; ma l�arte di una massanon ancora divisa in «classi dominanti e soggette, in cetisuperiori pieni di esigenze e ceti inferiori modesti», nonpuò chiamarsi «arte popolare», proprio perché è la sola25.E quando la differenziazione è compiuta, l�arte rusticadei neolitici non è piú «arte popolare», perché i prodottidell�arte figurativa sono destinati alla classe possidenteed eseguiti da questa, cioè per lo piú dalle sue donne.Penelope, che siede al telaio con le ancelle, è ancora, incerto qual modo, la ricca contadina e l�erede dell�artefemminile neolitica. Il lavoro manuale, piú tardi consi-derato degradante, è ancora decorosissimo, almeno comeattività femminile e domestica.

I documenti artistici dell�epoca preistorica sono par-ticolarmente importanti per la sociologia dell�arte, e nonsolo perché dipendenti in maggiore misura dalle condi-zioni sociali, ma perché i rapporti fra la struttura socia-le e le forme artistiche vi si possono riconoscere piú chia-

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ramente che nei prodotti artistici di tempi piú tardi.Comunque, la transizione all�età neolitica resta per lastoria dell�arte l�esempio piú evidente del rapporto frauna trasformazione stilistica e la contemporanea tra-sformazione delle condizioni economico-sociali. Le cul-ture preistoriche mostrano i segni del loro condiziona-mento sociale piú chiaramente delle culture successive,in cui le forme tramandate da un�epoca piú antica, e inparte già fossilizzate, si amalgamano spesso in modoindiscernibile con le forme nuove e ancor vive. Quantopiú evoluta è l�epoca su cui si esercita la nostra indagi-ne, tanto piú complicata è la rete dei rapporti, e menoevidente il sostrato sociale a cui si collegano. Quanto piúvecchia è una maniera, uno stile, un genere, tanto piúlunghi sono i tratti in cui lo sviluppo si compie secondoleggi proprie, immanenti, «non turbate» dall�esterno; equanto piú durano queste fasi piú o meno autonome del-l�evoluzione, e tanto piú difficile diventa l�interpreta-zione sociologica dei singoli elementi del complesso for-male. Ciò appare già nell�epoca che segue all�età neoli-tica, quando le civiltà rurali si trasformano in civiltàurbane piú dinamiche, fondate sull�industria e sul com-mercio; struttura relativamente cosí complicata, che l�in-terpretazione sociologica di certi fenomeni non riescepiú del tutto soddisfacente. La tradizione dell�arte geo-metrico-ornamentale è ormai cosí salda, che non puòessere facilmente sradicata, e dura a lungo, senza che sene possa addurre una speciale ragione sociologica. Maquando, come nella preistoria, tutto è ancora immedia-tamente connesso con la vita, quando non ci sono anco-ra forme autonome, né divisione di principio fra vecchioe nuovo, tradizione e innovazione, la motivazione socio-logica dei fenomeni culturali è ancora relativamentefacile e chiara.

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1 Quest�antitesi forma anche il substrato delle trattazioni, fonda-mentali per l�archeologia, in cui alois riegl (Stilfragen, Berlin 1893;trad. it., Problemi di stile, Milano 1963) discute la teoria del Semperdell�origine dell�arte dallo spirito della tecnica. Per gottfried semper(Der Stil in den technischen und tektonischen Künsten, 1860) l�arte noné che un derivato del mestiere e la quintessenza di quelle forme deco-rative che risultano dalla natura del materiale, dai processi della lavo-razione e dall�uso a cui è destinato l�oggetto. Riegl sottolinea inveceche, all�origine di ogni arte, anche se ornamentale, sta l�imitazione dellanatura, e che nella storia dell�arte le forme geometricamente stilizzatenon sono un fenomeno iniziale, ma relativamente tardo, frutto di unasensibilità artistica già molto raffinata. Come risultato delle sue ricer-che, alla teoria meccanico-materialistica del Semper, ch�egli chiama«darwinismo trapiantato nel campo della vita spirituale», Riegl con-trappone la sua teoria dell�«idea creatrice», secondo cui le forme arti-stiche non sono semplicemente dettate dalla materia prima e dagliarnesi, ma s�inventano e si ottengono proprio nella lotta dell�«intentoartistico» contro le condizioni materiali. È un principio di metodo fon-damentale per tutta l�estetica quello che Riegl introduce qui discuten-do la dialettica di spirito e materia, contenuto espressivo e mezzi d�e-spressione, volontà e substrato della volontà, e che gli permette, se nond�infirmare la teoria del Semper, certo d�integrarla sostanzialmente.

L�appartenenza all�una o all�altra delle due scuole opposte si mani-festa dappertutto nelle opinioni dei singoli studiosi di archeologia.alexander conze (Zur Geschichte der Anfänge griechischer Kunst, in«Sitzungsberichte der Wiener Akademie», 1870, 1873; «Sitzungsbe-richte der Berliner Akademie», 1896; Ursprung der bildenden Kunst,1897), julius lange (Darstellungen des Menschen in der älteren griechi-schen Kunst, 1899), emanuel löwy (Die Naturwiedergabe in der älterengriechischen Kunst, 1900), wilhelm wundt (Elemente der Völkerpsy-chologie, 1912), karl lambrecht (Bericht über den Berliner Kongress fürÄsthetik und allgemeine Kunstwissenschaft, 1913) sono tutti inclini,come accademici conservatori, a collegare l�essenza e l�inizio dell�arteai principî dell�ornato geometrico e della funzionalità artigiana. Eanche se, come Löwy o Conze nei suoi ultimi anni, ammettono la prio-rità del naturalismo, cercano tuttavia di limitare l�importanza dell�am-missione, in quanto anche nei monumenti del primitivo naturalismovogliono ritrovare i caratteri piú importanti dell�arte cosiddetta «arcai-ca»: la frontalità, l�assenza di prospettiva e di spazio, la rinunzia aigruppi e l�integrazione degli elementi figurativi. ernst grosse (DieAnfänge der Kunst, 1894), salomon reinach (Répertoire de l�art qua-ternaire, 1913; La sculpture en Europe, «L�Anthropologie», v-vii, 1894-96), henry breuil (La caverne d�Altamira, 1906; L�âge des peinturesd�Altamira, «Revue préhistorique», 1, 1906, pp. 237-49) e i suoi segua-

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ci, g. h. luquet (Les origines de l�art figuré, «Jahrbuch für prähistori-sche und ethnographische Kunst», 1926, pp. 1 sgg.; L�art primitif,1930; Le réalisme dans l�art paléolithique, «L�Anthropologie», xxxiii,1923, pp. 17-48), hugo obermaier (El hombre fósil, 1916; Urgeschich-te der Menscheit, 1931; Altamira, 1929), herbert kühn (Kunst undKultur der Vorzeit Europas, 1929; Die Kunst der Primitiven, 1923), m.c. burkitt (Prehistory, 1921; The Old Stone Age, 1933), v. gordon chil-de (Man Makes Himself, 1936; trad. it., L�uomo crea se stesso, Torino1952) riconoscono invece senza riserve il primato dell�arte naturalisti-ca e insistono proprio sulla sua tendenza «non arcaica», tutta pervasadi spontanea vivacità.

2 Nella posizione piú difficile si trova adam van scheltema (DieKunst unserer Vorzeit, 1936), come teorico fra i piú retrivi, ma, per l�o-biettività dell�informazione, competentissimo archeologo.

3 e. b. tylor, Primitive Culture, 1913, I, p. 424.4 LÉVY-bruhl, Les Fonctions mentales dans les sociétés inférieures,

1910, p. 42.5 walter benjamin, L�oeuvre d�art à l�époque de sa reproduction

mécanisée, «Zeitschrift für Sozialforschung», v, 1936, p. 45.6 Per l�interpretazione dell�arte paleolitica come magia, cfr. h.

obermaier in Reallexikon der Vorgeschichte, 1926, VII, p. 145; id.,Altamira, pp. 19-20; h. obermaier - h. kühn, Bushman Art, 1930, p.57; h. kühn, Kunst und Kultur der Vorzeit cit., pp. 457-475; m. c.burkitt, Prehistory cit., pp. 309-13.

7 alfred vierkandt, Die Anfänge der Kunst, «Globus», 1907; k.beth, Religion und Magie, 2a ed., 1927.

8 g.-h. luquet, Les origines de l�art figuré, ipek, 1926.9 carl schuchhardt, Alteuropa, 1926, p. 62.10 v. gordon childe, Man Makes Himself cit., p. 80.11 karl bücher, Die Entstehung der Volkswirtschaft, I, 1919, p. 27.12 Il contrasto fra la concezione magica e quella animistica in rap-

porto all�arte è trattato estesamente da herbert kühn, nella sua Kunstund Kultur der Vorzeit.

13 h. hörnes - o. menghin, Urgeschichte der bildenden Kunst inEuropa, 3a ed., 1925, p. 90.

14 v. gordon childe, Man Makes Himself cit., p. 109.15 henri breuil, Stylisation des dessins à l�âge du renne, «L�Anth-

ropologie», viii, 1906, pp. 125 sgg.; cfr. m. c. burkitt, The Old StoneAge, pp. 170-73.

16 heinrich schurtz, Die Anfänge des Landbesitzes, «Zeitschrift fürSozialwissenschaft», iii, 1900.

17 Cfr. h. obermaier - h. kühn, Bushman Art, 1930; h. kühn, DieKunst der Primitiven, 1923; herbert read, Art and Society, 1936; l.adam, Primitive Art, 1940.

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18 wilhelm hausenstein, Bild und Gemeinschaft, 1920. Già appar-so sotto il titolo Versuch einer Soziologie der bildenden Kunst, in «Archivfür Sozialwissenschaft und Sozialpolitik», vol. XXXVI, 1913.

19 Cfr. f. m. heichelheim, Wirtschaftsgeschichte des Altertums,1938, pp. 23-24.

20 h. obermaier, Urgeschichte der Menschheit, 1931, p. 209; m. c.burkitt, The Old Stone Age cit., pp. 215-16.

21 h. hörnes - o. menghin, Urgeschichte der bildenden Kunst inEuropa cit., p. 574.

22 Ibid., p. 108.23 Ibid., p. 40.24 f. m. heichelheim, Wirtschaftsgeschichte des Altertums cit., pp.

82-83.25 h. hörnes - o. menghin, Urgeschichte der bildenden Kunst in

Europa cit., p. 58o.

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civiltà urbane dell�antico oriente

Capitolo primo

Elementi statici e dinamici nell�arte dell�antico Oriente

La fine dell�età neolitica apporta una trasformazio-ne quasi altrettanto generale, un rivolgimento sociale edeconomico quasi altrettanto profondo di quello che neaveva segnato l�inizio. Là, troviamo il passaggio dal puroconsumo alla produzione, dall�individualismo primitivoalla cooperazione; qui, l�inizio del commercio e dell�ar-tigianato indipendente, il sorgere delle città e dei mer-cati, l�agglomerarsi e il differenziarsi della popolazione.Nei due casi, siamo di fronte ad un rivolgimento com-pleto, anche se la trasformazione si compie, qui comeallora, al modo di un rinnovamento graduale piuttostoche di un sovvertimento improvviso. Nella maggiorparte delle istituzioni e delle consuetudini dell�anticoOriente, nel potere autocratico, nella parziale conser-vazione dell�economia naturale, nella vita quotidianapermeata di elementi cultuali e religiosi, e nel rigore for-malistico dell�arte, continuano i costumi e gli usi neoli-tici, accanto alle nuove forme della vita cittadina. Neivillaggi dell�Egitto e della Mesopotamia, il contadinocontinua, nel quadro dell�economia domestica, la suavita, fissata ab antiquo, indipendente dall�inquieta atti-vità urbana; e se il suo influsso declina costantemente,lo spirito delle sue tradizioni si lascia riconoscere anchenei prodotti culturali piú tardi e maggiormente diffe-renziati per influsso della civiltà cittadina.

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Il mutamento decisivo per il nuovo stile di vita simanifesta anzitutto nel fatto che la produzione prima-ria non è piú l�occupazione preminente e storicamentepiú avanzata, ma è al servizio del commercio e dell�at-tività artigiana. L�accrescimento della ricchezza l�accu-mulazione in poche mani di terreni e provviste libera-mente disponibili, creano bisogni nuovi, piú intensi epiú vari, di prodotti industriali, e determinano una mag-gior divisione del lavoro. Chi sa creare immagini di spi-riti, dei e uomini, suppellettile decorata e oggetti d�or-namento esce dalla cornice casalinga e diventa uno spe-cialista che vive del proprio mestiere. Non è piú il magoispirato, né il membro dell�azienda domestica fornito diabili dita, ma l�artigiano che scalpella statue, dipingequadri, modella vasi, cosí come altri fanno accette oscarpe; e, del resto, non è molto piú apprezzato del fab-bro o del calzolaio. La perfezione artigiana del lavoro,il sicuro dominio della materia ribelle e la cura impec-cabile dell�esecuzione � cosí sorprendente nell�arte egi-ziana, in confronto con la trascuratezza geniale o dilet-tantesca di età piú antiche1 � è una conseguenza dellaspecializzazione professionale dell�artista e un risultatodella vita cittadina, con la crescente emulazione e la for-mazione � nei centri culturali della città, nel recinto deltempio e alla corte del re � di una clientela di amatoriesperti ed esigenti.

La città, con la sua popolazione accentrata e gli sti-moli intellettuali provocati dallo stretto contatto deidiversi ceti, col suo mercato fluttuante e lo spirito anti-tradizionalistico che esso porta con sé, col suo estesocommercio e i suoi mercanti esperti di paesi e popolistranieri, con la sua economia monetaria � sia pure anco-ra rudimentale � e gli spostamenti di ricchezza deter-minati dalla natura stessa del denaro, costituí certo unfatto rivoluzionario in ogni campo della civiltà: nell�ar-te suscitò uno stile piú dinamico e individualistico, piú

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libero da forme e tipi tradizionali, di quel che non fossel�antico geometrismo. Il noto � e spesso fin troppo sot-tolineato � tradizionalismo dell�antica arte orientale, lalentezza della sua evoluzione generale e la longevitàdelle singole tendenze, ridussero, ma non eliminarono,l�effetto dinamico della vita urbana. Poiché, se con-frontiamo il corso dell�arte egiziana con quelle epochein cui «tutte le ceramiche di un villaggio erano uguali»,e le singole fasi dell�evoluzione culturale dovevano esse-re calcolate in migliaia di anni, avvertiremo la presenzadi fenomeni stilistici, la cui diversità viene spesso tra-scurata a causa dei loro caratteri inconsueti e della con-seguente difficoltà di distinguerli. Ma si falsa l�essenzadi quest�arte quando si vuole dedurla da un unico prin-cipio e si trascura in essa la presenza e il contrasto di ele-menti statici e dinamici, conservatori e progressivi, for-malistici e antiformalistici. Per intenderla esattamente,occorre sentire, dietro le rigide forme della tradizione,le forze vive dell�individualismo sperimentatore e delnaturalismo espansivo; forze che scaturiscono dal senti-mento cittadino della vita e dissolvono la stasi dellaciviltà neolitica; ma questa impressione non deve indur-ci a sottovalutare lo spirito d�inerzia nella storia del-l�antico Oriente. Lo schematismo imperante nella civiltàrurale neolitica continua ad operare, almeno nelle primefasi dell�Oriente antico, e produce sempre nuove varian-ti degli antichi modelli; non solo, ma le forze socialidominanti, anzitutto la monarchia e il clero, contribui-scono a mantenere intatti i rapporti esistenti e insiemea conservare quanto piú possibile immutate le forme tra-dizionali del culto e dell�arte.

La costrizione cui deve sottostare il lavoro dell�arti-sta è cosí inesorabile che, secondo le teorie dell�esteticaliberale oggi in voga, dovrebbe frustrare senz�altro ognischietta attività spirituale. Eppure, proprio qui nell�an-tico Oriente, sotto la piú dura oppressione, sorgono

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alcune fra le piú grandiose opere d�arte. Esse provanoche la libertà personale dell�artista non ha alcun direttoinflusso sulla qualità estetica delle sue creazioni. Ognivolontà artistica deve aprirsi la strada fra le maglie diuna fitta rete; ogni opera d�arte scaturisce dalla tensio-ne fra i propositi dell�artista e le resistenze che egliincontra � da parte dei motivi vietati, dei pregiudizisociali, dell�insufficienza critica del pubblico �; resi-stenze che quei propositi hanno già accolto e intima-mente assimilato, o con cui sono in aperto e inconcilia-bile contrasto. Se le resistenze non si possono superarein una certa direzione, allora l�invenzione, la volontàespressiva e creatrice dell�artista si rivolgono a una metaaccessibile, senza che, per lo piú, egli stesso s�accorga dicompiere una sostituzione. Interamente libero e spedi-to egli non è neppure nella piú liberale democrazia:anche qui lo vincolano innumerevoli riguardi estraneiall�arte; personalmente, il diverso grado di libertà puòessere per lui importantissimo, ma in linea di principionon c�è differenza fra il diktat di un despota e le con-venzioni della società piú liberale. Se la costrizione insé e per sé si opponesse allo spirito dell�arte, capolavo-ri perfetti potrebbero sorgere soltanto nell�anarchia tota-le. Ma in realtà i presupposti da cui dipende la qualitàestetica di un�opera trascendono l�alternativa di libertàe illibertà politica. Non meno falso del punto di vistaanarchico è perciò anche l�altro estremo: la tesi per cuii vincoli che limitano la libertà di movimento dell�arti-sta sarebbero in sé e per sé propizi e fecondi, di modoche per esempio, la libertà dell�artista moderno sarebberesponsabile degli insuccessi dell�arte piú recente, e sipotrebbero e dovrebbero creare artificialmente obblighie vincoli, come pretese garanzie di «stile» vero.

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Capitolo secondo

La posizione dell�artista e l�organizzazione del lavoro artistico in Egitto

I primi, e per molto tempo i soli, a dare lavoro e paneagli artisti sono i sacerdoti e i principi; e le principali sedidi lavoro per essi, per tutta la durata delle antiche civiltàorientali, sono il tempio e il palazzo. Qui essi lavoranovolontariamente o per forza, come operai liberi o comeschiavi perpetui. Qui si compie la parte di gran lunga piúvasta e piú valida della produzione artistica. I beniimmobili cominciarono ad accumularsi in mano a guer-rieri e predoni, conquistatori e oppressori, capi e prin-cipi; ma le prime ricchezze razionalmente amministratedovettero essere i beni dei templi, cioè le proprietà deglidei, istituite dai principi e gestite dai sacerdoti. E cosí,con ogni probabilità, furono i sacerdoti i primi com-mittenti regolari di opere d�arte; e i re non fecero cheseguirne l�esempio. Fuori dell�industria casalinga, l�artedell�antico Oriente si limitò, in un primo tempo, adassolvere i compiti assegnati da tali committenti. Si trat-tava soprattutto di offerte votive agli dei, monumentiregali, oggetti necessari per il culto del dio o del sovra-no, mezzi di propaganda che servivano a glorificare gliimmortali o a celebrare la memoria dei loro vicari ter-reni. Clero e monarchia s�inserivano in uno stesso siste-ma ieratico, e i compiti che assegnavano all�arte, com-piti di salvazione e di glorificazione, confluivano nelculto dei morti, quintessenza di ogni religione primiti-

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va. Entrambi esigevano dall�arte immagini solenni, rap-presentative, alteramente stilizzate; entrambi agivano sudi essa nel senso della stabilità sociale, perché servisseai loro fini conservatori. Entrambi cercavano d�evitareinnovazioni artistiche, come ogni altro genere di rifor-me, poiché temevano qualsiasi mutamento e dichiara-vano sacre e inviolabili le regole tradizionali dell�arte,come i dogmi della religione e le antiche forme del culto.I sacerdoti divinizzavano i re, per inserirli nell�ambitodella loro autorità; e i re offrivano templi agli dei e aisacerdoti, per accrescere la propria gloria. Ognuno diloro voleva trarre profitto dal prestigio dell�altro, e nel-l�artista cercava un alleato nella lotta per la conserva-zione del potere. In tali circostanze, come già in quelledella preistoria, non avrebbe senso parlare di un�arteautonoma, determinata da motivi puramente estetici erivolta a fini puramente estetici. Le opere della grandearte, della scultura monumentale e della pittura murale,non furono create per se stesse e per la loro bellezza.Non si ordinavano statue per erigerle davanti ai templio sulla piazza � come nell�antichità classica o nel Rina-scimento �; per la maggior parte, stavano nell�oscuritàdei santuari e in fondo ai sepolcri2.

In Egitto la domanda di opere figurative, soprattut-to dell�arte sepolcrale, è cosí grande fin dall�inizio, dafar ritenere che la formazione di un ceto di artisti pro-fessionali debba risalire ad un�epoca abbastanza remo-ta. Ma il carattere subordinato ed eteronomo dell�arteè cosí spiccato, essa si risolve cosí interamente nei com-piti pratici, che la persona dell�artista sparisce quasi deltutto nell�opera. Il pittore e lo scultore sono e rimango-no anonimi artigiani, senza alcun risalto personale.Conosciamo pochissimi nomi di artisti egizi, e poiché imaestri non firmavano3, non possiamo neppure riferirequei pochi nomi a gruppi in sé omogenei di opere4. Cisono pervenute � specialmente da Tell-el-Amarna � pit-

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ture che rappresentano botteghe di scultori, e persino lascena di uno scultore che lavora a un�opera identifica-bile, al ritratto della regina Teje5, ma la persona dell�ar-tista e l�attribuzione delle opere rimaste è in ogni casoincerta. È vero che la decorazione parietale di unatomba rappresenta, talvolta, anche un pittore o unoscultore, e ce ne conserva il nome, e si può pensare chel�artista abbia voluto cosí eternare se stesso6: ma questonon è neppure certo, né d�altra parte, la notizia può ser-virci gran che, per la penuria di altri dati sulla storia del-l�arte egiziana. In nessun caso si riesce a definire il pro-filo di una personalità artistica. Quei presunti autori-tratti non informano in modo soddisfacente neppure suquel che l�artista in questione pensasse di sé e del valo-re dell�opera sua. È difficile dire se si debbano inter-pretare semplicemente come scene di genere in cui ilmaestro intendeva ritrarre le circostanze del suo lavoroquotidiano, o come il suo desiderio di erigersi un monu-mento, all�ombra dei sovrani e dei grandi del regno, persete d�immortalità e di gloria, per sopravvivere nellamemoria degli uomini.

