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Fiandre JAN V A N ESSEN Queste brevi note su alcuni maestri dell'insediamento fiammingo hanno inizio con uno degli autori-ponte con l'Olanda. Na- to nel penultimo decennio del X V I secolo, Jan van Essen è documentato come apprendi- sta nella bottega di Simone Haeck, come maestro nel 1609 per poi trasferirisi a Amster- dam, dove nel 1619 è registrato il suo matri- monio. Ci troviamo davanti allora, come ha se- gnalato in modo esemplare I. Bergstròm (1956) al passaggio nel territorio olandese di un generista che, all'atto di inserirsi nella cor- rente degli anni dieci e venti in Olanda, so- prattutto in contatto con la «tavola apparec- chiata» di Gillis e di F. van Dijck, ha già acqui- sito i temi e i modi della «colazione» fiammin- ga di una Clara Peeters e di un Osias Beert il vecchio. E proprio quest'ultimo pittore, di pochi anni più giovane di Essen essendo nato nel 1580 e essendo divenuto maestro nel 1602, può essere il termine di riferimento più con- vincente per la produzione anversese del no- stro. E da questo punto di vista esemplare in- dicare il documento n. 93 attribuito a Essen da E. GreindI per trovare sicuri richiami al si- stema «disseminato» con cui Beert organizza- va gli clementi sul piano. Prima di «acquisire» la maniera olandese, nella sovrabbondanza e nell'accumulo dell'apparecchio di Haarlem, la maniera del pittore sembra privilegiare una riduzione dell'ampiezza del campo ritrattato, una definizione periferica degli elementi più fusa, una cromia più calda e omogenea rispet- to all'ambiente. Questi caratteri stilistici associati al forza- to punto di vista e alla giacitura rigida che Es- sen denuncia nelle figure dei contenitori o dei singoli elementi disposti sul piano, a indicare ulteriormente una fase «arcaica» del genere, permettono allora, evidentemente in via indi- 195

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Fiandre

J A N V A N ESSEN

Queste brevi note su alcuni maestri dell'insediamento fiammingo hanno inizio con uno degli autori-ponte con l'Olanda. Na­to nel penult imo decennio del X V I secolo, Jan van Essen è documentato come apprendi­sta nella bottega di Simone Haeck, come maestro nel 1609 per poi trasferirisi a Amster­dam, dove nel 1619 è registrato i l suo matri­monio.

Ci troviamo davanti allora, come ha se­gnalato in modo esemplare I . Bergst ròm (1956) al passaggio nel territorio olandese di un generista che, all'atto di inserirsi nella cor­rente degli anni dieci e venti in Olanda, so­prattutto in contatto con la «tavola apparec­chiata» di Gill is e di F. van Dijck, ha già acqui­sito i temi e i modi della «colazione» fiammin­ga di una Clara Peeters e di un Osias Beert i l vecchio.

E proprio quest'ultimo pittore, di pochi anni più giovane di Essen essendo nato nel

1580 e essendo divenuto maestro nel 1602, p u ò essere i l termine di riferimento più con­vincente per la produzione anversese del no­stro. E da questo punto di vista esemplare in­dicare i l documento n. 93 attribuito a Essen da E. GreindI per trovare sicuri richiami al si­stema «disseminato» con cui Beert organizza­va gli clementi sul piano. Prima di «acquisire» la maniera olandese, nella sovrabbondanza e nell'accumulo dell'apparecchio di Haarlem, la maniera del pittore sembra privilegiare una riduzione dell'ampiezza del campo ritrattato, una definizione periferica degli elementi più fusa, una cromia più calda e omogenea rispet­to all'ambiente.

Questi caratteri stilistici associati al forza­to punto di vista e alla giacitura rigida che Es­sen denuncia nelle figure dei contenitori o dei singoli elementi disposti sul piano, a indicare ulteriormente una fase «arcaica» del genere, permettono allora, evidentemente in via indi-

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93 - Jan van Essen, coli. priv.

ziaria, di attribuire alla mano del pittore i n una fase precedente l'esperienza olandese, la tavola ammantata di ridotte dimensioni (tav. 36) in cui tali caratteri sembrano ricorre­re puntualmente.

I l soggetto illustrato nel d ipinto è comun­que già conosciuto: Ferdinando Bologna (Roma 1983, tavv. 4-8) rendeva nota l'esisten­

za di cinque d ip in t i aventi come soggetto d i ­verse colazioni, l 'u l t ima delle quali replicava con alcune limitate varianti derivate anche dal formato più orizzontale, i l tema dell'ango­lo di interno qui documetato. Ribadendone l'arcaicità e l 'origine fiamminga, lo studioso faceva riferimento al pittore Hans A n t o n i Francois, una cui «colazione", firmata e datata

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tav. 36 - Jan van Essen, coli. priv.