È vero che in Egitto noi apprendiamo i nomi dicapi-architetti e di capi-scultori, che dovevano godere dispeciali onori, come alti funzionari, di corte; ma in gene-rale l�artista rimane un oscuro artigiano, e tutt�al piú siapprezza in lui l�esecutore delle opere, non la persona-lità creatrice. Solo per l�architetto si può parlare di lavo-ro intellettuale ormai distinto dal lavoro manuale; loscultore e il pittore non sono che artigiani. La miglioreidea di quanto fosse subordinata, in Egitto, la condi-zione sociale dell�artista, si può avere dai libri scolasti-ci dei dotti scribi, che parlano con disprezzo del suo vol-gare mestiere7. In confronto alla stima tributata agliscribi, la posizione del pittore e dello scultore non paremolto onorevole, specie nei primi periodi della storia egi-ziana. Già qui si avverte quella svalutazione delle arti

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figurative nei confronti della letteratura, chiaramentetestimoniata dall�antichità classica. E qui, nell�anticoOriente, la valutazione sociale doveva dipendere, ancorpiú strettamente che presso i Greci e i Romani, da quelconcetto primitivo di prestigio per cui si riteneva degra-dante il lavoro manuale8. Comunque, col progrediredella civiltà crebbe la considerazione per l�artista. Giàdurante il Regno Nuovo molti artisti appartengono aiceti superiori, e in molte famiglie ci si mantiene fedeliper piú generazioni alla professione artistica; il che, insé e per sé, può significare una coscienza professionalerelativamente elevata. Ma anche ora, nella vita sociale,la parte dell�artista è piuttosto secondaria, se la con-frontiamo con la funzione dell�artista-mago della prei-storia.

Il tempio e la reggia erano certo i principali, ma noni soli cantieri del lavoro artigiano; c�erano bottegheanche nei latifondi e nei bazar delle maggiori città9.Questi ultimi riunivano molte piccole officine indipen-denti, che � diversamente dalle aziende del tempio, delpalazzo e del latifondo � impiegavano esclusivamentelavoratori liberi. Questa associazione mirava, sia a faci-litare la cooperazione dei diversi artigiani, sia a fabbri-care e vendere le merci in uno stesso luogo, e a renderel�artigiano indipendente dal mercante10. Nelle officinedel tempio, della reggia, dei ricchi, gli artigiani lavora-no ancora nel quadro di una unità economica chiusa,autarchica, che si differenzia dall�unità economica rura-le dell�età neolitica solo perché è immensamente piúvasta e tutta fondata su lavoro estraneo, spesso servile.Di fronte all�una e all�altra, il sistema del bazar, con lasua separazione del lavoro professionale dall�economiadomestica, rappresenta una novità rivoluzionaria; con-tiene in germe l�industria indipendente e regolare, chenon si limita piú a lavori occasionali, ma viene esercita-ta come professione esclusiva e produce per il mercato

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libero. Questo sistema, non solo trasforma il produtto-re primitivo in un artigiano, ma lo fa uscire dall�ambitodell�azienda domestica. Lo stesso effetto ha il sistema,forse altrettanto antico, del lavoro a domicilio, che, purlasciando l�operaio a casa propria, lo fa produrre per unavventore invece che per se stesso e lo separa intima-mente dall�azienda familiare. Cosí è spezzato il princi-pio dell�economia domestica, che limita la produzione alsoddisfacimento delle proprie necessità.

Nel corso di questa evoluzione, a poco a poco l�uo-mo si assume anche quei lavori manuali ed artigianaliriservati un tempo alla donna; come la fabbricazione diceramiche, di oggetti ornamentali e perfino di tessuti11.Erodoto si meraviglia che in Egitto stiano al telaio gliuomini, sia pure schiavi; ma questo fenomeno corri-spondeva a una tendenza generale di sviluppo per cuifinalmente il mestiere divenne esclusivo dominio deimaschi. Questo fenomeno non è dunque un aspetto del-l�asservimento maschile � come nella leggenda di Erco-le all�arcolaio di Onfale �, ma della separazione delmestiere dall�attività domestica e della crescente diffi-coltà del maneggio degli strumenti.

Le grandi botteghe annesse alla reggia e al tempiofurono anche le scuole in cui si formavano le nuovegenerazioni di artisti. Si ha la tendenza a considerare lebotteghe dipendenti dai templi come le principali depo-sitarie della tradizione: opinione non da tutti accettata,mettendosi talvolta in dubbio che l�influsso sacerdotalefosse determinante nella pratica dell�arte12. In ogni caso,l�importanza pedagogica di una bottega era tanto mag-giore quanto piú lunga la sua tradizione; e per questoaspetto è probabile che alcune botteghe annesse ai tem-pli fossero superiori a quelle della reggia: benché lacorte, come centro intellettuale del paese, fosse in gradodi esercitare una specie di dittatura in fatto di gusto. Delresto, sia nelle botteghe del tempio sia in quelle della

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reggia, l�arte aveva lo stesso carattere scolastico e acca-demico. La presenza, fin dall�inizio, di regole impegna-tive, di modelli validi per tutti, e di metodi uniformi dilavoro, indica un�attività artistica diretta da pochi cen-tri dominanti. Questa tradizione accademica, alquantofossilizzata e ristretta, portava con sé, da un lato, un�ab-bondanza di prodotti mediocri, ma nello stesso tempoassicurava alla produzione quel livello relativamentealto, cosí caratteristico dell�arte egiziana13. Quanta curae abilità pedagogica dedicassero gli Egizi all�educazionedei giovani artisti, risulta anche dai mezzi d�insegna-mento che ci sono stati conservati: calchi di gesso dalvero, particolari anatomici riprodotti a scopo didattico,e soprattutto quelle curiose rappresentazioni che mostra-vano agli allievi il farsi di un�opera in tutte le fasi dellavoro.

In Egitto il lavoro era cosí ben organizzato, cosígrande la cura nel provvedersi di aiuti da impiegare invario modo, cosí specializzate e ben combinate fra lorole varie attività, da far pensare ai metodi dei cantierimedievali, e da offuscare, sotto certi aspetti, ogni suc-cessiva prassi artistica regolata da criteri individualisti-ci. Fin dall�inizio si manifesta una tendenza alla stan-dardizzazione della produzione, tendenza che andavaincontro alla pratica di bottega. Soprattutto la progres-siva razionalizzazione dei procedimenti tecnici contri-buiva ad esercitare un�azione livellatrice anche sulla pro-duzione artistica. Col crescere della domanda, ci si abi-tuò a lavorare su schizzi, modelli, tipi fissi, sviluppan-do una tecnica quasi meccanica, da seguirsi come unaricetta, per comporre facilmente i diversi oggetti d�artecon elementi attinti ad un repertorio stereotipo14. L�ap-plicazione di un metodo cosí razionalistico era possibi-le soltanto grazie all�abitudine di proporre agli artistipress�a poco sempre gli stessi compiti, di ordinare sem-pre gli stessi ex voto, gli stessi idoli e gli stessi monu-

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menti sepolcrali, gli stessi tipi di immagini regali e diritratti di privati. E poiché in Egitto l�invenzione dimotivi originali non fu mai particolarmente apprezzata,anzi per lo piú era strettamente proibita, tutta l�ambi-zione degli artisti si rivolse alla fermezza ed esattezzadell�esecuzione, notevole anche nelle opere minori, checi compensa della scarsa originalità inventiva. L�esigen-za di una forma finale cosí pulita, tornita, levigata, spie-ga anche come in Egitto la produttività delle botteghed�arte, pur cosí razionalmente organizzate, fosse relati-vamente scarsa. Già il fatto di prediligere nella scultu-ra lavori in pietra, in cui si poteva affidare agli aiuti sol-tanto la sgrossatura del blocco, mentre il maestro siriservava il lavoro piú sottile dei particolari e l�ultimarifinitura, poneva forti limiti alla produzione15.

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Capitolo terzo

L�arte stereotipa del Regno Medio

Quanto poco lo spirito conservatore e conformisti-co dipenda dai caratteri razziali del popolo egiziano, ecome sia anch�esso un fenomeno storico che si trasfor-ma con l�evoluzione generale, appare nel modo piú chia-ro dal fatto che proprio l�arte dei periodi piú antichi èmeno «arcaica» e stilizzata di quella dei periodi piútardi. Nei bassorilievi della tarda epoca predinastica ein quelli delle prime dinastie c�è ancora una libertà for-male e compositiva, che andrà in seguito perduta e saràriconquistata soltanto nel segno di una completa rivo-luzione spirituale. Gli ultimi capolavori del Regno Anti-co, lo Scriba del Louvre o il Sindaco del villaggio delCairo, hanno ancora una freschezza e una vivacità, chenon ritroveremo piú fino ai giorni di Amenhotep IV.Forse in Egitto la creazione artistica non fu mai piú cosílibera e spontanea come in quel primo stadio evolutivo.Qui evidentemente le particolari condizioni della nuovaciviltà urbana, i rapporti sociali piú differenziati, la spe-cializzazione artigiana e lo spirito emancipato del com-mercio, operarono nel senso dell�individualismo conmaggior immediatezza e continuità che non piú tardi,quando tale azione fu ostacolata e spesso frustrata dalleforze conservatrici impegnate a mantenere la propriasignoria. Solo nel Regno Medio, quando si fa innanzi l�a-ristocrazia feudale con la sua forte coscienza di classe,si sviluppano le rigide convenzioni dell�arte aulica e reli-

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giosa, che sbarrano la strada ad ogni espressione spon-tanea. Lo stile schematico della rappresentazione cul-tuale era già noto all�età neolitica, ma del tutto nuovesono le forme rigidamente cerimoniali dell�arte aulica,apparse qui per la prima volta nella storia della civiltàumana. Si riflette in esse l�idea di un ordine sociale piúalto, sovraindividuale, di un mondo che deve alla gra-zia del re la sua grandezza e il suo splendore. Sonoforme anti-individualistiche, statiche e convenzionali,perché esprimono una visione del mondo per cui l�ori-gine, la classe, l�appartenenza a una stirpe o ad un grup-po, è cosa ben piú reale dell�esistenza e del carattereindividuale, e le regole del galateo e della morale sonopiú immediatamente evidenti di qualunque sentimento,pensiero, volontà del singolo. Tutti i beni e le attratti-ve della vita si ricollegano, per i privilegiati di quellasocietà, alla loro separazione dagli altri ceti, e tutte leloro massime diventano, in maggiore o minor misura,regole d�etichetta e di decoro. Questo decoro, questa eti-chetta e tutta l�autostilizzazione della classe dominanteesigono che non ci si faccia ritrarre come veramente siè, ma come si deve apparire secondo certi modelli tra-dizionali, sottratti alla realtà presente, venerandi per laloro antichità. L�etichetta è la legge suprema, non soloper i comuni mortali, ma anche per il re; e nella conce-zione di questa società anche gli dei accettano le formedel cerimoniale di corte16.

I ritratti dei re diventano immagini del tutto uffi-ciali; le caratteristiche individuali dell�epoca arcaicascompaiono quasi senza lasciar traccia. Infine, non c�èpiú nessuna differenza fra le locuzioni impersonali delleepigrafi celebrative e l�aspetto stereotipo dei lineamen-ti. I testi autobiografici e celebrativi, con cui i re e igrandi corredano le loro statue e le rappresentazionidelle loro imprese, sono fin dall�inizio di un�infinitamonotonia nonostante l�abbondanza dei monumenti che

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ci sono pervenuti, vi cerchiamo invano motivi indivi-duali ed espressioni di vita personale17. Il fatto che lesculture del Regno Antico siano piú ricche di tratti indi-viduali che non le note biografiche contemporanee, sispiega, fra l�altro, col persistere di una funzione magicache ricorda l�arte paleolitica, funzione estranea alla let-teratura. Nel ritratto il Ka, spirito tutelare del defunto,doveva ritrovare il corpo in cui un tempo abitava, nelsuo vero e fedele aspetto; la naturalezza della raffigura-zione si spiega soprattutto con questo fine magico-reli-gioso. Ma nel Regno Medio, dove il fine ufficiale delleopere prevale sul loro significato religioso, i ritratti per-dono, col loro carattere magico, anche il loro caratterenaturalistico. La statua è anzitutto il monumento di unre, e soltanto in secondo luogo il ritratto di un indivi-duo. Come le iscrizioni autobiografiche riflettonosoprattutto le forme tradizionali in cui un re deve espri-mersi parlando di sé, cosí anche i ritratti del RegnoMedio non fanno che incarnare quello che, secondo l�e-tichetta di corte, dovrebbe essere l�aspetto ideale di unre. Ma anche i ministri e i cortigiani del sovrano cerca-no di apparire altrettanto solenni, calmi e misurati. Ecome le autobiografie di un suddito fedele non fannoche menzionare ciò che ha attinenza col re, la luce cheproviene dalla sua grazia, cosí anche nell�arte figurativatutto gravita, come in un sistema solare, intorno alla per-sona del re.

Il formalismo del Regno Medio non si spiega comeuno stadio naturale di uno sviluppo continuo e ininter-rotto; il ritorno all�arcaismo primitivo, di origine neoli-tica, ha cause esterne, che non la storia dell�arte, ma sol-tanto l�indagine sociologica è in grado di chiarire18. Seteniamo presenti le grandi opere naturalistiche dell�epo-ca arcaica e la costante attitudine degli Egizi all�osser-vazione esatta e alla fedele riproduzione della natura,non possiamo non scorgere una precisa intenzione nella

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loro deviazione dall�esperienza. Mai nella storia dell�ar-te la scelta fra naturalismo e astrazione è cosí chiara-mente frutto, non di capacità, ma di volontà, in quantol�artista non si regola solo secondo criteri estetici, e l�ar-te deve secondare la tendenza della prassi. I noti calchidi gesso � forse maschere mortuarie leggermente ritoc-cate � scoperti a Tell-el-Amarna nella bottega dello scul-tore Thutmose, provano che l�artista egiziano era ingrado di vedere le cose molto diversamente da comeusava rappresentarle; e poiché lo sappiamo abilissimo nelritrarre fedelmente ciò che era in grado di vedere, è leci-to supporre ch�egli deviasse consciamente e di proposi-to dall�aspetto naturale, che pure egli vedeva quale appa-re in queste maschere19. Basta confrontare la modella-zione delle diverse parti del corpo, per vedere chiara-mente che c�era un antagonismo di fini, e che l�artista simuoveva contemporaneamente in due mondi diversi:un mondo artistico e un mondo extra-artistico.

Ciò che piú colpisce nell�arte egiziana, e non solonelle fasi di severa stilizzazione, ma � in maggiore ominor misura � anche in quelle naturalistiche, è il razio-nalismo della rappresentazione. Gli Egizi non si libera-rono mai del tutto dall�«immagine concettuale» dell�ar-te neolitica, dell�iconografia dei primitivi e dei disegniinfantili; e non superarono mai la rappresentazione«integrante», che compone la figura di un oggetto didiversi elementi, collegati nel pensiero, ma otticamenteincongruenti, anzi spesso contraddittori. Essi rinuncia-no all�illusionismo che cerca di riprodurre � nella rap-presentazione � l�unicità e totalità dell�impressione visi-va; per la chiarezza, rinunciano alla prospettiva, agliscorci, alle intersezioni di piani, fino a fare di questarinuncia un rigido tabú, piú forte della loro inclinazio-ne al naturalismo. Per la tenace sopravvivenza di un sif-fatto tabú, divenuto ormai esteriore e astratto, e per lafacilità con cui può essere talvolta conciliato con una

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tendenza artistica di per sé piú libera, si pensi alla pit-tura dell�Asia orientale, sotto molti riguardi piú vicinaalla nostra concezione dell�arte, e che pure continua avietare le ombre, come un effetto troppo brutale. Eanche gli Egizi dovevano avere il senso che ogni tenta-tivo d�ingannare lo spettatore ha in sé qualcosa di bru-tale e di volgare, e che i mezzi dell�arte astratta, stiliz-zatrice, rigorosamente formale, sono piú «nobili» deglieffetti illusionistici del naturalismo.

Fra tutti i principî formali razionalistici dell�artedell�antico Oriente e specialmente dell�Egitto, quellodella frontalità è il piú eminente e caratteristico. Con ciònoi intendiamo quel canone, scoperto da Julius Lange eAdolf Erman, per cui la figura umana, in qualunqueposizione sia rappresentata, volge allo spettatore tuttoil busto, che si potrebbe dividere, con una verticale, indue parti uguali. La disposizione assiale, che permettela piú ampia visione del corpo, tende evidentemente adassicurare l�impressione piú chiara e piú semplice, ondeimpedire ogni malinteso o confusione, ogni occulta-mento degli elementi della figura. Ricondurre l�impo-stazione frontale a un�iniziale imperizia può, in unacerta misura, essere giusto; ma l�ostinato attaccamentoa questo tipo di rappresentazione anche in epoche stili-stiche in cui non si può piú parlare di una limitazioneinvolontaria dei propositi artistici, esige tutt�altra spie-gazione.

Nella rappresentazione frontale del busto è sottoli-neato il rapporto con lo spettatore. L�arte paleolitica nonconosce la posizione frontale, come non conosce pub-blico di sorta; il suo naturalismo non è che un altromodo di ignorarlo. Invece l�arte dell�antico Oriente sirivolge direttamente a un soggetto recettivo; è un�artedi rappresentanza, che esige e tributa rispetto. Il suorivolgersi allo spettatore è un atto di ossequio, di corte-sia, di etichetta. Ogni arte aulica e celebrativa implica

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in certo qual modo la posizione frontale, che guarda allospettatore, al committente, al signore da dilettare e daservire20. L�opera d�arte gli si rivolge come ad una per-sona colta, a un iniziato, di fronte al quale sarebberofuori posto le arti volgari dell�illusione. Questo atteg-giamento trova la sua tarda, ma pur sempre chiaraespressione nelle convenzioni del teatro classico di corte,dove l�attore, senza riguardi alle esigenze dell�illusionescenica, si rivolge direttamente allo spettatore, lo apo-strofa � per cosí dire � con ogni parola e ogni gesto, enon solo evita di «volgergli le spalle», ma sottolineacon ogni mezzo possibile che si tratta soltanto di una fin-zione, di un trattenimento preparato secondo le regoledel gioco. Il teatro naturalistico rappresenta il passaggioal polo opposto di quest�arte «frontale»: al film, che,attivando lo spettatore, e facendolo presenziare diretta-mente agli avvenimenti invece di presentarglieli, come seassistesse ai fatti per caso e cogliesse gli attori in fla-grante, riduce al minimo le finzioni e le convenzioni delteatro. Nel suo solido illusionismo, nella sua immedia-tezza profana e indiscreta, che soggioga e violenta lospettatore, si esprime chiaramente la concezione del-l�arte propria delle democrazie, degli ordinamenti libe-rali, antiautoritari, livellatori delle differenze ideologi-che; cosí come nell�arte delle autocrazie e delle aristo-crazie già l�amore della cornice, della ribalta, del podio,del piedistallo mostra che si tratta di artefatti commis-sionati, e che il committente è un iniziato, un esperto,che non occorre ingannare.

Oltre alla posizione frontale, l�arte egiziana presen-ta tutta una serie di formule costanti, che, pur essendomeno appariscenti, esprimono con altrettanta forza laconvenzionalità della maggior parte dei principî stilisti-ci validi specialmente per il Regno Medio. Cosí, anzi-tutto, è di regola ritrarre le gambe di una figura sempredi profilo e tutt�e due dalla parte interna, cioè dalla parte

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dell�alluce; vale inoltre la prescrizione che la gambaavanzata e il braccio teso � forse per evitare il disturbodi intersezioni � siano i piú lontani dallo spettatore; infi-ne è d�uso rivolger sempre verso di lui il lato destro dellefigure. Queste tradizioni, leggi e regole, furono osser-vate col massimo scrupolo, in tutto il loro rigido for-malismo, dal clero e dalla corte, dalla feudalità e dallaburocrazia del Regno Medio. I feudatari erano piccolire, che, in fatto di formalità, cercavano di superare lostesso Faraone; e l�alta burocrazia, ancora ermetica-mente chiusa alla classe media, era tutta permeata di spi-rito gerarchico e di sentimenti conservatori. Soltanto colRegno Nuovo, sorto dal caos dell�invasione degli Hyk-sos, mutano i rapporti sociali. L�Egitto, finora isolato echiuso in sé con le sue tradizioni nazionali, diventa unpaese non solo materialmente e intellettualmente flori-do, ma di larghe vedute, che crea gli inizi di una civiltàsovranazionale. L�arte egiziana non solo soggioga tuttii paesi rivieraschi del Mediterraneo e tutto il vicinoOriente, ma accoglie a sua volta stimoli da ogni parte escopre che anche al di là dei suoi confini, delle sue tra-dizioni e convenzioni, c�è un mondo21.

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Capitolo quarto

Il naturalismo dell�epoca di Echnatòn

Amenhotep IV, che legò il suo nome al grande rivol-gimento spirituale, non è solo � come tutti sanno � ilgrande riformatore religioso, lo scopritore dell�ideamonoteistica; non è solo, come fu chiamato, il «primoprofeta» e il «primo individualista» della storia univer-sale22, ma è anche il primo consapevole rinnovatore del-l�arte, il primo che fa del naturalismo il proprio pro-gramma e lo contrappone come una conquista allo stilearcaico. Bek, il suo capo-scultore, aggiunge ai proprititoli le parole: «l�allievo di Sua Maestà»23. Ciò che l�ar-te gli deve e che gli artisti hanno appreso da lui, è � evi-dentemente � il nuovo amore della verità, la nuova, ner-vosa sensibilità, che conduce a quello che si potrebbedefinire l�impressionismo dell�arte egiziana. Alla sualotta contro le tradizioni religiose fossilizzate e svuota-te di ogni senso, corrisponde il superamento del rigidostile accademico da parte dei suoi artisti. Sotto la suainfluenza il formalismo del Regno Medio lascia il posto,nella religione come nell�arte, all�amore della vita e dellanatura, al piacere di nuove scoperte. Si scelgono nuovimotivi, si cercano nuovi tipi, si favorisce la rappresen-tazione di situazioni nuove e inconsuete, si tende adescrivere la vita intima e individuale: piú ancora, sicerca di introdurre nei ritratti una tensione spirituale,una superiore finezza dei sensi e una vivacità nervosa

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quasi anormale. Appaiono i primi spunti del disegnoprospettico, tentativi di composizioni unitarie di grup-po, un interesse piú vivo per il paesaggio, una certa pre-ferenza per le descrizioni di genere, e � come conse-guenza dell�ostilità per l�antico stile monumentale � ungusto spiccato per le forme gentili e delicate dell�arteminore. Ora è sorprendente osservare come, nonostan-te tutte le innovazioni, quest�arte rimanga, in tutto e pertutto, arte aulica, cerimoniale e protocollare. Nei moti-vi si esprime un nuovo mondo, nelle fisionomie si riflet-te uno spirito nuovo, una sensibilità nuova: ma la fron-talità, la rappresentazione «integrante», i rapporti e leproporzioni determinati dal rango sociale delle figure, ein aperto contrasto con l�esperienza, sono � con quasitutte le altre regole della correttezza formale � ancora invigore.

Abbiamo a che fare � nonostante la tendenza natu-ralistica dell�epoca � con un�arte che è ancora in tutto eper tutto arte di corte, e che fa pensare, sotto moltirispetti, al rococò, che, com�è noto, è anch�esso per-meato di tendenze antiformalistiche, individualistiche,rivoluzionarie, e resta non pertanto un�arte interamen-te aulica, cerimoniale e convenzionale. VediamoAmenhotep IV nel cerchio della sua famiglia, in scene esituazioni della vita quotidiana, in una prossimità e inti-mità umana senza precedenti: ma egli si muove ancorsempre in piani squadrati, rivolge allo spettatore l�inte-ra superficie del petto ed è grande il doppio dei comu-ni mortali; la rappresentazione è ancor sempre arte ari-stocratica, monumento regale, immagine ufficiale. Ilmonarca, è vero, non è piú raffigurato come un dio, libe-ro da ogni scoria terrena, ma è ancor sempre soggettoall�etichetta di corte. C�è qualche esempio di figura cheprotende il braccio piú vicino allo spettatore, invece diquello piú lontano; troviamo dappertutto mani e piedianatomicamente piú corretti, giunture piú naturalmen-

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te snodate; ma, sotto altri rispetti, l�arte sembra ancorpiú preziosa di quel che non fosse prima della granderiforma.

Il naturalismo del Regno Nuovo possiede mezziespressivi cosí ricchi e sottili, che presuppongono certoun lungo passato, una lunga preparazione e un lungo per-fezionamento. Di dove vengono? In qual forma si man-tennero in vita, prima di sbocciare sotto il regno di Ech-natòn? Che cosa li salvò dalla rovina, durante il rigoreformalistico del Regno Medio? La risposta è semplice:il naturalismo era sempre stato latente nell�arte egizia-na, come corrente sotterranea; e ha lasciato tracceinconfondibili accanto allo stile ufficiale, almeno neglielementi accessori di quell�arte solennemente simbolica.L�egittologo W. Spiegelberg distingue questa correntedal resto dell�attività artistica, istituisce per essa unacategoria speciale e la chiama «arte popolare» egiziana.Ma non è chiaro se con ciò egli intenda un�arte fatta dalpopolo o per il popolo; un�arte rustica o un�arte urbanadestinata al popolo; e se, quando parla di «popolo», egliintenda le grandi masse di contadini e operai o i citta-dini del medio ceto, commercianti e funzionari. Se il«popolo», che è rimasto alla produzione primitiva e nel-l�ambito dell�economia rurale, entra in considerazionecome elemento creatore nelle fasi piú recenti della sto-ria egiziana, ciò accade, tutt�al piú, per l�artigianato, cioèper un ramo dell�arte che influisce sempre meno sull�e-voluzione stilistica, e che probabilmente non aveva granpeso neppure nel Regno Antico. Gli artigiani e gli arti-sti della reggia e del tempio vengono, sí, dal popolo, ma,come produttori d�arte per la classe dominante, hannoben poco in comune con le idee della loro classe d�ori-gine. Nelle monarchie dispotiche dell�antico Oriente, ilpopolo, escluso dai privilegi della proprietà e del pote-re, conta � come pubblico delle opere d�arte � altret-tanto poco e forse ancor meno che in epoche piú tarde.

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Pittura e scultura sono generi costosi, sempre e dapper-tutto appannaggio dei ceti privilegiati, e nell�anticoOriente forse piú esclusivamente che in seguito. Il popo-lo non aveva certo capacità d�acquisto sufficiente perfornire lavoro agli artisti e per procurarsi opere d�arte.Seppelliva i suoi morti nella sabbia, senza erigere lorosepolcri duraturi. Neppure il ceto medio, piú agiato,aveva un peso decisivo sul mercato artistico, accanto aigrandi feudatari e all�alta burocrazia; in ogni caso, nonera un elemento in grado d�influire sul destino dell�artecontro il gusto e i desideri del ceto dominante.

Già durante il Regno Antico, accanto alla nobiltà eai contadini, doveva esistere un ceto medio occupatonell�industria e nel commercio. Nel Regno Medio que-sto ceto s�irrobustisce notevolmente24. La carriera buro-cratica, che ora gli si apre, offre buone occasioni di ele-varsi, anche se da principio queste occasioni sono rela-tivamente modeste. Nel commercio e nell�industria èconsuetudine che il figlio succeda al padre nella profes-sione, e questo contribuisce alla formazione di una clas-se media piú nettamente delineata25. Flinders Petrie,pur mettendo in dubbio che una classe media agiata esi-stesse già nel Regno Medio, ammette, per il Nuovo, unaburocrazia già molto danarosa26. Poiché l�Egitto è diven-tato, in questo frattempo, non solo uno stato militareche nell�esercito offriva una promettente carriera ainuovi elementi che salivano dal basso, ma anche unostato burocratico sempre piú fortemente accentrato, chedoveva sostituire nell�amministrazione la nobiltà feuda-le in via di sparizione con una folla di funzionari dellaCorona, e foggiare una media burocrazia traendola dallefile degli antichi commercianti e industriali. Da questimilitari e impiegati subalterni uscí in gran parte il nuovoceto medio urbano, che cominciava a svolgere un certoruolo come committente di opere d�arte. Ma, pur pos-sedendo case e tombe ornate di oggetti artistici, non

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avrà avuto un gusto né aspirazioni essenzialmente diver-se da quelle del ceto dominante che cercava di emulare:ed è probabile che dovesse semplicemente accontentar-si di opere piú modeste. Comunque, noi non abbiamoalcun monumento di epoca dinastica che si possa consi-derare come esempio di un�arte popolare per sé stante,indipendente da quella della corte, dei templi e delleresidenze nobiliari. Può darsi che il medio ceto urbano,nonostante la soggezione intellettuale in cui si trovava,abbia a sua volta influito sulla visione estetica del cetodominante, depositario dei valori culturali. E forse sipuò stabilire un rapporto fra questa influenza dal bassoe l�individualismo e il naturalismo di Echnatòn; ma ècerto che il popolo e il ceto medio non produssero nérichiesero un�arte indipendente, distinta dallo stile uffi-ciale dei ceti superiori.

Non ci sono dunque, in Egitto, due specie di arte:non c�è un�«arte popolare» accanto all�arte dei signori.Se c�è una frattura attraverso tutta la produzione arti-stica dell�Egitto, essa non si apre fra due gruppi distin-ti di opere, ma attraverso le singole opere. Accanto allostile convenzionale e severo, rigido e cerimoniale, monu-mentale e solenne, troviamo dappertutto i segni di unadisposizione piú libera, piú spontanea, piú naturale.Questo dualismo si esprime piú nettamente là dove, inuna stessa composizione, due figure riflettono i duediversi stili. E opere di questo genere � come la notascena d�interno dove la padrona è effigiata nello stileaulico convenzionale, cioè di prospetto, e una serva,invece, in atteggiamento liberissimo, di fianco, con unparziale abbandono della simmetria frontale � mostra-no subito chiaramente che l�impiego dei diversi stilidipende solo ed esclusivamente dalla natura del sogget-to. I membri della classe dominante sono sempre raffi-gurati in stile aulico, e il basso popolo, sovente, in stilevolgarmente naturalistico. A determinare lo stile non è,

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quindi, la coscienza di classe degli artisti � che, anchese la possedevano, non erano in grado di esprimerla �,né quella del pubblico, completamente in balía dellacorte, della nobiltà e del clero; ma soltanto, come si èdetto, il tema proposto. Le scenette che mostrano ope-rai, domestici e schiavi al lavoro quotidiano, e appar-tengono alla suppellettile funeraria dei notabili, sonotrattate come naturalistici quadretti di genere; le statuedegli dei, invece, anche quando servono alle esigenze piúmodeste, non deviano dallo stile ufficiale dell�arte auli-ca. Piú volte, nel corso della storia dell�arte e della let-teratura, vedremo che lo stile muta a seconda del sog-getto. Cosí, in Shakespeare, i diversi modi della carat-terizzazione � e precisamente il principio che lo inducea far parlare in prosa volgare i servi e i buffoni, in versielaborati gli eroi e i gran signori � corrispondono a que-sta distinzione «egiziana» in funzione del tema. I per-sonaggi di Shakespeare non parlano il linguaggio realedi ogni singola classe e professione, come le figure deldramma moderno, delineate tutte naturalisticamente,alta o bassa che sia la loro posizione sociale; ma i mem-bri della classe dominante sono stilizzati e si esprimonoin un linguaggio del tutto irreale; i popolani invece sonomacchiette, e parlano l�idioma della strada, delle oste-rie e delle officine.

Heinrich Schäfer ritiene che il rispetto o la viola-zione del principio di frontalità dipenda dal fatto se lefigure sono quiete o in moto27. Benché, in complesso,questa osservazione sia giusta, non si può dimenticareche i re e i grandi vengono per lo piú raffigurati in quie-te solenne, e la gente del popolo, invece, quasi semprein moto e in faccende. D�altronde, i rappresentanti delceto signorile appaiono di prospetto � e ciò invalida lateoria � anche quando agiscono, come nelle scene di bat-taglia e di caccia.

È molto piú legittimo parlare, di un�arte di provin-

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cia accanto all�arte della capitale egiziana, anziché diun�arte popolare accanto all�arte aulica. Le opere d�ar-te che contano sorgono sempre � e col procedere deltempo sempre piú esclusivamente � alla corte del re onelle sue vicinanze; prima a Menfi, poi a Tebe, infine aTell-el-Amarna. Ciò che si fa in provincia, lontano dallacapitale e dai grandi santuari, è relativamente trascura-bile, e arranca a stento dietro l�evoluzione dell�arte28. Èun bene culturale «decaduto», non già qualcosa chesalga dal basso, dal popolo. Anche quest�arte provincia-le, che non è quindi lecito considerare come la conti-nuazione dell�antica arte rustica, è destinata alla nobiltàterriera, e deve la sua esistenza all�allontanamento del-l�aristocrazia feudale dalla corte, che è in corso fin dallasesta dinastia. Da questi elementi, staccatisi dalla capi-tale, si forma la nuova nobiltà di provincia con la sua cul-tura regionale arretrata e la sua arte provinciale di secon-da mano.

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Capitolo quinto

La Mesopotamia

L�arte della Mesopotamia, la cui economia è fonda-ta in prevalenza sul commercio e sull�industria, sul dena-ro e sul credito, appare � strano a dirsi � piú costretta,piú immobile, meno viva di quella dell�Egitto, pur tantopiú legato all�economia naturale ed agricola. Il codice diHammurabi, che risale al terzo millennio a. C., dimo-stra che commercio e artigianato, contabilità e gestionedel credito avevano raggiunto fin d�allora � in Babilo-nia � un notevole sviluppo; e si praticavano transazionibancarie relativamente complicate, come pagamenti aterzi e il mutuo conguaglio dei conti29. Scambi com-merciali e finanza erano assai piú sviluppati che in Egit-to, tanto che l�antico Babilonese poté essere definito, neiconfronti dell�Egiziano, come homo oeconomicus30. Lamaggior costrizione formale dell�arte babilonese, nono-stante l�economia piú dinamica, piú cittadina, contrad-dice alla tesi sociologica, altrove sempre valida, che col-lega il severo stile geometrico col tradizionalismo del-l�economia agricola, e il libero naturalismo con la piúdinamica economia urbana. Forse a Babilonia il dispo-tismo piú rigido, lo spirito religioso piú intollerante,pregiudicarono l�azione liberatrice della città; oppure, aspegnere in germe ogni impulso individualistico e natu-ralistico, bastò il fatto che non c�era arte se non al ser-vizio del re e del tempio, e nessuno, all�infuori del sovra-

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no e del clero, poteva influire sul suo sviluppo. In ognicaso, l�artigianato rurale e la plastica minore, di carat-tere piú popolare, ebbero, nel Paese dei Due Fiumi,ancor meno importanza che nelle altre civiltà dell�anti-co Oriente31, e l�attività artistica vi fu ancora piú ano-nima che, per esempio, in Egitto. Non conosciamo quasinomi di artisti babilonesi, e l�unico punto di riferimen-to per seguire l�evoluzione di quell�arte resta per noi lacronologia dei re32. Qui fra arte e mestiere non c�eradistinzione né di nome né di fatto; il codice di Ham-murabi nomina l�architetto e lo scultore accanto al fab-bro e al calzolaio.

Nell�astratto razionalismo della rappresentazione,l�arte babilonese e assira è ancora piú conseguente del-l�egiziana. La figura umana non solo è collocata in posi-zione rigidamente frontale, con la testa di profilo permaggior evidenza di linee, ma le parti caratteristiche delvolto, il naso e l�occhio, vengono notevolmente ingran-dite, mentre sono assai ridotti i tratti meno interessan-ti, come la fronte e il mento33. Nella scultura monu-mentale assira l�antinaturalistico principio di frontalitàsi fa valere specialmente nei leoni e nei tori alati postia guardia dei portali. Non vi è alcun genere dell�arte egi-ziana in cui lo stilismo sia cosí sovrano, la rinuncia a ognispecie d�illusionismo cosí assoluta come in queste figu-re, che, viste di fianco, hanno quattro gambe in movi-mento, viste di fronte, due gambe immobili, e cioè cin-que gambe in tutto; e sono la contaminatio di due ani-mali. La clamorosa offesa alla natura ha qui origini pura-mente razionali. L�artista voleva, senza dubbio, che lospettatore potesse vedere da ogni parte una figura in séconchiusa, formalmente e concettualmente perfetta.

Solo molto tardi, nell�viii e nel vii secolo a. C., l�ar-te assira subisce qualcosa come un�evoluzione verso ilnaturalismo. Nei bassorilievi con le battaglie e le caccedi Assurbanipal, gli animali sono straordinariamente

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naturali e vivaci; ma le figure umane sono pur semprefisse e stilizzate e ostentano ancora le stesse chiome e lestesse barbe rigide e artificiose di duemila anni prima.Siamo di fronte a un dualismo stilistico simile a quelloegiziano dei tempi di Echnatòn, e abbiamo a che farecon la stessa differenza, nella trattazione delle figureumane e animali, che si poteva osservare già nell�etàpaleolitica, e che dovremo constatare piú di una voltanel corso della storia dell�arte. Il paleolitico ritraeva l�a-nimale in modo piú naturalistico, perché tutto il suomondo gravitava intorno ad esso; altrettanto farannoepoche piú tarde, perché non lo riterranno degno di sti-lizzazione.

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Capitolo sesto

Creta

In tutta la cerchia dell�antica arte orientale non c�è,per la sociologia, problema piú arduo dell�arte cretese.Non soltanto essa si distingue dall�arte egiziana e meso-potamica, ma rappresenta un�eccezione in tutto il perio-do che va dalla fine del paleolitico sino agli inizi dellaclassicità greca. Nell�epoca dell�astratto geometrismo,cosí vasta che lo sguardo vi si perde, in questo mondoimmutabile di tradizioni severe e di rigide forme, Cretaci offre l�immagine di una vita colorata, incoercibile, bal-danzosa, senza che vi possiamo trovare rapporti econo-mici e sociali diversi da quelli del mondo circostante.Anche qui regnano despoti e feudatari, anche qui tuttala civiltà sta sotto il segno dell�autocrazia, proprio comein Egitto e in Mesopotamia: e tuttavia, quale diversaconcezione dell�arte! Che libertà di tendenze artisti-che, di fronte al vincolo opprimente delle convenzioniin tutto il resto dell�antico Oriente! Come spiegare que-sta differenza? Ci sono molte spiegazioni possibili, ma� anche per l�indecifrabilità della scrittura cretese � nes-suna pienamente valida e definitiva. Forse in parte ladifferenza è dovuta al fatto che religione e culto hannoavuto un�importanza relativamente secondaria nella vitapubblica dei Cretesi. A Creta non si sono trovati tem-pli di sorta, né monumentali simulacri di dei; i loro pic-coli idoli e i simboli cultuali rivelano un influsso della

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religione assai meno vasto e profondo di quel che usia-mo constatare nell�antico Oriente. Ma alla libertà del-l�arte cretese contribuisce anche la funzione straordina-riamente importante delle città e del commercio nellavita economica dell�isola. È vero che in Babilonia tro-viamo un analogo predominio del commercio, senzapoterne osservare analoghi effetti sull�arte; ma in nes-sun luogo dell�antico Oriente le istituzioni urbane pote-rono svilupparsi come a Creta. Qui c�erano numerosis-sime e svariate formazioni municipali: accanto a Cnos-so e a Festo � capitali e residenze di sovrani � città spic-catamente industriali come Gournià, e piccole borgatecome Preso34. Ma l�originalità dell�arte cretese deve anzi-tutto dipendere dal fatto che nell�Egeide, a differenzadegli altri paesi, il commercio � specialmente estero � erain mano alla classe dominante. Lo spirito inquieto einnovatore dei mercanti poteva quindi affermarsi piúliberamente che in Egitto o in Babilonia.

Pure anche questa non è che arte di re e di signori.Esprime la gioia di vivere, gli agi, il lusso di autocrati edi un�esigua classe dominante. Le testimonianze deimonumenti evocano una vita splendida, una corte fasto-sa, magnifiche dimore signorili, ricche città, immensilatifondi, e la vita amara di larghe masse rurali in statodi servitú. Come in Egitto e in Babilonia, l�arte ha uncarattere affatto cortigiano; ma l�elemento rococò, ilgusto per ciò che è raffinato e scherzoso, elegante edelicato, si fa valere piú energicamente. Hörnes sottoli-nea a ragione i tratti cavallereschi della civiltà minoica,accennando alla parte che avevano nella vita dei Crete-si i cortei e gli spettacoli, le giostre e i tornei, le donnee la loro civetteria35. Questi modi cortigiani e cavallere-schi, in contrasto con lo stile severo degli antichi baro-ni conquistatori e proprietari di terre, favoriscono �come piú tardi nel Medioevo � forme di vita piú libere,spontanee ed elastiche, e in armonia con esse promuo-

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vono un�arte piú individualistica, stilisticamente piúlibera e piú fedele al vero.

Ma, secondo un�altra interpretazione, l�arte cretesenon sarebbe, in realtà, piú naturalistica dell�arte � adesempio � egiziana; fa quest�effetto, si dice, non tantoper lo stile, quanto per l�ardita scelta dei temi, la rinun-cia alla solennità cerimoniale e la predilezione per lascena profana, l�episodio, la vivacità e il movimento36.Ma la «disposizione casuale» degli elementi compositi-vi, di cui si parla, nello stesso contesto, come di un ele-mento essenziale all�arte cretese, mostra che le sue carat-teristiche non si riassumono nella scelta dei temi e deimotivi. In questa «disposizione casuale», in questa com-posizione piú libera, sciolta, pittorica, si esprime, incontrasto con la costrizione orientale dell�arte egizianae babilonese, una libertà inventiva che si potrebbe quasidefinire «europea»; e, contro il principio stilistico del-l�accentramento e della subordinazione, un�idea dell�ar-te che favorisce l�affollarsi e l�avvicendarsi dei motivi37.L�arte cretese predilige a tal punto la semplice giustap-posizione, che non solo nei gruppi e nelle scene, maanche nella decorazione dei vasi, invece di ornati geo-metricamente chiusi troviamo per ogni dove un capric-cioso pullulare di motivi sparsi38. E questa libertà d�in-venzione è tanto piú significativa in quanto i Cretesi,come sappiamo, conoscevano benissimo i prodotti del-l�arte egiziana; e la rinunzia a quella monumentalità,solennità e rigidezza, è una prova che la grandiosità egi-ziana non corrispondeva al loro gusto e alle loro aspira-zioni artistiche.

Tuttavia anche l�arte cretese ha le sue convenzioniantinaturalistiche e le sue formule astratte; essa trascu-ra quasi sempre la prospettiva, le ombre mancano deltutto, i colori sono per lo piú limitati a tinte piatte, e lafigura umana è sempre piú stilizzata di quella animale.Ma anche qui il rapporto fra gli elementi naturalistici e

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antinaturalistici non è prestabilito e costante, ma si tra-sforma nel corso dello sviluppo39. L�arte cretese � anchese la fedeltà alla natura costituisce il suo tratto princi-pale e permanente � percorre press�a poco questa para-bola: da uno stile ancora geometrizzante, di derivazio-ne neolitica, attraverso un estremo naturalismo, a unastilizzazione arcaicizzante e un po� accademica. Soltan-to verso la metà del secondo millennio, alla fine delmedio evo minoico, Creta trova il suo caratteristiconaturalismo e tocca l�apogeo della sua evoluzione arti-stica. Nella seconda metà del millennio l�arte creteseperde molto della sua freschezza e spontaneità; le formediventano sempre piú schematiche e convenzionali, sem-pre piú rigide e astratte. Gli studiosi inclini all�inter-pretazione razziale dei fenomeni storici usano far risa-lire la ricomparsa del geometrismo all�influsso delle stir-pi elleniche che penetravano dal Nord nella Grecia con-tinentale, cioè agli stessi elementi etnici che crearono ilpiú tardo geometrismo greco40. Altri contestano la neces-sità di tale spiegazione e cercano le ragioni del muta-mento stilistico nell�evoluzione stessa delle forme41.