1589 (Bergamo 1971, tav. 5) costituisce a tutt 'oggi uno degli incunaboli del genere nell'ambiente anversese.

L'ipotesi formulata da Bologna si presenta alquanto difficoltosa, anche per la diversità di dimensioni fra i documenti pit torici che ven­gono accostati: quel che è certo comunque è che le cinque tavolette, caratterizzate da una

naiveté che lo stesso studioso denuncia, sem­brano essere una collezione affrettata di temi «fortunati» dell 'immaginario fiammingo: al­cuni «luoghi comuni» di Osias Beert (le ostri­che ma soprattutto i l carciofo tagliato e di­sposto sul piatto), di Clara Peeters ( i l gatto r i ­tratto a trequarti che irrompe sul pesce) e la già citata replica rispetto al dipinto di tav. 36

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94 -Jan van Essen (attr.), ubic. ignota.

possono far inclinare il giudizio per un sinte­tico catalogo di soggetti fortunati. Anche se l'osservazione presente è purtroppo fatta sul solo materiale fotografico, le indicazioni sti l i­stiche dei due identici soggetti inclinano a leggere, a dispetto delle dimensioni simili , una diversità d'esecuzione: approssimativa i n un caso, più attenta e finita nel dipinto i l lu­strato, dove all'arcaicità dell ' impianto corri­sponde una omogene i t à d'atmosfera di incisi­va qualità. E sufficiente osservare come Es­

sen, con colpi di bianco, delinei le pieghe del­la tovaglia ammantante, come ancora i colpi di luce sul bicchiere alludano alla asperità del­la superficie decorata, per avere sufficienti ele­menti atti a valutare l'attenzione esercitata nella realizzazione delle diverse soluzioni cro­matiche e figurali.

E la particolare diligenza nella replica de­gli effetti luministici sulle superfìci riflettenti ritornano, sempre nel corpus riferibile a Es­sen, in una composizione con figura umana (n . 94) recentemente passata sul mercato an-tiquariale, che pure denuncia una fase matura nella produzione del maestro, quando la sem­plicità d ' impianto degli esordi viene abban­donata a vantaggio di una composizione in cui accostamento e sovrapposizione di ele­menti di ascendenza da Haarlem si associano all'aringa tagliata sul piatto e alla coppia di pani disposti in avanti, figure quindi della tra­dizione.

Ma la ricorrenza, anche la persistenza nell ' immaginario di un pittore, come nel sin­golo insediamento, sono caratteri ormai trop­pe volte puntualizzati per ricostruire una no­vità: in particolare i l tagliere rosso che si pone come base al bicchiere e la forma di pane nero tagliata che campeggiano agli estremi della «colazione» di tav. 36 ritorneranno, sempre in ambiente fiammingo, nella pittura di Jacob van Es, i n un d ip in to in particolare (GreindI , 1983, tav. 28), a testimoniare i l desiderio di ci­tazione, anche l'indicazione di una cont inu i tà dei caratteri di una scuola.

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J A C O B FOPPENS V A N ES

Se i l caso di Essen è quello della iniziale esperienza fiamminga che si sposta in area olandese, Jacob van Es, di circa dieci anni più giovane del pr imo - diventerà maestro a A n ­versa nel 1617 - si p u ò come fra i prosecutori più genuini del pr imo tempo della scuola lo­cale di Osias Beert i l vecchio e di Clara Pee­ters prolungandone i soggetti fino alla metà degli anni trenta, in significativa coincidenza con l'apparire in Anversa di Jan Davidsz. de Heem.

L'arco di lavoro del pittore si presenta, an­che per l'ampiezza cronologica che abbraccia - circa un cinquantennio - estremamente di­versificato e ricco di soggetti: alla tradizionale «colazione» che, come già indicato, van Es mutua dalla tradizione locale sostanzialmente basata su una contrapposizione rigida fra pia­no disseminato di contenitori e alzato dei bic­chieri o delle caraffe, sarà successivamente ag­giunta anche la seconda grande famiglia dei soggetti, quella del fiore composto nel vaso

che troverà esiti, per maniera pittorica e i m ­paginazione, assolutamente originali.