Di solito, per sottolineare l�originalità dell�arte cre-tese di fronte all�arte egiziana e mesopotamica, si parladella sua «modernità»; ma ciò che s�intende con questotermine è forse quel che vi è di piú discutibile in essa.Il gusto dei Cretesi, nonostante tutta la loro originalitàe il loro virtuosismo, non era precisamente raffinato esicuro. I loro modi artistici sono troppo facili e com-piacenti per lasciare un�impressione profonda e duratu-ra. Gli affreschi cretesi, con le loro tinte da acquerelloe il loro disegno fin troppo semplice, ricordano le deco-razioni dei transatlantici di lusso e delle piscine42. Se l�ar-te moderna ha accolto molti stimoli da Creta, Cretastessa ha anticipato qualcosa dell�«arte industriale» deinostri tempi. La «modernità» dell�arte cretese non èsenza rapporto con la fabbricazione in serie e la produ-

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zione di massa, destinata all�intensa esportazione. Piútardi i Greci, nonostante un�industrializzazione altret-tanto estesa della produzione artistica, hanno saputoevitare il pericolo della schematizzazione; ma questoprova soltanto che nella storia dell�arte non sempre lestesse cause hanno gli stessi effetti, o forse le cause sonotroppo numerose, e spesso l�analisi scientifica non rie-sce ad esaurirle.

1 Cfr. ludwig curtius, Die antike Kunst, I, 1923, p. 71.2 j. h. breasted, A History of Egypt, 1909, p. 102.3 a. erman - h. ranke, Ägypten und ägyptisches Leben im Altertum,

1923, p. 503.4 röder, Ägyptische Kunst, in max ebert, Reallexikon der Vorge-

schichte, VII, 1926, p. 168.5 ludwig borchardt, Der Porträtkopf der Königin Teje, 1911.6 a. erman - h. ranke, Ägypten und ägyptisches Leben im Altertum

cit., p. 504.7 Ibid.8 Cfr. t. veblen, The Theory of the Leisure Class, III, 1899, Con-

spicuous Leisure [trad. it., La teoria della classe agiata, Torino 1949].9 s. r. k. glanville, Daily Life in Ancient Egypt, 1930, p. 33.10 max weber, Wirtschaftsgeschichte, 1923, p. 147.11 Cfr. w. m. flinders petrie, Social Life in Ancient Egypt, 1923,

p. 27.12 h. schäfer, Von ägyptischer Kunst, 1903, 3a ed., p. 59.13 Ibid., p. 68.14 f. m. heichelheim, Wirtschaftsgeschichte des Altertums, 1938,

p. 151.15 l. curtius, Die antike Kunst cit.16 Cfr. w. spigelberg, Geschichte der ägyptischen Kunst, 1903, p. 22.17 georg misch, Geschichte der Autobiographie, I, 1931, 2a ed., p. 10.18 w. spiegelberg, Geschichte der ägyptischen Kunst cit., p. 5.19 Cfr. h. schäfer, Von ägyptischer Kunst cit., p.57.20 w. hausenstein ha già attirato l�attenzione sul rapporto della

frontalità con la struttura sociale delle civiltà «feudali e ieratiche», in«Archiv für Sozialwissenshaft», vol. XXWI, 1913, pp. 759-60.

21 richard thurnwald, Staat und Wirtschaft im alten Ägypten,«Zeitschrift für Sozialwissenshaft», vol. IV, 1901, p. 699.

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22 j. h. breasted, A History of Egypt cit., pp. 356, 377.23 Ibid., p. 378.24 eduard meyer, Die wirtschaftliche Entwicklung des Altertums.

Kleine Schriften, I, 1924, p. 94.25 j. h. breasted, A History of Egypt cit., p. 169.26 flinders petrie, Social Life in Ancient Egypt cit., p. 21.27 h. schäfer, Von ägyptischer Kunst cit., p. 62.28 röder, Ägyptische Kunst, in max ebert, Reallexikon der Vorge-

schichte cit., p. 168; cfr. h. schäfer, Von ägyptischer Kunst cit., p. 6o.29 o. neurath, Antike Wirtschaftsgeschichte, 1926, 3a ed., pagine

12-13.30 walter otto, Kulturgeschichte des Altertums, 1925, p. 27.31 eckhard unger, Vorderasiatische Kunst, in max ebert, Real-

lexikon der Vorgeschichte, VII, 1926, p. 171.32 bruno meissner, Babylonien und Assyrien, I, 1920, p. 274.33 Ibid., p. 316.34 g. glotz, La civilisation égéenne, 1923, pp. 162-64 [trad. it., La

civiltà egea, Torino 1952].35 h. hörnes - o. menghin, Urgeschichte der bildenden Kunst, 1925,

p. 391.36 g. rodenwaldt, Die Kunst der Antike, 1927, pp. 14-15.37 l. curtius vede nell�arte cretese «la prima manifestazione di un

nuovo spirito europeo, che... nella sua appassionata versatilità si distin-gue nettamente da quello orientale» (Die antike Kunst cit., II, p. 56);g. karo invece parla del suo «carattere non greco, anzi non europeo»(in m. ebert, Reallexikon cit., VII, p. 93).

38 Cfr. g. kato, Die Schachtgräber von Mykenai, 1930, p. 288; g.a. s. snijder, Kretische Kunst, 1936, pp. 47, 119.

39 Cfr. d. g. hogarth, The Twilight of History, 1926, p. 8.40 h. hörnes - o. menghin, Urgeschichte der bildenden Kunst in

Europa cit., pp. 378, 382; c. schuchhardt, Alteuropa, 1926, p. 228.41 g. rodenwaldt, Nordischer Einfluss im Mykenischen?, «Jahrbu-

ch des Deutschen Archäologischen Instituts», suppl. xxxv, 1920, p. 13.42 Sulla discutibilità del gusto cretese, cfr. g. glotz, La civilisation

égéenne cit., p. 354, e a. r. burn, Minoans, Philistines and Greeks,1930, p. 94.

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l�antichità classica

Capitolo primo

I tempi eroici e i tempi di Omero

Per noi l�epos omerico è la piú antica poesia in lin-gua greca; ma certo i poemi omerici non furono i primipoemi greci, e non solo perché la loro struttura è trop-po complicata per un inizio, e il loro contenuto è trop-po composito, ma anche perché, nella leggenda perso-nale di Omero, ci sono molti tratti inconciliabili conl�immagine del presumibile autore di quei poemi e conla sua concezione del mondo, illuminata, scettica e spes-so frivola. La figura dell�antico aedo, del cieco di Chio,è in gran parte la sintesi di reminiscenze che risalgonoal poeta come vate, veggente sacerdotale e ispirato. Lasua cecità non è che il segno esteriore dell�intima luceche lo invade e gli fa vedere cose che gli altri non pos-sono vedere. Certo, in questa infermità fisica � comenello zoppicare del divino fabbro Efesto � si esprimeanche l�idea primitiva che gli autori di poemi, operefigurative e altri prodotti dell�arte, escono dalle filedegli inabili alla guerra e alla lotta. Per il resto, la leg-genda di Omero coincide quasi completamente col mitodel poeta, che, apparizione ancora semidivina, capace diprodigi e di profezie, si concreta nella figura di Orfeo,il cantore che ricevette la lira da Apollo e fu iniziatoall�arte del canto dalla Musa stessa; colui che sapevacommuovere non solo uomini e bestie, ma anche alberie rupi, e con la sua musica sottrasse Euridice al bandodella morte. «Omero» non possiede piú questa virtú

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magica, ma conserva i tratti del veggente ispirato e lacoscienza del sacro e misterioso vincolo con la Musa, acui si rivolge in confidenti invocazioni.

La poesia della Grecia preistorica, come ogni poesiaprimitiva, consisteva probabilmente in scongiuri ed ora-coli, formule d�augurio e di preghiera, canti di guerra edi lavoro. Tutti questi generi avevano un tratto comu-ne: erano poesia collettiva e sacrale. Ai cantori di scon-giuri e di oracoli, agli inventori di nenie funebri e dicanti guerreschi era estranea ogni nota individuale; laloro poesia, anonima e destinata a tutta la comunità,esprimeva idee e sentimenti comuni a tutti. A questapoesia impersonale e sacrale corrispondono, nell�artefigurativa, quei feticci, quelle pietre, quei tronchi d�al-bero che non si possono ancora chiamare sculture, edove la forma umana è appena accennata, venerati abantiquo nei templi greci. Come le prime formule d�in-cantesimo e gli antichissimi canti rituali, essi sono artecomunitaria primitiva; l�espressione artistica, ancoraassai rozza e impacciata, di una società quasi indiffe-renziata. Non sappiamo nulla della condizione socialedegli esecutori, quale parte svolgessero nella vita delgruppo e in quale stima li tenessero i contemporanei;probabilmente non erano cosí onorati come gli artisti-maghi dell�età paleolitica, o i sacerdoti e i vati dellaneolitica. Ma anche gli artisti figurativi avevano i loroantenati mitici. Si narra che Dedalo sapeva infonderevita al legno e far drizzare e muovere la pietra; ch�eglifabbricasse ali a sé e al figlio per varcare il mare a volo,non è, per la leggenda, piú meraviglioso del fatto chesapesse intagliare statue e progettare il Labirinto. Eglinon è certo l�unico, ma forse soltanto l�ultimo artista-mago. Comunque, il tema di Icaro che precipita in mare,perché gli si è fusa la cera delle ali, ha tutto l�aspetto diun simbolo, e sembra significare che con Dedalo tra-montò l�era dei maghi.

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Con l�inizio dei tempi eroici muta radicalmente lafunzione sociale della poesia e la posizione sociale delpoeta. La visione profana e individualistica dell�aristo-crazia guerriera infonde alla poesia un nuovo contenu-to e assegna nuovi compiti al poeta. Questi esce dall�a-nonimato e dall�inaccessibilità del sacerdozio, e la poe-sia perde il suo carattere sacrale e collettivo. Nei prin-cipati arcaici del secolo xii, i re e i nobili, gli «eroi» dacui l�epoca prende nome, sono ladroni e corsari, che sidefiniscono orgogliosamente «saccheggiatori di città»; iloro canti sono mondani ed empi, e la leggenda troiana,la corona della loro gloria, non è che la trasfigurazionepoetica del saccheggio e della pirateria. Il loro spirito dis-soluto e irriverente è una conseguenza del continuostato di guerra, delle continue vittorie e del brusco muta-mento delle condizioni di cultura e di civiltà. Come vin-citori di un popolo piú colto, come profittatori di unaciviltà molto piú progredita della loro, si emancipanodalle strettoie della religione avita, ma disprezzanoanche i precetti e i divieti religiosi del popolo vinto, peril fatto stesso che si è lasciato vincere. Tutto spinge queiguerrieri errabondi a un individualismo sfrenato, incu-rante di ogni tradizione e di ogni diritto. Per loro tuttodiventa oggetto di contesa e occasione di avventura,poiché nel loro mondo tutto fa capo alla forza fisica, alvalore, all�abilità e all�astuzia individuale.

Il momento sociologicamente decisivo è il passaggiodall�organizzazione impersonale della tribú primitiva auna specie di monarchia feudale, che si basa sulla fedeltàpersonale dei vassalli verso il loro signore, e non solo èindipendente da vincoli familiari, ma interferisce neivincoli di parentela e dissolve radicalmente i doveriverso i consanguinei. L�etica sociale del feudalesimo sivolge contro la solidarietà del sangue e della stirpe; indi-vidualizza e razionalizza i rapporti morali2. La gradualedissoluzione della tribú si manifesta chiaramente nei

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conflitti fra consanguinei, sempre piú frequenti a parti-re dall�età eroica. La fedeltà del vassallo, del suddito, delcittadino si sviluppa progressivamente e alla fine diven-ta piú forte della voce del sangue. È un processo chedura per secoli e si conclude, dopo gli episodi di reazio-ne promossi dagli aristocratici, gelosi dei diritti dellastirpe, solo con la vittoria della democrazia. La tragediagreca dell�epoca classica è ancora piena del conflitto tralo stato fondato sulla stirpe e quello fondato sul popo-lo, e l�Antigone sofoclea gravita intorno allo stesso pro-blema della fedeltà che è già il punto centrale dell�Ilia-de. Nell�età eroica non si giunge ancora all�urto violen-to, perché il problema non è ancora legato ad una crisidell�ordinamento sociale dominante. Ma ne risultaun�inversione dei valori morali, e infine la vittoria di unindividualismo sfrenato, che rispetta soltanto un codiced�onore da predoni.

La poesia dei tempi eroici, conformemente a questaevoluzione, non è piú poesia di popolo e di masse, liri-ca corale o di gruppo, ma canto singolo sul destino indi-viduale. Non ha piú il compito di infiammare alla bat-taglia, ma lo scopo d�intrattenere gli eroi dopo la vitto-ria, di citarli per nome e di lodarli, di bandirne ed eter-narne la fama. Il carme eroico deve la sua origine allasete di gloria della nobiltà guerriera, ed è questa sete chedeve innanzitutto soddisfare: tutto il resto ha, per il suopubblico, un�importanza secondaria. E in una certamisura tutta l�arte dell�antichità classica è in funzionedell�aspirazione alla gloria, del desiderio di essere esal-tati nel presente e nell�avvenire3. La storia di Erostra-to, che incendia il tempio di Artemide Efesia per immor-talare il proprio nome, dà un�idea della forza sempreintatta di questa passione, che tuttavia, in seguito, nonsarebbe stata piú cosí produttiva come al tempo deglieroi. Gli autori dei carmi eroici sono panegiristi edispensatori di gloria: su questa funzione si fonda la loro

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esistenza, e da essa attingono la loro ispirazione. Ogget-to della loro poesia non sono piú desideri e speranze,cerimonie magiche, e atti del culto animistico, ma rac-conti di combattimenti sostenuti e di bottino conqui-stato. Con la loro funzione sacra, i poemi perdono ancheil loro carattere lirico; diventano epici, e in questa formasono la piú antica poesia profana, sciolta dal culto, di cuisi abbia notizia in Europa. In origine dovettero esserequalcosa come resoconti di guerra, cronache di eventibellici; e forse da principio si limitavano alle «ultimenotizie» sulle fortunate imprese militari e sulle spedi-zioni piratesche della stirpe. «Al canto piú nuovo, lalode piú alta», dice anche Omero (Od., I, 351-52), eDemodoco e Femio cantano dei fatti piú recenti. Maquei cantori non sono piú semplici cronisti; la narrazio-ne delle battaglie si è trasformata nel frattempo in ungenere fra storico e leggendario, assumendo caratteri diballata, misti di elementi epici, drammatici e lirici. Giài carmi eroici, i pezzi di cui si comporrà l�epos, debbo-no aver avuto questa forma ibrida, anche se l�elementoepico restava in essi determinante.

Il carme eroico non solo tratta di una persona sin-gola, ma è recitato da un singolo, e non piú da unacomunità o da un coro4. Poeti ed esecutori saranno stati,da principio, i guerrieri e gli eroi stessi; in altri termini,non solo il pubblico, ma anche gli autori della nuova poe-sia appartengono al ceto dominante: sono dilettanti dinobile stirpe, e talvolta principi. � La scena descritta nelBeowulf, in cui il re dei Danesi ordina ad uno dei suoieroi d�intonare un canto sulla battaglia testè vinta,potrebbe su per giú adattarsi anche all�età eroica dellaGrecia5. Ai dilettanti cavallereschi subentrano tuttaviaben presto poeti e cantori di corte � gli aedi � che pre-sentano il carme eroico in una forma già piú elaborataed efficace, perché affinata dall�esercizio. Intonano iloro canti ai banchetti comuni del re e dei suoi guerrie-

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ri; cosí fanno Demodoco, alla corte del re dei Feaci, eFemio nel palazzo di Odisseo a Itaca. Sono aedi dimestiere, ma � nello stesso tempo � cortigiani e vassal-li del re; nonostante il loro mestiere, passano per personerispettabili; appartengono alla società di corte e gli eroili trattano da uguali. Conducono la vita profana del cor-tigiano e, anche se «un dio seminò i canti nell�anima»loro (Od., XXII, 347-48), e se conservano il ricordo del-l�origine divina della loro arte, sono versati quanto illoro pubblico nel rude mestiere delle armi; e hannomolto di piú in comune con esso che coi loro antenatispirituali, i veggenti e i maghi della preistoria.

Della condizione sociale dei poeti e degli aedi l�eposomerico non ci dà un quadro unitario. L�uno appartie-ne alla casa del principe, l�altro sta a mezza strada tral�aedo di corte e il cantastorie popolare6. Può darsi cheanche qui si confondano le condizioni dell�età eroicacon quelle che videro la composizione e l�ultima reda-zione dei poemi epici, cioè dell�età omerica stessa. Inogni caso, è lecito supporre che fin dai tempi piú anti-chi, accanto agli aedi della nobile società di corte, ci fos-sero anche cantanti girovaghi, che intrattenevano ilpubblico sulle piazze e nelle terme, forse con storiemeno grandiose e solenni delle avventure eroiche7. Diqueste storie l�epos non ci consente di farci un�idea pre-cisa, a meno che non si vogliano far risalire a quelle nar-razioni popolari aneddoti come quello dell�adulterio diAfrodite8.

Nell�arte figurativa gli Achei continuano la tradi-zione cretese-micenea, e anche lo stato sociale dell�arti-sta presso di loro non dovette differire gran che da quel-lo dell�artista-operaio di Creta. Non è certo pensabileche uno scultore o un pittore sia mai uscito dalla nobiltàachea, né che abbia appartenuto alla società di corte.Anzi, il fatto che principi e nobili si dilettassero di poe-sia e che i poeti di professione fossero esperti nel mestie-

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re delle armi, contribuiva ad accrescere ulteriormente ladistanza fra il lavoro manuale dell�artista e l�opera intel-lettuale del poeta; e questo nuovo tratto, piú di qualsiasialtro, innalza il valore sociale del poeta dei tempi eroi-ci al di sopra di quello dello scriba nell�antico Oriente.

L�invasione dorica segna la fine dell�epoca che avevasubito tradotto in canti e in leggende le sue imprese eavventure guerresche. I Dori sono un rozzo e prosaicopopolo di contadini che non canta le proprie vittorie; ei discendenti degli eroi, cacciati dai Dori, dopo essereemigrati sulle coste dell�Asia Minore, non vanno piú incerca di avventure. Essi trasformano le loro monarchiemilitari in pacifiche aristocrazie di possidenti e com-mercianti, in cui anche quelli che una volta erano i renon sono piú che privati latifondisti. E se finora le caseprincipesche e il loro seguito conducevano vita lussuo-sa a spese di tutta la popolazione, ora i beni si riparti-scono in piú mani e di conseguenza diminuisce il fastodei ceti dominanti9. Il loro tenore di vita si fa meno pre-tenzioso e gl�incarichi ch�essi affidano a scultori e pit-tori nella nuova patria sono dapprima molto scarsi emodesti. Tanto piú grande è la poesia di quel tempo. Ifuggiaschi portano con sé nella Jonia i loro carmi eroi-ci, e là, fra popoli stranieri, sotto l�influsso di civiltà stra-niere, nel corso di tre secoli nasce l�epos. Sotto la formajonica definitiva possiamo ancora riconoscere l�anticamateria eolica, possiamo stabilire la differenza dellefonti, possiamo constatare l�ineguale qualità delle singoleparti e l�irregolarità dei passaggi, ma non sappiamo concertezza che cosa debba l�arte dell�epos al carme eroico,né come si ripartisca fra i diversi poeti, le loro diversescuole e generazioni, il merito di questo successo incom-parabile. Soprattutto non sappiamo se questa o quellapersonalità indipendente sia intervenuta nel lavoro col-lettivo in modo determinante per la forma conclusivadell�opera; o se quel che vi è di singolare e di unico nei

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poemi vada considerato come il risultato di molte ideeparticolari ed eterogenee, di tradizioni continuamenteriprese e perfezionate, e se dobbiamo quindi ringrazia-re il «genio della collettività».

La poesia, che, durante l�età eroica, differenziando-si il poeta dal sacerdote, aveva assunto forme piú per-sonali ed era esercitata individualmente, mostra dinuovo una tendenza collettivistica. L�epos non è piú l�o-pera di singoli poeti, ma di intere scuole, e probabil-mente d�intere corporazioni poetiche. È l�opera, se nondi una comunità etnica, di una comunità di lavoro, cioèdi un gruppo di artisti spiritualmente solidali, uniti fraloro da tradizioni e metodi comuni. Cosí comincia unanuova organizzazione del lavoro artistico, completa-mente ignota ai poeti piú antichi, un modo di produ-zione seguito finora soltanto nelle arti figurative, e chepermette � anche nella letteratura � la divisione dellavoro fra docenti e allievi, maestri ed aiuti.

L�aedo cantava i suoi versi nell�aula regia, davanti aun pubblico di principi e di nobili; il rapsodo recitapassi dell�epopea nelle sedi dei nobili, nelle case deisignori, ma anche nelle feste popolari, nelle fiere, nellebotteghe e nelle terme. Quanto piú la poesia diventapopolare, quanto piú largo è il pubblico a cui si rivolge,e tanto meno stilizzata si fa la sua dizione, che si avvi-cina sempre piú alla chiarezza del linguaggio abituale; ilmetro e la recitazione succedono alla lira e al canto. Que-sto processo di popolarizzazione si conclude soltantonella madrepatria, a cui la leggenda ritorna nella suanuova forma di epopea, e dove l�epos, diffuso dai rapso-di, viene ulteriormente elaborato dagli epigoni e tra-sformato dai tragici. La recitazione dei poemi epici nellefeste popolari è di precetto fin dai tempi della tiranni-de e della prima democrazia. Già nel secolo vi una leggeprescrive la recitazione degli interi poemi omerici � pro-babilmente ad opera di rapsodi destinati ad alternarsi �

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durante la festa quadriennale delle Panatenee. L�aedoglorificava i re e i loro vassalli; il rapsodo esalta il pas-sato nazionale. L�aedo cantava gli avvenimenti del gior-no, il rapsodo ricorda fatti storico-leggendari. Poetare erecitar poemi non sono ancora due professioni distinte,ma non è necessario che sia il poeta stesso a declamare10.Il rapsodo è un fenomeno di transizione fra il poeta el�attore. I molti dialoghi che l�epopea mette in bocca aisuoi personaggi, e che esigono dal recitante effetti tea-trali, gettano un ponte fra la recitazione epica e la rap-presentazione drammatica11. L�Omero della leggenda stafra Demodoco e gli Omeridi, l�aedo e i rapsodi. È unveggente sacerdotale e un attore girovago, a un tempofiglio delle Muse e cantore mendico. La sua figura nonha alcuna precisione storica, e non fa che riassumere epersonificare lo sviluppo che dal carme eroico delle cortiarcaiche conduce all�epos jonico.

Secondo ogni verosimiglianza, i rapsodi sapevanogià scrivere; anche se declamatori che sapevano tuttoOmero a memoria appaiono ancora in epoca moltotarda, l�ininterrotta recitazione senza il sostegno di untesto avrebbe finito per disgregare interamente i poemi.Noi dobbiamo concepire i rapsodi come abili ed esper-ti letterati, la cui attività professionale consisteva piut-tosto nel conservare che nell�accrescere i poemi tradi-zionali. Già il nome di Omeridi e la volontà di appog-giarsi a una leggendaria discendenza dal maestro provail carattere conservatore e quasi tribale della loro cor-porazione. Contro questa concezione è stato fatto osser-vare che gli appellativi delle corporazioni: «Omeridi»,«Asclepiadi», «Dedalidi», vanno considerati come sim-boli arbitrariamente scelti; chi li portava, né credeva auna discendenza comune, né voleva farvi credere12; maaltri ha fatto presente che da principio le singole pro-fessioni erano state monopolio delle diverse stirpi13.Comunque stiano le cose su questo punto, i rapsodi for-

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mavano una categoria professionale chiusa, separata daaltri gruppi, di letterati altamente specializzati, educatisecondo antiche tradizioni, ed estranei a qualunque«poesia popolare». L�«epos popolare» greco è un�in-venzione della filosofia romantica; nulla è meno «popo-lare» dei poemi omerici, e non solo nella loro formamatura, ma fin dai loro inizi. Essi, è vero, non sono piúpoesia di corte, ma il carme eroico lo era in tutto e pertutto: temi, stile, pubblico, tutto in esso aveva un carat-tere aulico-cavalleresco. Si mette persino in dubbio chein Grecia il carme eroico sia mai diventato poesia popo-lare, e si respinge l�analogia col poema nibelungico, che,dopo una prima fase aulica, fu portato fra il popolo damenestrelli girovaghi e attraversò un periodo popolare-sco prima di giungere alla sua forma definitiva, ritor-nando alle origini14. Secondo questa concezione, l�eposomerico continua immediatamente la poesia aulica deitempi eroici15. Gli Achei e gli Eoli avrebbero portato consé nella nuova patria non solo i loro carmi eroici, maanche i loro cantori; e questi trasmisero direttamente aipoeti dell�epos i canti che essi avevano cantato alle cortidei principi. Non ballate popolari tessale, ma canti auli-ci e celebrativi, destinati non già alle masse, ma al deli-cato orecchio di conoscitori, sarebbero quindi il nocciolodella poesia omerica. Solo molto tardi la leggenda eroi-ca diventerà popolare, nella forma dell�epos pienamen-te sviluppato, e solo in questa forma giungerà per laprima volta fra il popolo ellenico.

Contro tutte le idee romantiche circa la natura del-l�arte e dell�artista � idee fondamentali nell�estetica del-l�Ottocento � l�epos omerico, questo impareggiabileparadigma della poesia, non si può considerare né comela creazione di un individuo, né come un prodotto dellapoesia popolare; ma deve ritenersi anonima poesia d�ar-te, opera collettiva di eleganti poeti aulici e dotti lette-rati, dove i confini fra i contributi delle singole perso-

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nalità, scuole e generazioni, sono fluidi e inafferrabili.Cosí i poemi si mostrano a noi sotto una nuova luce, pursenza cedere il loro segreto. I romantici chiamavano illoro lato enigmatico «poesia ingenua e popolare»; pernoi l�enigma è quell�indefinibile forza poetica che dai piúdisparati elementi � visione e dottrina, ispirazione etradizione, doti proprie e acquisite � produce una caden-za cosí dolce, fluida e ininterrotta, un mondo cosí fittoe omogeneo d�immagini, un�unità cosí perfetta nei per-sonaggi � di vita e di significato.

La visione omerica del mondo è ancora tutta aristo-cratica, anche se non piú propriamente feudale; almondo feudale appartengono solo i suoi temi piú anti-chi. Il carme eroico si rivolgeva ancora esclusivamentea principi e nobili, e solo essi lo interessavano: i lorocostumi, le norme e gli scopi della loro vita. Certo, nel-l�epos il mondo non è piú cosí ristretto, ma l�uomo delpopolo è ancora senza nome, il comune guerriero senzaimportanza. In tutto Omero non c�è un solo caso in cuiun plebeo si elevi sul proprio stato16. L�epos non eserci-ta una vera critica né sulla monarchia né sull�aristocra-zia; Tersite, il solo a protestare contro i re, è il prototi-po dell�uomo incivile, che ignora l�urbanità dei costumie le buone maniere. Ma anche se ai tratti che sono statidefiniti «borghesi» delle similitudini omeriche17 noncorrisponde ancora uno spirito borghese, l�epos nonriflette piú tali e quali gli ideali eroici della leggenda. C�ègià una sensibile tensione fra la visione umana dei suoipoeti e il modo di vita dei suoi rozzi eroi. E l�«Omeronon eroico» non appare soltanto nell�Odissea. Odisseonon è il primo che appartenga a un mondo piú vicino alpoeta, diverso da quello di Achille; già il nobile, mite,generoso Ettore comincia a soppiantare l�eroe impetuo-so e violento nel cuore dell�aedo18. Ma tutto ciò provasoltanto che lo spirito dell�aristocrazia si va trasfor-mando, e non che i poeti dell�epos traggano i loro cri-

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teri morali dalle idee di un pubblico nuovo, estraneo allanobiltà. In ogni caso, quella a cui essi si rivolgono nonè piú la nobiltà terriera e militare, ma una pacifica ari-stocrazia urbana.

Veramente popolare, nata e cresciuta nell�ambientecontadino, è soltanto l�opera di Esiodo. Certo, neppu-re questa è «poesia popolare», diffusa fra il popolo, enon è neppure tale da poter gareggiare con gli aneddo-ti correnti nelle chiacchiere dei bagni; tuttavia, temi, cri-teri e scopi sono quelli dei contadini, delle plebi oppres-se dall�aristocrazia terriera. L�importanza storica del-l�opera esiodea sta nel fatto ch�essa è la prima espres-sione poetica di una tensione sociale, di un contrasto diclassi. Anche se la sua parola è conciliante, tranquilliz-zante, consolatrice � il tempo delle lotte di classe e dellerivolte è ancora lontano �, è pur sempre, nella lettera-tura, la prima voce chiara del popolo lavoratore, la primavoce che si levi per la giustizia sociale, contro l�arbitrioe la violenza. Accade qui, per la prima volta, che ilpoeta, invece dei compiti cultuali-religiosi e aulico-cele-brativi toccatigli finora, assuma una missione politico-educativa e diventi maestro, consigliere e campione del-l�oppresso.

È difficile istituire un rapporto storico fra lo stiledella poesia omerica e il geometrismo contemporaneo.Il raffinato, elegante linguaggio dell�epos non presentaaffinità evidenti con l�arido schematismo dell�arte geo-metrica. Né si può dire riuscito il tentativo di rintrac-ciare in Omero i principî di quell�arte19; poiché, a parteil fatto che le simmetrie e ripetizioni � a cui si riduce,nella poesia, l�elemento geometrico � si possono con-statare solo in singoli episodi dei poemi omerici, anchelà essi non costituiscono che lo strato piú esterno dellastruttura formale, mentre il geometrismo è l�intima

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essenza della composizione figurativa. Questa discor-danza è semplicemente dovuta al fatto che l�epos si svi-luppa in Asia Minore, nel crogiolo in cui si fondono laciviltà egea e le civiltà orientali, nel centro del com-mercio mondiale del tempo; mentre il geometrismo dellearti figurative è di casa in Grecia, presso i contadinidorici e beoti. Lo stile dei poemi omerici è il linguaggiodi una popolazione urbana, mista di elementi interna-zionali, mentre il geometrismo è l�espressione di unpopolo di contadini e di pastori, chiuso ad ogni influs-so esterno. La sintesi delle due tendenze, da cui risultal�arte greca successiva, si compie soltanto dopo la fusio-ne economica delle regioni costiere dell�Egeide, cioè aduno stadio evolutivo che sarà raggiunto solo dopo la finedell�epoca geometrica.

Intorno alla fine del decimo secolo, dopo circa due-cento anni di ristagno e d�imbarbarimento, il primo stilegeometrico segna, in Occidente, l�inizio di una nuovaevoluzione artistica. In un primo tempo, troviamo dap-pertutto le stesse forme pesanti, goffe, spiacevoli, lostesso linguaggio sommario e schematico; poi, lenta-mente, si delineano e si differenziano gli stili locali. Ilpiú noto, e artisticamente piú pregevole, è lo stile delDipylon, fiorente in Attica fra il 900 e il 700: un lin-guaggio ormai raffinato, già quasi di maniera, con locu-zioni leggiadre, rilisciate, già ridotte a formule. Essomostra come persino un�arte rustica, attraverso un lungoe ininterrotto esercizio, possa assumere un certo pre-ziosismo; e come una forma decorativa, organicamentedeterminata dalla struttura dell�oggetto da decorare,possa trasformarsi col tempo in uno «stile decorativopseudotettonico»20, in cui l�astrazione dalla realtà � ladeformazione violenta e spesso gratuita della natura �non cerca piú neppure di giustificarsi con la forma del-l�oggetto. Per esempio, sui frammenti di un vaso delDipylon, conservato al Louvre, c�è una «lamentazione

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funebre», con la salma composta nella bara, le preficheintorno al letto di morte, o meglio al di sopra, a mo� difregio; ai due lati e sotto il tema principale � iscritto inun rettangolo affatto indipendente dalla rotondità delvaso � ci sono uomini dolenti, che possono � a piacere� essere considerati come parte della scena o come puroornamento: il tutto serrato in una rete che ricorda ilavori all�uncinetto. Le figure dalle lunghe gambe sonotutte uguali, fanno tutte lo stesso gesto con le braccia,disegnando un triangolo il cui vertice inferiore è la vitadi vespa delle figure stesse. Non c�è profondità né ordi-ne spaziale; i corpi non hanno volume, né peso; tutto èdisegno in superficie e gioco di linee, tutto costretto instrisce, cerchi, scacchi, fregi, quadrati e triangoli. Dal-l�età neolitica è forse questa la piú forte e intransigentestilizzazione del vero; certo, molto piú unitaria e coe-rente di quella dell�arte egiziana.

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Capitolo secondo

L�arcaismo e l�arte alle corti dei tiranni

Solo intorno al 700 a. C., quando anche in Greciala vita rurale comincia a trasformarsi in vita urbana, siscioglie la rigidezza delle forme geometriche. Il nuovostile arcaico, che succede al geometrismo, nasce già dallasintesi fra l�arte dell�Oriente e quella dell�Occidente,della Jonia ad economia urbana e della madrepatria anco-ra quasi interamente dominata dall�economia rurale.

Tra la fine dell�epoca micenea e il principio del perio-do arcaico, in Grecia non ci sono palazzi, non ci sonotempli, non c�è un�arte monumentale; di quest�epocanon possediamo che i resti di un�attività artistica ridot-ta alla pura ceramica. Con l�arcaismo, lo stile del com-mercio in pieno rigoglio, delle città arricchite e della for-tunata colonizzazione, si apre un nuovo periodo di archi-tettura imponente e di scultura monumentale. È l�artedi una società la cui élite sale dal livello del contadino aquello del magnate urbano, di un�aristocrazia che comin-cia a consumare le proprie rendite in città, a occuparsid�industria e di commercio.

Da quest�arte scompare ogni angustia, ogni staticitàcampagnola; è un�arte cittadina, tanto nei compitimonumentali a cui deve assolvere, quanto nello spiritoinnovatore, aperto agl�influssi stranieri. Certo, è legataanch�essa a una serie di principî formali astratti, soprat-tutto alla visione frontale, alla simmetria, alla forma

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cubica elementare e alle «quattro vedute fondamentali»(E Löwy), di modo che non si può affermare che il geo-metrismo sia stato definitivamente superato prima del-l�inizio dell�età classica. Ma, entro questi limiti, l�artearcaica dimostra tendenze molto varie e spesso � dalpunto di vista naturalistico � molto progressive. Infat-ti, sia lo stile elegante, agile, sapiente delle kórai joni-che, sia le forme grevi, energiche, dinamiche delle primesculture doriche, pur nella loro costrizione arcaica, ten-dono all�espansione e alla differenziazione dei mezziespressivi.

Nelle regioni orientali predomina l�elemento jonico;lo sviluppo tende al raffinamento, alla formula, al vir-tuosismo, segue cioè un ideale stilistico che trova il suocompimento nell�arte di corte dell�epoca dei tiranni.Qui la figura femminile, come già a Creta, è il tema prin-cipale, e l�arte della costa e delle isole joniche non trovamai un�espressione cosí piena come in quelle statue difanciulle elegantemente vestite, accuratamente accon-ciate, riccamente adorne e dal fine sorriso che � a giu-dicare dall�abbondanza dei ritrovamenti � dovevanoaffollare i templi come immagini votive. Gli artisti arcai-ci, come i loro predecessori cretesi, non rappresentanomai la donna nuda; invece che nelle forme scoperte, essicercano i loro effetti plastici negli sviluppi del costumee del corpo che si disegna sotto le pieghe della veste. L�a-ristocrazia rifugge dalla rappresentazione del nudo che,«come la morte, è democratico» (Julius Lange); e se purtollera il nudo virile, lo tollera, da principio, solo comerichiamo ai ludi atletici, al culto della perfezione fisicae al mito del sangue. Olimpia, dove quelle statue diefebi furono erette, era il principale centro propagandi-stico dei Greci; là si foggiava l�opinione pubblica delpaese, e l�aristocrazia vi acquistava coscienza della pro-pria unità nazionale.

L�arcaismo dei secoli vii e vi è l�arte della nobiltà

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ancora molto ricca e padrona assoluta dell�apparato sta-tale, ma già minacciata nella sua potenza politica edeconomica. Dall�inizio dell�epoca arcaica, a poco a pocola borghesia urbana le strappa l�egemonia economica,mentre i grossi guadagni della nuova economia moneta-ria portano alla svalutazione delle rendite fondiarie. Sol-tanto in questa situazione critica l�aristocrazia cominciaa riflettere su se stessa21; solo ora essa comincia a sotto-lineare le proprie caratteristiche, per compensare inqualche modo la propria insufficienza nella contesa coiceti inferiori. I segni di razza e di classe, di cui primaera appena cosciente, e che considerava come ovvi enaturali, ora tende ad avvalorarli come particolari virtúe prerogative, come legittimo fondamento di specialiprivilegi. E ora soltanto, nel momento del pericolo,sorge il programma di una condotta di vita i cui principî,quando l�esistenza era ancora tranquilla e materialmen-te sicura, non erano mai stati codificati e forse neppureseguiti con tanta rigidezza. Solo ora si pongono le basidell�etica aristocratica: il concetto dell�areté, sintesi diprestanza fisica e di disciplina militare, che si richiamaall�origine, alla razza, alla tradizione; la kalokagathía,ideale equilibrio fra il corpo e lo spirito, fra le qualitàfisiche e morali; la sophrosyne, ideale dominio di sé,disciplina e misura.

Certo, anche in Grecia, l�epos trova dappertuttoascoltatori compresi e diligenti imitatori; ma la liricaindigena corale e gnomica, in diretto rapporto coi pro-blemi dell�ora, suscita � nella nobiltà che lotta per la pro-pria sopravvivenza � piú interesse dell�antiquata leg-genda degli eroi. Fin dall�inizio poeti gnomici comeSolone, elegiaci come Tirteo e Teognide, lirici coralicome Simonide e Pindaro si rivolgono alla nobiltà conseveri precetti morali, consigli e ammonimenti, e nonpiú con piacevoli storie d�avventure. La loro poesia èespressione soggettiva di sentimenti, propaganda politi-

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ca e filosofia morale ad un tempo; e ad essi spetta l�uf-ficio, non di divertire, ma di educare e guidare spiri-tualmente i membri del loro popolo e della loro classe.È loro compito tener viva nella nobiltà la coscienza delpericolo e ricordarle l�antico splendore. Teognide, l�i-spirato panegirista dell�ethos aristocratico, nutre anco-ra il piú profondo disprezzo per la nuova plutocrazia e,in contrasto con lo spirito economico di marca plebea,celebra le nobili virtú della liberalità e della «grandez-za»; ma già in lui si avverte la crisi del concetto di areté,poiché egli consiglia, sia pure a malincuore, di adattar-si ai nuovi rapporti creati dall�economia monetaria, ecompromette quindi l�intero sistema della morale ari-stocratica. Da questa crisi procede anche la visione tra-gica di Pindaro, il massimo poeta della nobiltà; e questacrisi, fonte della sua poesia, è anche la fonte vera dellatragedia. Certo i tragici, prima di prendere possesso del-l�eredità pindarica, debbono purificarla dalle scorie � ilculto ristretto della famiglia, l�unilaterale ideale sporti-vo, i «complimenti a maestri di ginnastica e palafrenie-ri»22 � e liberare la concezione tragica della vita � nellospirito di un pubblico ormai piú largo e composito � dal-l�angustia della visione pindarica.

Il nobile Pindaro scrive per la cerchia ristretta deisuoi pari, e tali li considera anche se, poeta di profes-sione, egli esercita l�arte sua per guadagno. E poiché neisuoi versi egli sostiene di esprimere soltanto la propriaopinione e pretende di essere ricompensato per una pre-stazione che però fornirebbe anche gratis, ha l�aria deldilettante che fa poesia esclusivamente per il proprio pia-cere e per il bene della propria classe. Questo dilettan-tismo fittizio suscita a prima vista l�impressione chel�attività poetica voglia liberarsi del suo carattere pro-fessionale, proprio mentre � in realtà � si compie ilpasso decisivo verso la figura del letterato di professio-ne. Già Simonide scrive versi su ordinazione e per qual-

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siasi committente, proprio al modo dei sofisti che, piútardi, metteranno in vendita i loro argomenti; egli è illoro precursore proprio in ciò per cui saranno piúdisprezzati23. Fra gli aristocratici vi sono anche veridilettanti, che partecipano, in via occasionale, alla com-posizione e all�esecuzione dei cori; ma di regola sia ipoeti che gli esecutori sono artisti di professione, cherappresentano, rispetto agli stadi precedenti, un�ulte-riore differenziazione professionale. Il rapsodo era poetae declamatore ad un tempo; ora le funzioni si dividono:il poeta non è piú cantore e il cantore non è piú poeta.Questa divisione del lavoro mette piú che mai in evi-denza la specializzazione della loro arte, dove il canto-re ha perso anche quell�apparenza di dilettantismo chesopravvive nel poeta vincolato dai suoi principî. I coreu-ti formano un ceto professionale largamente diffuso eben organizzato, di modo che i poeti possono spedire icarmi ordinati nella certezza che in nessun luogo diffi-coltà tecniche si frapporranno alla loro esecuzione.Come un direttore odierno è certo di trovare un�orche-stra idonea in ogni grande città, cosí allora si poteva con-tare dappertutto su un coro esercitato per le solennitàpubbliche e private. Questi cori erano mantenuti daimembri della nobiltà e costituivano uno strumento di cuipotevano disporre illimitatamente.

L�etica nobiliare e l�ideale di bellezza fisica e spiri-tuale dell�aristocrazia determinano anche le forme dellascultura e della pittura, anche se in queste forse non siesprimono con la chiarezza con cui si esprimono nellapoesia. Le statue di nobili efebi vincitori ad Olimpia,generalmente designate come «statue di Apollo», o lefigure dei frontoni di Egina, con la loro ostentata pre-stanza e il loro fiero portamento, corrispondono esatta-mente allo stile aristocratico ed eroicizzante, alla distan-za arcaica delle odi pindariche. Soggetto della sculturae della poesia è lo stesso ideale agonistico, lo stesso tipo

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umano aristocraticamente selezionato ed atleticamenteperfetto. La partecipazione ai giochi olimpici è riserva-ta alla nobiltà; essa sola dispone dei mezzi per prepa-rarvisi e prendervi parte. La prima lista dei vincitori èdell�anno 776 a. C.; la prima statua fu eretta, secondoPausania, nel 563. Fra queste due date cade l�epocamigliore dell�aristocrazia. Che le statue dei vincitorisiano state istituite allo scopo di rianimare il fervore diuna generazione piú debole, meno ambiziosa, piúmeschina?

Le statue di atleti non miravano affatto alla somi-glianza; erano ritratti ideali che, a quanto pare, servi-vano soltanto a ricordare le vittorie e a diffondere lafama dei giochi. È probabile che talvolta l�artista nonavesse neppure veduto il vincitore, e che dovesse ese-guire la statua sulla base di una descrizione approssi-mativa del modello24. La notizia riportata da Plinio,secondo cui gli atleti potevano pretendere ad una statuasomigliante dopo la loro terza vittoria, deve riferirsi adun�epoca piú tarda. Nell�età arcaica, con ogni probabi-lità, le statue non erano mai «somiglianti»; piú tardi èpossibile che si facesse la stessa distinzione che si fa oggi,quando un piccolo premio resta affatto impersonale, ungrande premio, invece, reca il nome del vincitore e i par-ticolari della gara. All�età arcaica, in ogni caso, era igno-ta l�idea del ritratto come l�intendiamo noi moderni, perquanto grandi abbiano potuto essere i progressi dell�in-dividualismo nel corso di quel periodo.