L'universo della limitata disposizione di cibi e suppellettili, che costituisce l'argomen­to del presente contributo, conosce nella so­stanza una elaborata esplorazione della pro­fondità del piano cadenzata dalla successione dei piatti metallici, la diversità del cui conte­nuto viene esaltata da Es con la accentuazione della gamma cromatica delle vivande.

Se si osservano in parallelo i dipint i di tav. 37 e 38, nella diversità di una atmosfera omo-genizzante presente nel secondo che risulta invece assente nel pr imo documento, a de­nunciarne una maggiore arcaicità, si deve co­munque rilevare l ' identità della disposizione delle figure circolari che in entrambi i casi partono dal piatto che fuoriesce dal bordo al­la destra del tavolo - tale figura viene equili­brata dal manico del coltello in posizione cen­trale, anch'esso emergente - per poi conosce­re in posizione mediana la presenza di un ap-

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tav. 37 - Jacob vari Es, coli. priv.

parato quantitativamente e cromaticamente più elaborato - se vogliamo i l protagonista della vicenda - e un ulteriore punto di stazio­ne nel piatto confinato nel fondo, che chiude una esplorazione zigzagante.

Se possono essere figure complementari al cibo raccolto nel piatto, le presenze sparse sul tavolo ( i l l imone sbucciato dall'architettura

imponente e l'arancia in un caso; i gamberetti nell 'altro) la seconda classe di oggetti presen­t i è costituita da quelli che impegnano la ver­ticalità della composizione: i due vetri facon de Venise nel d ip in to di tav. 38, la figura com­plessa della caraffa «Jan Steen» e del bicchiere di v ino rosso in quello di tav. 37. E a proposi­to della soluzione impaginativa singolare che

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la composizione presenta ( i l bicchiere roemer infilato nel becco della suppellettile metalli­ca) occorre segnalare come non si tratti asso­lutamente di un evento episodico nel mondo della natura morta, in ambito olandese come in quello fiammingo. In altra occasione (Ber­gamo 1983) si erano segnalati alcuni di questi episodi riferibili all 'immaginario di Clara Pee­ters (n . 176); di Pieter Claesz. (n . 175); di Abraham van Beyeren (n . 182): a questi, che evidentemente spaziano per luoghi di produ­zione e per cronologia, si può aggiungere un ulteriore esempio di Maerten Boelema de Stomme (n . 95) singolarmente speculare r i ­spetto alla figura presente nel dipinto in di­scussione. Senza voler suggerire particolari percorsi per cui una soluzione impaginativa certamente non consueta p u ò aver toccato ambienti così diversi, o tantomeno ipotizzare priorità di invenzione, è questo un ulteriore esempio del contatto e dello scambio che av­veniva, nel mondo evidentemente ristretto degli specialisti di nature morte, fra i due in­sediamenti rivali.

Rileggendo comunque i l modo impagina­tivo dei due dipint i in esame il pr imo, come si è detto cronologicamente da anticipare, pre­senta una compattezza e un accentramento dell'apparato, sottolineato dalla posizione asimmetrica delle figure verticali e dal caratte­re dominante del piatto di ostriche - una evi­dente citazione, come altre, da Osias Beert i l vecchio - che sovrasta cromaticamente e fisi­camente gl i altri due piatti metallici, che nel documento di tav. 38 si stempera in una dis­seminazione più decantata, capace di occupa­re con agilità la quasi totalità del campo rita­gliato.

95 - Maerten Boelema de Stomme, pari., Musée des Beaux-Arts, Nantes.

A questa maggiore fusione concorre l'at­mosfera ambientale che, assente del tut to nel pr imo documento, smorza nel secondo le di ­verse cromie delle materie e ridisegna in mo­do soffuso rispetto all'ambiente i l contorno degli oggetti stessi. N o n che sia venuta meno la «fedeltà ottica», ma i l rapporto cromatico, da autonomo e netto, sembra conoscere una

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tav. 38 - Jacob vari Es, firmato, coli. priv.

maggiore integrazione rispetto alla totalità dell'assieme.