Con lo sviluppo della vita urbana, l�intensificarsidei rapporti commerciali e l�affermarsi dell�idea di con-correnza, la concezione individualistica si afferma inogni campo della vita spirituale. Anche l�economia del-l�antico Oriente si era sviluppata in una cornice urbana,e si fondava anch�essa in gran parte sul commercio e sul-l�industria, ma, anche dove non era monopolio dellareggia e del tempio, era pur sempre tale da lasciar poco

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spazio al gioco della competizione individuale. NellaJonia e in Grecia domina invece, almeno fra i cittadiniliberi, l�economia della libera concorrenza. L�inizio del-l�individualismo economico mette fine alla redazionedei poemi epici, e nello stesso tempo, col sorgere dellalirica, il soggettivismo comincia ad affermarsi anchenella poesia; e non solo nei temi, nel carattere di per sépiú personale del contenuto lirico nei confronti di quel-lo epico, ma anche nella pretesa del poeta di essere rico-nosciuto come autore delle proprie poesie. L�idea dellaproprietà privata intellettuale si annunzia e mette radi-ci. La poesia dei rapsodi era produzione collettiva, pro-prietà comune e indivisa della scuola, della compagnia,del gruppo; nessuno di loro considerava proprietà per-sonale i poemi che recitava. I poeti dell�età arcaica, enon soltanto i lirici del sentimento soggettivo, comeAlceo e Saffo, ma anche gli autori della lirica gnomicae corale, parlano in prima persona all�uditorio. I generipoetici inclinano a forme piú o meno individuali; intutte il poeta si esprime direttamente o si rivolge diret-tamente al suo pubblico.

In quest�epoca, verso il 700 a. C., cominciano adapparire le prime opere firmate dell�arte figurativa: aprela serie il vaso di Aristonothos, la piú antica opera fir-mata. Nel secolo vi appaiono le prime personalità arti-stiche chiaramente definite, una specie fino allora igno-ta25. Né la preistoria, né l�antico Oriente, né l�epoca geo-metrica dei Greci avevano mai saputo che cosa fosserostile individuale, fini e ambizioni personali dell�artista;in ogni caso, non avevano mai manifestato inclinazionidel genere. Soliloqui come le poesie di Archiloco o diSaffo, l�esigenza espressa da Aristonothos di esseredistinto da altri artisti, i tentativi di ripetere cose giàdette in modo diverso, se pur non sempre migliore, sonofenomeni assolutamente nuovi, prodromi di uno svilup-po che, se si prescinde dall�alto Medioevo, continuerà

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ininterrotto fino ai giorni nostri. Ma questa tendenzadeve vincere forti resistenze, specialmente nelle regionidi cultura dorica, L�aristocrazia è di per sé ostile all�in-dividualismo, e fonda i suoi privilegi su caratteri comu-ni alla classe alla stirpe. Ma la nobiltà dorica dell�etàarcaica è ancor meno accessibile alle idee ed aspirazioniindividualistiche di quel che non sia la nobiltà in gene-re e, in ispecie, di quel che non fosse la nobiltà dell�etàeroica o delle città mercantili della Jonia. L�eroe è sti-molato dalla gloria, il mercante dal guadagno; entrambisono individualisti. Ma per la nobiltà terriera dorica gliantichi ideali eroici da lungo tempo hanno perduto illoro valore, e, d�altro canto, l�economia monetaria emercantile rappresenta un pericolo piú che un vantag-gio. È naturale ch�essa preferisca trincerarsi dietro le tra-dizioni della propria classe e cerchi d�impedire i pro-gressi dell�evoluzione individualistica.

La tirannide, che alla fine del secolo vii usurpa ilpotere, dapprima nelle maggiori città ioniche, poi intutta la Grecia, segna la vittoria decisiva dell�indivi-dualismo sull�ideologia della stirpe, e, anche per questorispetto, è una forma di transizione alla democrazia, dicui, nonostante il suo carattere antidemocratico, antici-pa numerose conquiste. È vero che essa si rifà, col suosistema di accentramento monarchico, ad una fase anco-ra pre-aristocratica, ma nello stesso tempo intraprendela dissoluzione dello stato tribale, limita lo sfruttamen-to del popolo da parte della nobiltà terriera e realizza apieno la trasformazione della produzione domestica enaturale in economia monetaria e mercantile, determi-nando la vittoria del mercante sul proprietario di terre.I tiranni sono anch�essi grandi mercanti, spesso di nobi-le origine, che approfittano dei conflitti sempre piúnumerosi fra classi abbienti e proletariato, fra oligarchiae contadini, per impadronirsi del potere politico conl�aiuto della loro ricchezza. Sono principi-mercanti, che

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tengono una corte altrettanto splendida; e forse ancorpiú ricca di attrattive artistiche, di quella dei principi-corsari dell�età eroica. Ma sono anche intenditori di cuigiustamente è stato detto che precorrono i principi delRinascimento, e che sono stati definiti «antenati deiMedici»26. Come gli usurpatori del Rinascimento italia-no, essi debbono far dimenticare l�illegittimità del loropotere con la concessione di tangibili vantaggi e con lamagnificenza esteriore27; cosí si spiegano il liberalismoeconomico e il mecenatismo che caratterizzano il lorogoverno. L�arte, per loro, non è solo uno strumento digloria e di propaganda, ma è anche l�oppio che stordi-sce i sudditi. Tale è l�origine del loro mecenatismo,anche se spesso la loro politica artistica va unita ad unoschietto amore per l�arte e ad una autentica compren-sione. Le corti dei tiranni sono i principali centri cultu-rali, ove confluisce la produzione artistica del tempo.Quasi tutti i maggiori poeti sono al loro servizio: allacorte di Gerone, a Siracusa, troviamo Bacchilide, Pin-daro, Epicarmo, Eschilo; Simonide ad Atene, pressoPisistrato; a Samo, Anacreonte è il poeta aulico di Poli-crate, come Arione, a Corinto, lo è di Periandro. Puressendo fiorita presso le corti, l�arte delle tirannidi nonpresenta caratteristiche spiccatamente auliche. Lo spi-rito del tempo, razionalistico e individualistico, non per-mette il risorgere delle forme solennemente rappresen-tative e rigidamente convenzionali, che in generalecaratterizzano lo stile delle corti. A tale stile, nell�artedi quest�epoca, risale, tutt�al piú, il gioioso sensualismo,l�intellettualismo raffinato e la ricercata eleganza del-l�espressione, tratti già visibili nell�anteriore tradizionejonica e che le corti dei tiranni si limitarono a sviluppa-re ancor piú28.

L�arte delle tirannidi, confrontata con quella ditempi piú antichi, ci colpisce soprattutto per la povertàdei tratti sacrali. Le opere sembrano quasi totalmente

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libere da vincoli ieratici, e affatto esteriore il loro rap-porto con la religione. Che si tratti di un idolo divino,di un monumento sepolcrale, di un ex voto, l�uso cul-tuale è solo il pretesto della loro esistenza; il loro veroscopo e significato è la riproduzione piú perfetta possi-bile del corpo umano, l�interpretazione della sua bellez-za, la resa della sua forma sensibile, del tutto libera dariferimenti magici e simbolici. Può darsi che la produ-zione delle statue di atleti fosse collegata ad atti di culto,che le kórai joniche servissero come doni votivi, mabasta guardarle per convincersi che non potevano averenulla a che fare con sentimenti religiosi, e ben poco conle tradizioni del culto. Basta confrontarle con qualunqueopera dell�antico Oriente, per rendersi conto dellalibertà, anzi dell�arbitrio della raffigurazione. L�operaorientale, idolo o ritratto, è in funzione del culto. Anchele scene tratte dalla vita quotidiana sono in rapporto conla fede nell�immortalità e col culto dei morti. Questorapporto fra culto ed arte sussiste per un certo tempoanche fra i Greci (anche se fin dall�inizio meno stretto),e non c�è dubbio che le statue dei loro primi tempi fos-sero semplici doni votivi; cosa che Pausania afferma �strano a dirsi � per tutti i monumenti dell�Acropoli29.

Ma proprio durante la tarda epoca arcaica l�intimolegame fra, arte e religione si scioglie, e d�ora in poi laproduzione di opere profane cresce costantemente a sca-pito dell�arte sacra. La religione continua pertanto avivere e ad operare, benché l�arte non sia piú al suo ser-vizio. Anzi, nell�epoca della tirannide, si prepara unrinascimento religioso che fa sorgere dappertutto nuovefedi estatiche, nuovi misteri, nuove sette. Ma il loroprimo sviluppo è sotterraneo, ed esse non si affaccianoalla superficie dell�arte. E cosí non è piú l�arte a riceve-re ordinazioni e stimoli dalla religione, ma è lo zelo reli-gioso che viene stimolato dalla nuova maestria artisticadel tempo. Il costume di offrire agli dei, come doni

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votivi, immagini di esseri viventi, riceve nuova spintadall�abilità degli artisti, che le rende sempre piú impo-nenti, piú fedeli, piú attraenti e piú grate agli dei; i san-tuari si riempiono di sculture30. Ma l�artista non dipen-de piú dal clero, non è piú sotto la sua tutela e non nericeve ordinazioni. I suoi committenti sono le città, itiranni e, per lavori piú modesti, i ricchi privati; le opereche egli esegue per loro non hanno funzioni magiche osalutari, e, anche quando servono a fini sacri, non si pre-sentano con la pretesa di essere sacre.

Eccoci di fronte ad un�idea completamente nuovadell�arte: essa non è piú mezzo ad un fine, ma ha in sestessa fine e scopo. Da principio ogni forma spiritualesi esaurisce nella sua utilità pratica; ma le forme dellospirito hanno l�attitudine e la tendenza a svincolarsidalla loro destinazione originaria e a rendersi indipen-denti, cioè gratuite ed autonome. Appena l�uomo sisente sicuro e libero dalle preoccupazioni immediatedell�esistenza, comincia a giocare con gli strumenti dellospirito, che, nel bisogno, ha creato come armi e arnesi.Comincia a indagare le cause, a cercare spiegazioni, ascrutare rapporti che hanno poco o nulla in comune conla sua lotta per l�esistenza. Dalla conoscenza praticanasce la ricerca disinteressata; i mezzi per domare lanatura diventano metodi per scoprire un�astratta verità.E cosí, dall�arte che non è se non un elemento dellamagia e del culto, uno strumento di propaganda e di apo-logia, un mezzo per influire sugli dei, sui demoni e sugliuomini, nasce la forma pura, autonoma, «disinteressa-ta», un�arte in funzione di se medesima e della bellez-za. Cosí infine dai precetti e dai divieti, dagli obblighie dai tabú, che in origine dovevano rendere possibile laconvivenza sociale degli uomini e garantire il loro reci-proco accordo, nascono gli imperativi di un�etica«pura», l�avvio alla formazione della personalità mora-le. Il passaggio dall�attività pratica all�attività ideale,

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dalla forma condizionata alla forma astratta, nella scien-za come nell�arte e nella morale, è opera dello spiritogreco; come prima non c�è scienza pura, indagine teo-retica, conoscenza razionale, cosí non c�è arte nel sensonostro, cioè nel senso che permette di accogliere e gode-re le creazioni artistiche come pura forma. Ma questopassaggio dalla concezione per cui l�arte non è che un�ar-ma nella lotta per la vita � e solo come tale ha senso evalore � alla concezione per cui essa è indipendente daogni scopo pratico, da ogni utilità, da ogni interesseeteronomo, come puro gioco di linee e di colori, puroritmo e armonia, pura imitazione e variazione dellarealtà, segna forse la piú profonda trasformazione che sisia mai prodotta nella storia dell�arte.

Nei secoli vii e vi a. C., e cioè nello stesso tempo incui scoprono la scienza come ricerca pura, i Greci dellaJonia creano anche le prime opere di un�arte pura, disin-teressata, il primo accenno dell�«art pour l�art». Certo,questo mutamento non si compie nello spazio di unagenerazione, e neppure nel corso di tutto il periododella tirannide e dell�arcaismo; e forse non è una tra-sformazione che si possa esaurire in termini cronologi-ci. Quella che viene alla luce, è forse una tendenza anti-ca quanto l�arte. Anche nelle primissime creazioni arti-stiche questo o quel tratto può essere stato arte «pura»,indipendente da ogni fine o intenzione pratica: già neglioggetti della piú antica arte magica, cultuale e politico-propagandistica, questo o quello schizzo, questa o quel-la variante, poté nascere come puro gioco formale, chetrascurava per un attimo i compiti pratici. Insomma, chipuò dire quanta parte avessero ancora la magia, la pro-paganda e il culto dei morti nella statua di un dio o diun re egiziano, e quanto fosse già pura forma estetica,autonoma, libera dalla lotta con la vita e con la morte?Ma grande o piccola che fosse la parte di questo ele-mento estetico autonomo nelle creazioni preistoriche e

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protostoriche, fino all�arcaismo greco ogni arte fu, essen-zialmente, arte in funzione di scopi. Il sereno giocar conle forme, la facoltà di far dei mezzi un fine, la possibi-lità di adoperare l�arte solo per rappresentare la realtà enon per dominarla e modificarla, è la scoperta dei Grecidi quest�epoca. E se con ciò non fa che venire in luceun�antichissima tendenza, il fatto ch�essa si affermi es�imponga e che d�ora in poi le opere d�arte siano crea-te per se stesse, è di per sé della massima importanza,anche se le forme che si pretendono autonome possonoessere sociologicamente determinate e servire celata-mente a un fine pratico.

Lo sviluppo autonomo delle singole facoltà creatricipresuppone la formalizzazione delle funzioni spirituali;ma questa comincia quando si giudicano gli atti non piúsoltanto nella loro utilità pratica, ma anche nella lorointrinseca perfezione. Cosí, quando si ammira il nemi-co per la sua abilità o il suo coraggio, anziché negaresenz�altro il valore di una qualità che per noi può esse-re rovinosa, si fa il primo passo verso una concezioneimparziale e formale dei valori: questa si manifesta,chiarissima, nello sport, la paradigmatica «forma digioco» della lotta. Ma «forme di gioco» sono anche l�ar-te, la scienza «pura» e in un certo senso anche la mora-le, quando vengano esercitate come attività pura, a séstante, indipendente da ogni condizione esteriore.Quando esse si separano l�una dall�altra e dal comples-so della vita, la saggezza unitaria, il sapere indifferen-ziato, la conchiusa immagine del mondo propria dellepiú antiche civiltà, si spezza in tre sfere di attività spi-rituale: etico-religiosa, scientifica, artistica. Questa auto-nomia delle sfere si manifesta in tutta la sua evidenzanella filosofia naturale della scuola jonica dei secoli viie vi a. C. Qui, per la prima volta, troviamo forme dipensiero piú o meno libere da considerazioni, riguardi emire pratiche. Certo, anche i popoli delle civiltà preel-

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leniche facevano le loro osservazioni scientifiche, giun-gendo a conclusioni e calcoli giusti; ma tutto il lorosapere e la loro perizia erano permeati di riferimentimagici, di fantasie mitiche, di dogmi religiosi, e semprelegati all�idea di un�utilità. Presso i Greci noi troviamoper la prima volta una scienza non solo razionalmenteorganizzata, indipendente dalla fede e dalla supersti-zione, ma, fino a un certo segno, libera da preoccupa-zioni pratiche. Nell�arte il confine tra forma pratica eforma pura è meno evidente, e la svolta non è chiara-mente localizzabile anche se, con ogni probabilità, siverificò anch�essa nel secolo vii, nelle regioni di civiltàjonica. A rigore, già i poemi omerici appartengono almondo delle forme autonome: poiché non sono piú reli-gione, scienza e poesia insieme, non comprendono piútutto ciò che vale la pena di conoscere, vedere e saperein una data epoca, ma sono soltanto, o quasi soltanto,poesia. Comunque, la tendenza all�autonomia si affermaanche nell�arte, come nella scienza, sullo scorcio delsecolo vii.

Perché la svolta verso l�autonomia delle forme siverificò proprio in quel periodo e in quelle regioni? Tro-viamo subito una risposta nel fenomeno della coloniz-zazione e nelle ripercussioni che ebbe sui Greci la vitain mezzo a popoli e civiltà straniere. L�elemento stra-niero, che li circonda da ogni parte nell�Asia Minore, lirende consapevoli della loro originalità; ma questa con-sapevolezza e la conseguente accentuazione del proprioessere, la scoperta e l�affinamento delle proprie caratte-ristiche individuali, conduce involontariamente all�ideadella spontaneità e dell�autonomia. L�occhio che haappreso a riconoscere le differenze di mentalità tra idiversi popoli, scopre a poco a poco anche la differenzafra gli elementi di cui si compone la concezione delmondo di ciascuno di essi. Se la dea della fecondità, ildio del tuono o il genio della guerra sono rappresentati

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diversamente da ciascuno di essi, l�attenzione cominciaa dirigersi sulla rappresentazione in sé, e prima o poi cisi cimenta alla maniera altrui, ma senza collegare allarappresentazione la fede degli altri, anzi senza fede disorta. Di qui alla concezione della forma autonoma, scis-sa dall�immagine unitaria del mondo, il passo è breve.La coscienza dell�io, che integra e trascende l�occasioneattuale, è il primo grande risultato dell�astrazione; l�e-mancipazione delle singole forme spirituali dalla lorofunzione nel complesso della vita e nella visione unita-ria del mondo è un�ulteriore conquista.

La capacità di astrazione del pensiero, che conduceall�autonomia delle forme, è promossa � oltre che dallecircostanze e dalle esperienze della colonizzazione � daimezzi e dai metodi dell�economia monetaria. L�astrat-tezza dei mezzi di scambio, la riduzione dei diversi benia un denominatore comune, lo scindersi dello scambionei due atti distinti della compra e della vendita, sonotutti fattori che avvezzano l�uomo al pensiero astrattoe gli rendono familiare l�idea di una stessa forma perdiversi contenuti e di uno stesso contenuto in formediverse. Chi è già in grado di distinguere contenuto eforma, non tarderà a concepirli come reciprocamenteindipendenti e a scorgere nella forma un principio auto-nomo. Lo sviluppo di questa idea è favorito anch�essodall�accumulazione della ricchezza e dalla specializza-zione professionale connesse all�economia monetaria.Che si affranchino determinati elementi della società perla creazione di forme autonome � cioè «inutili» e«improduttive» � è segno di ricchezza, di mano d�ope-ra esuberante e di ozio. L�arte si libera dalla magia edalla religione, dalla scienza e dalla pratica, solo quan-do la classe dominante può concedersi il lusso di un�ar-te gratuita.

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Capitolo terzo

Classicità e democrazia

L�arte della Grecia classica presenta, a tutta prima,un problema sociologico insolitamente arduo. La demo-crazia, liberale e individualistica, e lo stile classico, rigo-roso e schematico, sembrano inconciliabili. Ma una inda-gine piú accurata rivela che né la democrazia dell�Ate-ne classica è cosí radicale e intransigente, né l�arte dellademocrazia ateniese è cosí rigorosamente «classica»come potrebbe sembrare a prima vista. Il secolo v a. C.è uno di quei periodi della storia dell�arte in cui matu-rano le piú feconde conquiste del naturalismo. Non èsolo la classicità ancora arcaica delle sculture di Olim-pia e dell�opera di Mirone: tutto il secolo, tranne brevipause, progredisce costantemente verso la natura. Laclassicità greca si distingue dai classicismi tardivi e deri-vati proprio per questo, che in essa l�amore della natu-ra è forte quasi come l�aspirazione alla misura e all�or-dine. Ma questo antagonismo dei principî informatoridell�arte corrisponde alla tensione che domina le formesociali e politiche del tempo, e soprattutto al rapportocontraddittorio dell�idea democratica col problema del-l�individualismo. La democrazia è individualistica, inquanto lascia libero corso alle forze in gara, stima cia-scuno secondo il suo valore personale e lo sprona al mas-simo rendimento; ma nello stesso tempo è antindivi-dualistica, in quanto livella le disuguaglianze sociali e

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annulla i privilegi della nascita. Ci troviamo ormai aduno stadio culturale cosí differenziato, che l�alternativafra l�individualismo e l�idea della comunità non si puòpiú formulare in termini chiari ed univoci; l�uno e l�al-tra sono indissolubilmente congiunti. Data la complica-zione dei rapporti, anche la valutazione sociologica deglielementi stilistici diventa piú difficile che negli stadianteriori. I diversi ceti, nei loro interessi e nei loroscopi, non si lasciano piú definire cosí nettamente comel�antica nobiltà terriera e il proletariato contadino neiloro rapporti reciproci. Non solo le simpatie del cetomedio sono divise, non solo la borghesia urbana assumeuna posizione intermedia fra nobili e popolani, e aspiratanto al livellamento democratico, quanto alla creazio-ne di nuovi privilegi capitalistici; ma anche la nobiltà,per il suo orientamento plutocratico, perde l�antica unitàe coerenza ideale, e s�avvicina al razionalismo della bor-ghesia priva di tradizioni.

Né i tiranni né il popolo riuscirono a spezzare lapotenza dei nobili; lo stato tribale fu soppresso e siaffermarono, almeno formalmente, le fondamentali isti-tuzioni democratiche; ma l�influsso della nobiltà perduròcon poche restrizioni. Confrontata con i dispotismiorientali, l�Atene del secolo v può considerarsi demo-cratica, ma accanto alle democrazie moderne sembrauna roccaforte dell�aristocrazia. Si governa in nome delpopolo, ma secondo lo spirito della nobiltà. Per lo piú,le vittorie e le realizzazioni politiche della democraziasi devono a uomini di stirpe aristocratica; Milziade,Temistocle, Pericle provengono da famiglie di anticanobiltà. Solo nell�ultimo quarto del secolo membri delceto medio prendono realmente parte alla direzionedegli affari pubblici; ma l�aristocrazia conserva la pro-pria egemonia nello stato. Deve, peraltro, dissimulare ilsuo predominio e fare alla borghesia continue conces-sioni, per lo piú soltanto formali. Che sia costretta a

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tanto, è senza dubbio un certo progresso; ma la demo-crazia politica non trapassa mai � neppure alla fine delsecolo � in democrazia economica; tutt�al piú, allanobiltà di sangue subentra un�aristocrazia del censo, elo stato aristocratico organizzato secondo i criteri tribalicede il posto a uno stato plutocratico fondato sulle ren-dite. Inoltre, Atene è una democrazia imperialistica:conduce una politica di guerra, di cui godono i vantag-gi i cittadini optimo iure e i capitalisti, a spese deglischiavi e dei ceti esclusi dai profitti di guerra. Nelmigliore dei casi, i progressi della democrazia significa-no un allargamento della classe che vive di rendita.

Poeti e filosofi non amano la borghesia, né ricca népovera; appoggiano la nobiltà, anche se sono di origineborghese. Tutti i grandi spiriti dei secoli v e iv, ad ecce-zione dei sofisti e di Euripide, stanno nel campo del-l�aristocrazia e della reazione. Aristocratici sono Pin-daro, Eschilo, Eraclito, Parmenide, Empedocle, Ero-doto, Tucidide; e Sofocle e Platone, benché figli di bor-ghesi, sono del tutto solidali con la nobiltà. PerfinoEschilo, il piú incline alla democrazia, si oppone, neisuoi anni tardi, ad un�evoluzione, a suo giudizio, trop-po progressiva31. Anche i commediografi del tempo �benché la commedia sia di per sé un genere democrati-co32 � hanno un orientamento reazionario; e nulla è piúsignificativo per le condizioni di Atene del fatto che unavversario della democrazia come Aristofane non soloriesca sempre vincitore nei concorsi, ma riscuota gran-di successi nel pubblico33. Queste tendenze conserva-trici, se ritardano i progressi del naturalismo, non pos-sono arrestarli. Ma dell�intima connessione fra natura-lismo e politica progressista da un lato, rigorismo for-male e spirito conservatore dall�altro, troviamo la provain Aristofane, che delle tragedie di Euripide critica adun tempo � e per le stesse ragioni � la violazione degliantichi ideali di vita aristocratica e dell�antico «ideali-

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smo» artistico. Secondo Aristotele, Sofocle stesso dice-va di rappresentare gli uomini come dovrebbero essere,mentre Euripide li rappresentava come sono (Poet.,1460 b, 33-35). Ma queste parole non sono che unadiversa formulazione del concetto aristotelico, secondocui le figure di Polignoto e i caratteri di Omero «sonomigliori di quel che noi siamo in realtà» (Poet., 1448 a,5-15), sicché probabilmente il detto attribuito a Sofo-cle non è autentico. Comunque, � sia stato Sofocle ilprimo a formularla, oppure Aristofane, o Aristotele, oaltri � la definizione dello stile classico come «ideali-smo» e dell�arte classica come rappresentazione di unmondo perfetto, di un�umanità migliore, caratterizzabene la forma mentis aristocratica predominante in quel-l�epoca. L�idealismo estetico della cultura aristocraticasi fa sentire anzitutto nella scelta dei soggetti. L�aristo-crazia preferisce, anzi sceglie esclusivamente, i temi del-l�antico mito ellenico, le storie degli dei o degli eroi; imotivi del presente e della vita quotidiana le sembranovolgari e insignificanti. Sulle prime, lo stile naturalisti-co suscita la sua avversione solo indirettamente, inquanto è lo stile corrente per trattare i temi moderni;ma quando, ed è il caso di Euripide, essa lo vede cimen-tarsi coi grandi soggetti storici, lo aborre ancor piú chenei generi popolareschi, dove almeno è adeguato alla tri-vialità dei soggetti.

La tragedia è la creazione piú caratteristica dellademocrazia ateniese; in nessun altro genere si esprimo-no con tanta chiarezza e immediatezza le intime con-traddizioni della sua struttura sociale. La sua forma este-riore, il suo rivolgersi a un gran pubblico, è democrati-co; ma aristocratico è il contenuto, il mito eroico e ilsenso eroico-tragico della vita. Fin dall�inizio la tragediasi rivolge ad un pubblico piú numeroso e piú vario diquello del carme eroico, destinato ai nobili conviti, eforse anche di quello dell�epos; d�altra parte, essa è tutta

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ispirata all�etica della grandezza individuale, dell�uomonobile, fuor del comune, incarnazione dell�aristocraticakalokagathía. Essa deve la propria origine al contrapporsidel corifeo al coro e al trapasso dalla forma corale delcanto alla forma dialogica del dramma, e cioè a motiviessenzialmente individualistici; la sua efficacia presup-pone, d�altra parte, un forte senso della comunità, unvasto livellamento di ceti relativamente estesi; e puòattuarsi nella sua forma genuina solo come esperienza dimassa.

Certo, anche la tragedia si rivolge ad un pubblicoscelto che, nel migliore dei casi, è formato dall�insiemedei cittadini optimo jure, e non ha quindi una composi-zione molto piú democratica delle classi dominanti nellapolis. Ma lo spirito del teatro ufficiale è ancor menopopolare del suo pubblico, poiché nella scelta dei dram-mi e sulla distribuzione dei premi non hanno un influs-so decisivo neppure quelle masse, già selezionate in anti-cipo, che assistono alle rappresentazioni. Ciò competeesclusivamente ai ricchi, che provvedono alla liturgia, ealla giuria, che non è che l�organo esecutivo dei magi-strati e nei suoi giudizi si lascia guidare soprattutto daconsiderazioni politiche. Il libero accesso e il compensoofferto agli spettatori per il tempo trascorso a teatro �provvidenze generalmente esaltate come il massimotrionfo della democrazia � sono invece tali da vietare apriori ogni influsso delle masse sul destino del teatro;poiché solo un teatro che dipenda dai propri introiti puòessere veramente popolare. La concezione, messa invoga dal classicismo e dal romanticismo, del teatro atti-co come prototipo del teatro nazionale, e del suo pub-blico come ideale di un intero popolo riunito in unacomune idealità artistica, è una deformazione dellaverità storica34. I ludi scenici della democrazia ateniesenon erano affatto teatro popolare; classici e romanticipoterono crederlo solo perché nel teatro essi vedevano

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soprattutto un istituto culturale. Il vero teatro popola-re dell�antichità classica fu il mimo, che non ricevevasovvenzioni e quindi neppure direttive dall�alto, e attin-geva i propri criteri solo dall�immediata esperienza delpubblico. Esso non offriva drammi sapientementecostruiti, con azioni tragiche ed eroiche, nobili e subli-mi, ma brevi scene a mo� di bozzetti naturalisticamen-te disegnati, con temi e tipi tratti dalla semplice vitaquotidiana. Qui troviamo per la prima volta un�artefatta non solo per il popolo, ma � almeno in una certamisura � dal popolo stesso. Anche se � com�è possibile� i mimi erano attori di professione, erano pur sempreattori popolari, e non avevano nulla a che fare con l�é-lite culturale, almeno finché non diventarono di modain società. Venivano dal popolo, ne condividevano igusti e attingevano dalla sua saggezza pratica. Non vole-vano istruire né educare gli ascoltatori, ma soltantointrattenerli. Questo teatro naturalistico e senza prete-se aveva dietro di sé uno sviluppo assai piú lungo e con-tinuo, e poteva presentare una produzione assai piúricca e varia del teatro classico ufficiale; ma le sue pro-duzioni sono andate quasi interamente perdute. Se sifossero conservate, avremmo forse una diversa idea dellaletteratura e, verosimilmente, di tutta la civiltà greca.Non solo il mimo è assai piú antico della tragedia, maprobabilmente risale alla preistoria, e il suo sviluppo siricollega direttamente alle danze magico-mimiche, ai ritidella vegetazione, ai sortilegi della caccia e al culto deimorti. La tragedia, che nasce dal ditirambo, genere insé non drammatico, deve quasi certamente al mimo laforma drammatica; e cioè la metamorfosi dei figurantinei personaggi fittizi dell�azione e la trasposizione delpassato epico nel presente. In essa, d�altronde, l�ele-mento drammatico rimane subordinato all�elemento liri-co-didascalico; già la sopravvivenza del coro prova chela tragedia non mira esclusivamente all�effetto dram-

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matico e deve servire anche a fini diversi dal diverti-mento del pubblico.

Nei ludi scenici la polis possiede il piú prezioso stru-mento di propaganda, e non è certo disposta ad abban-donarlo all�arbitrio dei poeti. I tragici sono degli sti-pendiati dello stato e suoi fornitori; questo li remuneraper le opere rappresentate, ma naturalmente fa rappre-sentare solo quelle opere che corrispondono alla suapolitica e agli interessi dei ceti dominanti. Le tragediesono opere di tendenza né vogliono dissimularlo: trat-tano questioni di attualità politica e s�imperniano suproblemi piú o meno direttamente connessi con la que-stione piú scottante del momento, il rapporto fra lostato tribale e lo stato popolare. Se, come si racconta,Frinico fu punito perché fece oggetto di un dramma lapresa recente di Mileto, ciò accadde, con ogni probabi-lità, perché la trattazione del tema non rispondeva allaconcezione ufficiale, non perché egli avesse violato ilprincipio dell�«art pour l�art»35. L�idea di un teatro libe-ro da ogni rapporto con la vita e con la politica era lon-tanissima dalla concezione artistica del tempo. La tra-gedia greca era «teatro politico» nel senso piú strettodella parola; la fervida preghiera per la prosperità dellostato attico nel finale delle Eumenidi mostra a che cosasoprattutto essa mirasse. In stretto rapporto con questapoliticizzazione del teatro è il fatto che il poeta vienenuovamente considerato come il custode di una sublimeverità e come l�educatore del suo popolo a un�umanitàsuperiore. Poiché le rappresentazioni fanno parte dellefeste organizzate dallo stato, e poiché la tragedia èdiventata l�interprete autorevole del mito, egli torna adavvicinarsi al sacerdote e al mago della preistoria.

L�insediamento del culto di Dioniso a Sicione adopera di Clistene è una mossa politica con cui il tirannocerca di soppiantare il culto di Adrasto, caro alla nobiltà;e le Dionisie introdotte ad Atene da Pisistrato sono

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feste politico-religiose, dove il fattore politico è di granlunga prevalente; ma le istituzioni e le riforme cultualidei tiranni si fondano su veri sentimenti e bisogni reli-giosi del popolo, e a questa disposizione sentimentaledebbono � in parte � il loro successo. La democrazia,come già la tirannide, si serve della religione soprattut-to per legare le masse al nuovo stato. Per questa allean-za di politica e religione, la tragedia si rivela l�interme-diaria ideale, proprio perché sta a metà strada fra la reli-gione e l�arte, fra il razionale e l�irrazionale, fra il dio-nisiaco e l�apollineo. Il momento razionale, il nesso cau-sale dell�azione drammatica, svolge nella tragedia findall�inizio una parte quasi altrettanto importante diquella svolta dall�elemento irrazionale, dall�emozionetragico-religiosa. Ma via via che l�arte classica diventapiú matura, il principio razionale prende il sopravventosull�altro. Infine tutto quel che è torbido ed oscuro,mistico ed estatico, incontrollato e inconscio, entra nellaluce meridiana delle forme sensibili; e dovunque si cercala coerenza dei personaggi, il nesso causale, il fonda-mento logico. Il dramma, il genere piú razionalistico, incui la motivazione serrata e conseguente è della massi-ma importanza, è anche la forma piú classica. Qui sivede chiaramente quanta parte abbiano nell�arte classi-ca il naturalismo e il razionalismo, e come i due principîpossano accordarsi tra loro.

Nell�arte figurativa naturalismo e stilizzazione sonoancor piú strettamente collegati che nel dramma, dovela tragedia incline al rigorismo formale e il mimo veri-stico formano due generi distinti, e il naturalismo dellatragedia si limita alla verosimiglianza logica dell�azionee alla plausibilità psicologica dei caratteri. Nella scultu-ra e nella pittura, invece, anche il brutto, il comune, iltriviale sono temi importanti della rappresentazione.Nei frontoni del tempio di Zeus ad Olimpia, il docu-mento piú rappresentativo della prima arte classica, tro-

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viamo un vecchio con la pelle del ventre floscia e cascan-te, e un Lapita dalla brutta faccia negroide. La scelta deimotivi non è piú esclusivamente dominata dal principiodella kalokagathía. La pittura vascolare dell�epoca siesercita nella prospettiva e negli scorci, e si libera anchedegli ultimi resti del geometrismo e della frontalità arcai-ca. Gli sforzi di Mirone si appuntano già a ritrarre ilgesto vivace e spontaneo. Tutta la sua attenzione è rivol-ta al movimento, allo slancio improvviso, all�atteggia-mento teso e dinamico. Egli cerca di fissare il moto fug-gevole, l�impressione istantanea. Per rappresentare ildiscobolo, sceglie il momento piú labile, piú intenso, piúacuto: l�attimo precedente il lancio del disco. Qui, perla prima volta dall�età paleolitica, viene colto il valoredel «momento pregnante». Comincia la storia dell�illu-sionismo occidentale, e finisce quella della rappresenta-zione ideale, concettuale, conforme a certe «vedute»fondamentali. Siamo, in altri termini, in una fase in cuila forma, per quanto bella, equilibrata, decorativa, nonbasta piú a giustificare alcun fallo contro le leggi dell�e-sperienza. Le conquiste del naturalismo non s�inseri-scono piú in un sistema di tradizioni immutabili; la rap-presentazione dev�essere sempre e comunque fedele esono le tradizioni a dover cedere, quando appaionoinconciliabili con la fedeltà della rappresentazione.

La vita è divenuta dinamica, sciolta, libera da rigi-de tradizioni e pregiudizi, come non mai dopo la finedell�era paleolitica. Sono cadute tutte le restrizioni este-riori e istituzionali della libertà individuale: non piúdespoti, o tiranni; né clero ereditario, né chiesa auto-noma, né libri sacri; né dogmi rivelati; nessun esplicitomonopolio economico e nessuna limitazione formaledella libera concorrenza; tutto favorisce lo sviluppo diun�arte mondana che, amante della vita, apprezza l�at-timo fuggente. Ma accanto a questa tendenza dinamicae progressiva agiscono ancora le antiche forze conser-

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vatrici; la nobiltà, che si aggrappa ai suoi privilegi e cercadi mantenere, con lo stato tribale autoritario, l�anticaeconomia di monopolio, cerca anche di salvaguardarenell�arte il valore delle forme rigide, statiche, arcaiche.E cosí tutta la storia dell�arte classica si configura comel�alterno predominio dei due opposti stili. Dopo il mossoinizio del secolo, la soluzione di Policleto introduce unapausa; poi, nelle sculture del Partenone, si realizza unasintesi delle due tendenze, che, verso la fine del secolo,cede a una nuova ondata naturalistica. Ma la contrap-posizione troppo netta delle due correnti stilistichesarebbe, anche nei casi estremi, una semplificazioneinopportuna della realtà storica, tanto piú complessa esottilmente ramificata. Naturalismo e stilizzazione, nel-l�arte classica, sono quasi sempre indissolubili, anche seil loro equilibrio non è sempre cosí perfetto come nelBanchetto degli Dei nel fregio del Partenone o, per cita-re un�opera piú modesta, in quell�Atena pensosa delmuseo dell�Acropoli, che, nel suo pieno abbandono purnel dominio assoluto della forma, nel suo completo supe-ramento di ogni sforzo, spasimo ed eccesso, nella sualibertà e nella sua leggerezza, nella sua calma e nel suoriserbo, non ha confronti al di fuori dell�arte classica.Ma sarebbe un grave errore vedere nelle condizionisociali dell�Atene contemporanea le premesse necessarie,o anche soltanto le premesse ideali, della nascita diun�arte simile e cosí alta. Il valore artistico non ha alcunequivalente sociologico; tutt�al piú, la sociologia puòricondurre alla loro origine gli elementi di cui si com-pone un�opera d�arte, ma questi elementi possono esse-re gli stessi in opere di qualità diversissima.

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Capitolo quarto

L�illuminismo greco

Via via che il secolo s�avvicina alla fine, prevalgononell�arte gli elementi naturalistici, individualistici, sog-gettivi ed emotivi. Si passa dal tipico al caratteristico,dalla concentrazione alla molteplicità dei temi, dallasobrietà all�esuberanza. Nella letteratura comincia l�e-poca della biografia, nell�arte figurativa quella del ritrat-to. Lo stile della tragedia si avvicina al tono del discor-so comune e assume il colorito impressionistico della liri-ca. I caratteri interessano piú dell�azione, le nature com-plicate ed eccentriche piacciono piú di quelle semplici enormali. Nelle arti figurative si pone l�accento sul volu-me e sulla prospettiva, si prediligono la veduta di trequarti, lo scorcio, l�intersezione dei piani. Le steli fune-rarie rappresentano scene raccolte, intime, casalinghe; lapittura vascolare ricerca l�idillio, la tenerezza, la grazia.

A ciò corrisponde, nel campo filosofico, la rivolu-zione spirituale dei sofisti, che, nella seconda metà delsecolo v, sovvertono l�immagine del mondo ancora fon-data sulle premesse della civiltà aristocratica. Questomovimento, che affonda le sue radici in quelle stessecondizioni � economia monetaria, urbanesimo e bor-ghesia � che determinano la svolta naturalistica dell�ar-te, contrappone alla kalokagathía nobiliare un nuovoideale di cultura, e pone le basi di un�educazione, che,anziché coltivare le qualità irrazionali della physis, si

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propone di formare i cittadini consapevoli, perspicaci edeloquenti. Le nuove virtú borghesi, che subentrano agliideali cavallereschi ed agonali della nobiltà, si fondanosulla scienza, sul pensiero logico, sull�educazione dellamente e dell�eloquio. Per la prima volta nella storia del-l�umanità, si mira a coltivare l�intelletto. Basta ram-mentare Pindaro e il suo scherno per i «dotti» per misu-rare tutta la distanza che separa il mondo dei sofisti daquello dei maestri di ginnastica spartani. Qui, nel mondodei sofisti, sorge per la prima volta l�idea di un�intelli-ghenzia che non è piú un ceto professionale circoscritto,come il clero dei tempi preistorici o protostorici, o comei rapsodi dell�età omerica, ma un vivaio d�uomini abba-stanza vasto per garantire la formazione delle nuovegenerazioni che saranno chiamate a dirigere la polis.

I sofisti partono dal presupposto dell�illimitata edu-cabilità dell�uomo, e in contrasto con l�antica teoriamistica del sangue, credono che si possa insegnare la«virtú». Col loro ideale di educazione nasce il concettooccidentale di cultura, fondato sulla consapevolezza,sulla capacità di esame e di critica36. Con loro cominciala storia del razionalismo, la critica dei dogmi, dei miti,delle tradizioni e delle convenzioni. Con loro nasce l�i-dea del relativismo storico, la consapevolezza del con-dizionamento storico delle verità scientifiche, dellenorme etiche e degli articoli di fede. Essi sono i primiche in tutti i valori e in tutti gli ordinamenti: nellascienza, nel diritto, nella morale, nel mito, nell�imma-gine degli dei, vedono forme storiche, create dallo spi-rito e dalla mano dell�uomo. Scoprono la relatività delvero e del falso, del giusto e dell�ingiusto, del bene e delmale; riconoscono l�origine pragmatica delle valutazio-ni umane, e sono i precursori di tutte le tendenze uma-nistiche e illuministiche. Il loro razionalismo e relativi-smo è del resto connesso con lo stesso stile economico,con le stesse tendenze della libera concorrenza e della

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corsa al guadagno, da cui nasceranno la concezione rina-scimentale della natura, l�illuminismo del secolo xviii eil materialismo del xix. Il capitalismo antico apre aisofisti prospettive simili a quelle che il capitalismomoderno apre ai loro successori.

Nella seconda metà del secolo v, l�arte è sotto l�in-flusso delle stesse esperienze che determinano le idee deisofisti; ma un movimento spirituale come la sofistica, colsuo stimolante umanesimo, non poteva non esercitare uninflusso diretto sulla visione degli artisti e dei poeti. E,nel secolo iv, non c�è genere artistico in cui non sia datodi avvertirlo. Ma dove meglio si rivela il nuovo spiritoè nel tipo atletico che, con Prassitele e Lisippo, sosti-tuisce l�ideale virile di Policleto. L�Hermes e l�Apoxyo-menos non hanno piú nulla di eroico, nulla di aristocra-ticamente rigido e sdegnoso, e sembrano danzatori piúche atleti. Il loro spirito si esprime in tutto l�atteggia-mento, freme di vita il loro corpo, i nervi vibrano sottol�epidermide. Il loro aspetto reca i segni di quell�«irri-petibilità» che i sofisti osservano e sottolineano nei pro-dotti dello spirito. Il loro essere è carico di dinamismo,pieno di forza latente e di movimento. Non permettonoallo spettatore di fissarsi su una veduta, perché nonobbediscono piú ad alcuna «veduta fondamentale»; inve-ce, accentuando l�incompiutezza e la provvisorietà deisingoli profili, lo costringono a mutare continuamente lapropria posizione, facendo a poco a poco il giro dellafigura, fino a constatare la relatività di ogni profilo sin-golo. Ma anche questo non è che un parallelo della dot-trina sofistica, secondo cui ogni verità, ogni norma, ognivalore ha una struttura prospettica e muta col mutare delpunto di vista. Soltanto ora l�arte si scioglie dagli ultimivincoli del geometrismo, e scompaiono le ultime traccedella frontalità. L�Apoxyomenos è già tutto assorto in sestesso, nel proprio essere, e ignora lo spettatore. Nel-l�individualismo e nel relativismo dei sofisti, nell�illu-

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sionismo e nel soggettivismo dell�arte ad essi contem-poranea si esprime il medesimo spirito del liberalismoeconomico e della democrazia, lo stesso abito mentale diuna generazione che non attribuisce piú alcun valoreall�antico decoro aristocratico, alla solennità e grandio-sità dell�aspetto, perché deve tutto a se stessa e nulla agliantenati, e che manifesta i suoi sentimenti e le sue pas-sioni con una sincerità senza riserve, perché è penetra-ta dell�idea dell�uomo come misura di tutte le cose.

Il mondo intellettuale dei sofisti trova la sua espres-sione piú completa e artisticamente piú alta in Euripi-de, l�unico vero poeta dell�illuminismo greco. I sogget-ti mitici sembrano per lui solo un pretesto per trattarele piú attuali questioni filosofiche e i piú scottanti pro-blemi della vita cittadina. Francamente e liberamente,egli discute le relazioni fra i sessi, il matrimonio, la con-dizione della donna e dello schiavo, e fa della leggendadi Medea quasi un dramma borghese37. La sua eroina inrivolta contro il marito è forse piú vicina alle donne diHebbel e di Ibsen che alle eroine della tragedia ante-riore. Che c�è di comune tra queste e una donna chedichiara volerci piú coraggio per mettere al mondo ifigli che per compiere eroiche gesta in guerra? Ma l�im-minente dissoluzione della tragedia non si annunzia sol-tanto nella visione anti-eroica: l�interpretazione scetti-ca del fato e la teodicea negativa di Euripide ne sonoaltri segni. Eschilo e Sofocle credevano ancora «all�im-manente giustizia del corso del mondo»; per Euripide,l�uomo non è ormai che un trastullo del caso38. Allaprofonda commozione che prendeva lo spettatore alcompiersi della volontà divina, subentrano ora la mera-viglia per la stranezza del destino umano e lo sgomentodavanti al repentino mutar della fortuna. Da questavisione, in tutto conforme al relativismo dei sofisti, pro-cede l�amore del fortuito e del bizzarro, cosí caratteri-stico di Euripide e di tutta la produzione successiva. Il

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gusto per le peripezie del destino spiega pure la predi-lezione per la tragedia a «lieto fine». In Eschilo l�esitofelice è ancora un residuo del mistero primitivo, dove almartirio del dio segue la resurrezione39, ed è quindi l�e-spressione di un ottimismo profondamente religioso. InEuripide, invece, il lieto fine non è per nulla edifican-te, essendo un dono dello stesso cieco caso che ha get-tato l�eroe nella sventura. In Eschilo, la conciliazionefinale lasciava intatta la tragicità degli avvenimenti, inEuripide la abolisce almeno in parte. Il naturalismo psi-cologico che domina il dramma euripideo finisce perdissolvere il senso tragico-eroico della vita. Il semplicefatto che si discuta dell�esistenza o meno della colparende impossibile la commozione tragica. Gli eroi diEschilo sono colpevoli perché una maledizione pesa sudi loro40: questa maledizione è qualcosa di oggettivo eincontrovertibile. L�idea della sofferenza dell�innocen-te e dell�ingiustizia del fato non affiora neppure. Soloin Euripide il punto di vista soggettivo viene accolto, siaccusa e si giustifica, si discute sul diritto e sulla respon-sabilità. Soltanto ora i caratteri tragici assumono quel-l�elemento patologico che permette allo spettatore diritenerli ad un tempo colpevoli e innocenti. L�elementopatologico adempie a un duplice compito: soddisfa ilgusto dell�epoca per lo straordinario e serve alla giusti-ficazione psicologica dell�eroe. Nel dibattere il proble-ma della colpa e i motivi dell�azione tragica, si manife-sta un altro aspetto del dramma euripideo, che provie-ne anch�esso dalla sofistica: il gusto retorico. Ma questogusto, come quello per la sentenza filosofica, cosí carat-teristico di Euripide, tradisce l�incipiente declino dellivello estetico, o piuttosto l�irruzione troppo bruscanella poesia di materiale nuovo, non elaborato artisti-camente.

La personalità poetica di Euripide, confrontata aquella dei suoi predecessori, appare affatto moderna;

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anche come tipo sociale, egli si ricollega ai sofisti. È let-terato e filosofo, democratico e amico del popolo, poli-tico e riformatore; ma, come i suoi maestri, è senzaclasse, non ha radici sociali. Già nell�epoca delle tiran-nidi abbiamo incontrato poeti come Simonide, che eser-citavano la loro professione per lucro, vendevano i loroversi, conducevano una vita raminga, senza una stabileposizione, trattati dai padroni come ospiti e servitori aun tempo; letterati di mestiere, ma ben lungi dal for-mare un ceto professionale indipendente. Non solo man-cava uno strumento di diffusione delle loro opere cor-rispondente alla stampa, ma mancava altresí una doman-da diffusa di prodotti poetici che avrebbe potuto con-durre a qualcosa come un mercato libero. Il numerodegli interessati era cosí esiguo, che sarebbe stato assur-do pensare ad un�indipendenza economica dei poeti.Socialmente, i sofisti sono i successori diretti dei poetidell�epoca delle tirannidi: sono anch�essi sempre in viag-gio, conducono una esistenza irregolare, economica-mente incerta; però non sono piú parassiti, non si rivol-gono piú a un piccolo numero di protettori, ma a unacerchia di clienti relativamente vasta, impersonale eneutra. Non soltanto essi non appartengono ad una clas-se determinata, ma neppure vi aderiscono: gruppo socia-le senza precedenti. La loro filosofia è democratica, leloro simpatie vanno ai conculcati e agli oppressi, ma essisi guadagnano la vita insegnando alla gioventú nobile efacoltosa; i poveri non possono pagare né usufruire delloro insegnamento. Essi sono dunque i primi rappre-sentanti di quell�«intellighenzia fluttuante»41, social-mente apolide, perché non s�inserisce interamente nelquadro di nessuna classe, perché nessuna può accoglier-la interamente in sé. In tutto il suo habitus sociale, Euri-pide appartiene a questa intellighenzia libera e senzaradici, continuamente oscillante fra le varie classi; social-mente, egli prova tutt�al piú delle simpatie, ma nessuna

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solidarietà. Eschilo crede ancora nella possibilità di con-ciliare la democrazia col suo ideale aristocratico dellapersonalità, benché abbandoni la democrazia proprionella fase decisiva dello sviluppo; mentre Sofocle fin daprincipio, sacrifica l�idea dello stato popolare democra-tico agli ideali dell�etica nobiliare; e nella lotta fra ildiritto familiare privato e il potere assoluto ed eguali-tario dello stato parteggia risolutamente per l�idea tri-bale. Nell�Orestiade Eschilo mostra ancora un esempioraccapricciante di vendetta42; Sofocle, nell�Antigone,prende già partito per l�eroina che insorge contro lostato democratico, e, nel Filottete, esprime senza amba-gi la sua ostilità contro l�astuzia senza scrupoli e l�abi-lità «borghese» di Odisseo43. Euripide è un sincerodemocratico, ma ciò significa, praticamente, che egli ècontro l�antico stato aristocratico, piuttosto che a favo-re del nuovo stato borghese. Il suo spirito indipenden-te si manifesta in un atteggiamento scettico di fronteallo stato in generale44.

La figura del poeta moderno, che in Euripide trovail primo rappresentante, si rivela in due tratti caratteri-stici: l�insuccesso artistico e la geniale inesperienza delmondo. Nel corso di cinquant�anni, con una produzio-ne enorme (ci sono stati tramandati i testi completi didiciannove drammi, frammenti di cinquantacinque e ititoli di novantadue), Euripide non ebbe piú di quattropremi; egli non fu dunque un drammaturgo fortunato;e certo non fu né il primo né il solo, ma, comunque, ilprimo grande poeta di cui ci sia noto l�insuccesso. Ciòavvenne non perché prima di lui ci fossero piú intendi-tori, ma perché c�erano meno poeti; la padronanza mec-canica della tecnica bastava ad assicurare il successo. Altempo di Euripide questo stato di cose è ormai supera-to; almeno per il teatro, si produce troppo, non già trop-po poco. Ma il pubblico dell�epoca non è fatto solo d�in-tenditori. Il suo gusto infallibile è una favola, come

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quella che lo finge democraticamente composto di tuttala popolazione della polis. I tiranni di Sicilia e di Mace-donia, presso cui Euripide e lo stesso Eschilo, tanto piúfortunato, trovarono rifugio dai raffinati ateniesi, sidimostrarono un pubblico migliore. L�altro tratto disapore moderno, che Euripide introduce nella storiadella letteratura, è la rinuncia apparentemente sponta-nea ad avere una parte nella vita pubblica. Euripidenon fu un soldato come Eschilo, non ebbe dignità sacer-dotali come Sofocle, e perciò si parla di lui come delprimo poeta che visse tra i libri, in solitudine. Se dob-biamo credere al ritratto che ce lo rappresenta coi capel-li incolti, gli occhi stanchi e la piega amara della bocca,e se non erriamo a scorgervi un contrasto fra corpo e spi-rito e l�espressione di un�anima inquieta e insoddisfat-ta, egli fu forse il primo poeta infelice, vittima della suapoesia.

Non solo l�idea del genio in senso moderno è estra-nea all�antichità classica, ma i suoi poeti, i suoi artistinon hanno in sé nulla di «geniale». Presso di loro, glielementi razionali e tecnici dell�arte prevalgono suglielementi irrazionali e intuitivi. La teoria platonica del-l�entusiasmo sottolinea � è vero � che i poeti debbonole loro opere a un�ispirazione divina, e non alla periziatecnica. Ma quest�idea non conduce a una esaltazionedel poeta, anzi accresce il distacco tra il poeta e la suaopera, facendo di lui un semplice strumento dell�inten-zione divina45. Mentre il concetto moderno del genioconsiste essenzialmente nell�idea di un�intima unione fral�artista e l�opera, o, se un distacco si ammette, nell�i-dea che il genio sia superiore alla sua opera e non maidel tutto contenuto in essa. Quindi la solitudine, l�in-capacità di comunicarsi interamente: elemento tragicodel genio quale noi lo concepiamo. E non solo questo,ma anche l�altro elemento tragico dell�artista moderno� quello di essere misconosciuto dai contemporanei, e il

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suo disperato appello alla posterità � è praticamenteignoto all�antichità classica46; prima di Euripide, in ognicaso, non si vede traccia né dell�uno né dell�altro.

Lo scarso successo di Euripide si dovette soprattut-to alla mancanza, nell�antichità classica, di un ceto mediocolto. L�antica nobiltà non trovava nessun piacere neisuoi drammi per ragioni ideologiche; il nuovo pubblicoborghese, per ragioni culturali. Euripide, col suo radi-calismo filosofico, è un caso unico anche fra i poeti dellatarda classicità; questi, come i poeti e i filosofi dellaprima classicità, sono di tendenze affatto conservatrici,benché il naturalismo, sviluppatosi con la vita urbana el�economia monetaria, tocchi nella loro arte un livellodifficilmente conciliabile col loro conservatorismo poli-tico. Come politici e uomini di parte, si attengono alladottrina conservatrice, ma come artisti vengono trasci-nati dalla tendenza progressiva dell�epoca, e rappresen-tano cosí un fenomeno del tutto nuovo nella storia socia-le dell�arte. La struttura intellettuale eccezionalmentecomplessa del secolo iv trova la sua piú chiara espres-sione in Platone, nel carattere progressivo dell�arte suae nella natura conservatrice della sua filosofia, nel natu-ralismo dei suoi mezzi espressivi � tratti dal mimo ple-beo � e nell�idealismo della sua dottrina, radicata nelsenso aristocratico della vita. Pochi rappresentanti dellaletteratura greca hanno preso cosí decisamente partitoper gli ideali della cultura aristocratica: la kalokagathíanon ha trovato neppure in Pindaro un piú ispirato apo-logeta, né la sophrosyne in Sofocle. L�élite intellettuale,a cui egli vorrebbe affidare la guida dello stato, appar-tiene all�antico ceto privilegiato; egli è persuaso che laplebe non abbia alcun diritto a farne parte. La sua teo-ria delle idee è la classica espressione filosofica del con-servatorismo, il modello di tutti gli idealismi reazionari.

Ogni idealismo, ogni separazione del mondo delleidee eterne, dei valori assoluti, delle norme pure, da

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quello dell�esperienza e della prassi, implica in una certamisura un ripiegamento nella pura contemplazione e larinuncia a trasformare la realtà47. Un simile atteggia-mento finisce sempre per favorire le minoranze domi-nanti, che non a torto si vedono minacciate dal positi-vismo, di cui la maggioranza non ha nulla da temere. Ladottrina platonica delle idee adempie, nell�Atene delsecolo iv, alla stessa funzione sociale dell�idealismo tede-sco nel Sette e nell�Ottocento; coi suoi argomenti con-tro il realismo e il relativismo fornisce le armi piú vali-de alla reazione. Al conservatorismo politico si ricolle-ga anche l�estetica arcaicizzante di Platone, che respin-ge la nuova tendenza illusionistica delle arti figurative(Soph., 234 b), predilige la classicità dell�epoca di Peri-cle e ammira l�arte degli Egizi, dominata dalla forma eretta da leggi apparentemente immutabili. Egli si oppo-ne al nuovo qui come dovunque, e fiuta in ogni novitàanarchia e decadenza48.

Platone bandisce il poeta dal suo stato ideale, per-ché il poeta rimane attaccato alla realtà empirica, all�im-pressione sensibile del mondo fenomenico, cioè a unamezza verità o a una verità apparente, e materializza efalsa le idee pure, che sono puro spirito e dover essere,non appena cerca di coglierle e di esprimerle coi suoimezzi sensibili e grossolani. Questa prima «iconoclastia»della storia � fino a Platone non c�è ostilità di sorta versol�arte � questa preoccupazione di fronte ai possibilieffetti dell�arte, appartiene alla stessa epoca in cuiappaiono i primi segni di quella visione estetizzante delmondo, in cui l�arte non soltanto ha un suo posto, magià minaccia di dilatarsi a spese delle altre forme cultu-rali e di ingoiarle. I due fenomeni sono strettamentecongiunti. L�arte non è temibile, finché rimane mezzo,in sé neutrale, di propaganda, utilizzabile a piacere, euna forma espressiva limitata al proprio campo; soloquando la cultura estetica assume uno sviluppo tale che

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il piacere della forma comporta una totale indifferenzaper i contenuti, si scopre che essa può diventare unveleno occulto, un nemico entro le mura. È solo nelsecolo iv � tempo di guerre e di sconfitte, di congiun-ture belliche e postbelliche, in cui si formano grandipatrimoni e si affermano nuovi strati sociali che, dota-ti di forte potere d�acquisto, investono parte dei loroguadagni in opere d�arte, e tendono a fare del loro pos-sesso una questione di prestigio � è solo allora che sicomincia a sopravvalutare l�arte, a orientarsi verso ivalori estetici, e con criteri estetici affrontare i proble-mi della vita; e solo come reazione a questo estetismo sispiega l�atteggiamento ostile di Platone. A renderlo cosíaspro non sarebbe certo bastata la nozione teorica cheil linguaggio dell�arte è legato a forme sensibili.

L�estendersi della cultura estetica a nuovi stratisociali porta con sé il riconoscimento di nuovi valori arti-stici, immediatamente connessi con la vita; e altri nemette fuori corso, nati dalla tradizione culturale del cetosuperiore, finora senza concorrenti. Il Wilamowitz-Möl-lendorf collega tutta la teoria aristotelica del timore edella pietà con questi mutamenti nella composizione delpubblico, e l�interpreta come segno dell�incipiente pre-dominio dell�elemento affettivo nel dramma e comeespressione del «sentimento filisteo» di chi va a teatroper «sottrarre alcune ore alla miseria della vita quoti-diana» e piangere di gusto49. La scelta dei soggetti siallarga a nuovi campi, sorgono motivi e generi nuovi:questo fenomeno cosí caratteristico per l�arte del seco-lo iv dipende principalmente da due fattori propri dellospirito del tempo: da un lato la nuova emotività, che simanifesta in un generale bisogno di stimoli piú intensie solo in parte coincide col sentimentalismo filisteo delnuovo pubblico teatrale; dall�altro, l�abolizione dei tabúche escludevano i nuovi motivi dall�ambito di ciò che eralecito rappresentare. A un primo gruppo di questi moti-

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vi appartengono il ritratto e la biografia; all�altro il nudofemminile. A questo mutamento del gusto, determina-to dall�ascesa dei nuovi strati sociali, si riconnette la cre-scente predilezione per le divinità piú giovanili e impul-sive, quali Apollo, Afrodite, Artemide, a scapito dellepiú anziane e dignitose, come Zeus, Hera e Atena50. Infi-ne, si può ricondurre all�avvento dei nuovi ricchi uno deitratti piú notevoli dell�arte del secolo: l�emancipazionedella scultura dall�architettura. Sino alla fine del secolov quasi tutta la produzione scultorea è legata all�archi-tettura; le statue, anche quando non sono parte inte-grante dell�edificio, debbono adattarsi a una cornicearchitettonica. Ma via via che l�iniziativa privata suben-tra all�attività statale, si moltiplicano le sculture di for-mato minore, di carattere piú intimo e piú facilmentetrasportabili. Nel secolo iv, ad Atene, cessa la costru-zione di grandi templi; e l�architettura non offre piúgrandi occasioni agli scultori. I grandi edifici sorgono inOriente, dove anche la scultura monumentale continuaa svilupparsi.

1 h. m. chadwick, The Heroic Age, 1912, pp. 450 sgg.; a. r. burn,The World of Hesiod, 1936, pp. 8 sgg.

2 h. m. chadwick, The Heroic Age cit., pp. 347-48, 365; georgethomson, Aeschylus and Athens, 1941, p. 62 [trad. it., Eschilo e Atene,Torino 1949].

3 «C�è una cosa che i migliori preferiscono ad ogni altra: la famaeterna alle cose passeggere», dice anche Eraclito, frammento 29, in h.diels, Die Fragmente der Vorsokratiker, I, 1934, 5a ed., p. 157.

4 Del resto, forse neppure nell�età preistorica si recitava esclusi-vamente in forma corale.

5 h. m. chadwick, The Heroic Age cit., p. 87.6 w. schmid - o. stählin, Geschichte der griechischen Literatur, I,

1, 1929, p. 59, in i. müller, Handbuch der Altertumswissenschaft.7Ibid., p. 6o.8Ibid., p. 664.9 Cfr. o. neurath, Antike Wirtschaftsgeschichte, 1926, 3a ed., p. 24.

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10 w. schmid - o. stählin, Geschichte der griechischen Literatur cit.,I, i, p. 157.

11 Cfr. herman reich, Der Mimus, I, 1903, p. 547.12 e. a. gardner, Early Athens, in The Cambridge Ancient History,

III, 1929, p. 585.13 g. thomson, nell�esporre questa teoria (Aeschylus and Athens cit.,

p. 45), si richiama a v. grönbeck, Culture of the Teutons, 1931.14 h. m. chadwick, The Heroic Age cit., p. 228.15Ibid., p. 234.16 a. r. burn, Minoans, Philistines and Greeks, 1930, p. 200.17 paul cauer, Grundfragen der Homerkritik, 1909, 2a ed., pp.

420-23.18 schmid-stählin, Geschichte der griechischen Literatur cit., I, 1,

pp. 79-81.19 u. von wilamowitz - möllendorff, Die griechische Literatur des

Altertums, 1912, 3a ed., p. 17.20 bernhard schweitzer, Untersuchungen zur Chronologie und

Geschichte der geometrischen Stile in Griechenland, «Athen. Mitteilun-gen», XLIII, 1918, p. 112.

21 Cfr. w. jäger, Paideia. Die Formung des griechischen Menschen,1934, p. 249 [trad. it., Paideia, Firenze 1953].

22 u. von wilamowitz - möllendorff, Einleitung in die griechischeTragödie, 1921, p. 105.

23 Cfr. edgar zilsel, Die Entstehung des Geniebegriffs, 1926, p. 19.24 jakob burckhardt, Griechische Kulturgeschichte, IV, 1902, p. 115.25 ludwig curtius pensa che dal vi secolo in poi «ogni importan-

te scultura greca portava sul basamento l�epigrafe che, oltre al nomedel donatore e a quello del dio a cui l�opera era dedicata,... contenevadi regola il nome o i nomi degli artisti» (Die Antike Kunst, 1938, II, 1,p. 246).

26 w. jäger, Paideia ecc. cit., p. 301; cfr. c. m. bowra, Sociologi-cal Remarks on Greek Poetry, «Zeitschrift für Sozialforschung», VI,1937, p. 393.

27 b. schweitzer, Der bildende Künstler und der Begriff des Kün-stlerischen in der Antike, 1925, p. 45.

28 t. b. l. webster, Greek Art and literature 530-4oo B. C., 1939,vuole scorgere nel sensualismo la speciale tendenza stilistica della cortedi Policrate, nell�intellettualismo quella della corte di Pisistrato.

29 Periegesis, V, 21.30 j. d. beazley, Early Greek Art, in Cambridge Ancient History, IV,

1926, p. 589.31 g. thomson, Aeschylus and Athens cit., p. 353.32 gilbert murray, A History of Ancient Greek Literature, 1937,

p. 279.

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33 Neppure victor ehrenberg, The People of Aristophanes. A Socio-logy of Old Attic Comedy, 1943 [trad. it., II mondo di Aristofane, Firen-ze 1953], riesce a persuaderci dei sentimenti democratici del poeta.

34 Cfr. adolf römer, Über den literarisch-ästhetischen Bildungsstanddes attischen Theaterpublikums, «Abhandlungen der philosophisch-phi-lologischen Klasse der königlichen bayerischen Akademie der Wissen-schaft», vol. XXII, 1905.

35 Cfr. j. harrison, Ancient Art & Ritual, 1913, p. 165.36 w. jager, Paideia ecc. cit., p. 366.37 Ibid., p. 434.38 m. pohlenz, Die grieckische Tragödie, 1, 1930, pp. 236, 456.39 g. thomson, Aeschylus and Athens cit., p. 347.40 w. jäger, Paideia ecc. cit., pp. 437-38.41 Il termine è di alfred weber, Die Not der geistigen Arbeiter, in

«Schriften des Vereins für Sozialpolitik», 1920.42 u. wilamowitz-mölendorff, Griechische Tragödien, II, 1907,

5a ed., p. 137.43 t. b. l. webster, Introduction to Sophokles, 1936, p. 41.44 g. murray, A History of Ancient Greek Literatur cit., p. 253.45 e. zilsel, Die Entstehung des Geniebegriffs cit., pp. 14-15.46 Ibid., p. 78.47 Cfr. k. mannheim, Wissenssoziologie, in vierkandt, Handwör-

terbuch der Soziologie, 1931, p. 672.48 p. m. schuhl, Platon et l�art de son temps, 1933, pp. 14, 21.49 u. wilamowitz-mölendorff, Einleitung in die griechische Tragö-

die, p. 111.50 l. whibley, A Companion to Greek Studies, 1931, p. 301.

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