L' impianto scenico che van Es replica i n queste opere, e che abbiamo visto mutuare dalla tradizione fiamminga della «colazione» di un Osias Beert i l vecchio, conosce un r in­novamento all'apparire sulla piazza di Anver­sa nel 1636 di Jan Davidsz. de Heem: l'accu­mulo o la sovrapposizione intorno a una figu­

ra principale, la varietà disordinata e concen­trata dei cibi e delle suppellettili sostituiranno la disposizione disseminata a cui Es aveva fat­to costantemente riferimento. C iò che viene particolarmente sottolineato dal pittore, è l'acquisto di una maggiore ampiezza e libertà della scena; in alcuni casi, come nel d ipinto n. 96 riferibile a una fase matura del pittore, allontanando i l punto di osservazione della

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96 - Jacob van Es, coli. priv.

scena e quindi nducendo, le dimensioni dell'apparato rispetto all'ambiente illustrato. U n acquisito equilibrio fra i due elementi in gioco permette una osservazione del com­plesso meno concitata e aggressiva: lo stesso campo moltiplica una profondi tà che g l i esiti precedenti, nel proporre in pr imo piano le diverse architetture, evidentemente sacrifica­vano.

Ma tale ricchezza di spunti, se vogliamo di evoluzione nelle scelte stilistiche, è ulteriore conferma, all'interno della traiettoria del sin­golo pittore, come in generale nell'universo della pittura «di genere", di una già richiamata mult i formità degli esiti, quindi di una ric­chezza di «scelte», di significati formali che la ripetitività dei soggetti immediatamente non sospetterebbe.

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tav. 39 • Alexander Adriaensen, firmato, coli. priv.

A L E X A N D E R A D R I A E N S E N

Accennando alla «specializzazione» della vis onbijet a proposito della produzione di Ja­cob Gi l l ig , si è richiamato i l favore che i l sog­getto marino, nella versione della presenza l i ­mitata sui tavoli della prima natura morta, ma anche in quella dell'angolo di cucina intera­mente dedicato alle varietà diverse di pesci, conosce in ambito olandese come in quello fiammingo.

E questo i l caso di una consistente parte

della produzione di Alexander Adriaensen che, accanto ai temi tradizionali delle compo­sizione di fiori e di frutta, associa anche quel­lo della porzione del tavolo di cucina domina­to dal soggetto marino. Pittore della prima generazione di Anversa - nasce infatti nel 1587 e diviene maestro nel 1610 - Adriaensen, a differenza di altri maestri della medesima generazione, ha conosciuto una mediocre for­tuna nella attenzione della critica e del

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tav. 40 • Alexander Adriaensen, coli. priv.

mercato contemporanei, probabilmente per­ché le proprie composizioni di ridotte dimen­sioni e di impianto altrettanto semplificato (l'arredo replica insistentemente e con poche variazioni l'angolo del tavolo in legno even­tualmente associato al gancio nel muro da cui possono pendere le prede) messe a confronto con quelle dei maggiori genetisti della stagio­ne successiva, in particolar modo di Abraham van bcyeren, denunciano l'austerità e La l imi ­

tatezza dell'apparato a confronto con l'esube­ranza teatrale del secondo.

Ma appunto in una possibile lettura in pa­rallelo è necessario tener conto delle date, e quindi del clima e della «maniera» fiamminga della «colazione» di ridotte dimensioni e di apparato altrettanto l imitato, in una ristretta profondità del piano d'appoggio, Adriaensen impagina un repertorio di suppellettili di l i ­mitata varietà ( i l bacile metallico, i l tagliere)

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97 • Alexander Adriaensen, 1660, Museo statale, Budapest

e l'animale pescato colto in un significativo campionario di figure, dal pesce intero, repli­cato in un atteggiamento vicino alla vita, al trancio che l 'uomo ha già manipolato, modi­ficando in questo modo la fisionomia natura­le dell'animale.

Come è naturale, proprio la varietà delie-taglie e delle fisionomie stesse dei pesci, i l comportamento diverso del corpo che p u ò conoscere la rigidità dello scheletro o un più

cedevole adeguarsi alla forma del bacile o alla posizione in bilico sul tagliere, ancora la cro­mia differenziata, che le singole speci denun­ciano, costituiscono g l i interessi portanti nel repertorio di Adriaensen. Se si eccettua infat­t i i l d ip in to firmato di tav. 39, i n cui al sogget­to marino si associa i n secondo piano, quasi un «prestito» dalla coeva «colazione», la broc­ca i n gres e i l vetro, i l soggetto trattato risulta uniformemente omogeneo: proprio questo

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tav. 41 - Alexander Adriaensen, firmato, 1646, coli. priv.

restringimento tematico e l'approfondimen­to esplorativo che ne consegue, permettono una analisi dettagliata del singolo animale, re­plicato con una attenzione che sembra sposa­re l'abilità contraffattiva all'interesse per un disordinato «catalogo" delle merci esposte. Quest 'ult imo aspetto poi corrisponde al desi­derio e alla competenza anche del pubblico a cui i l dipinto era r ivolto, costituisce una ulte­riore prova del rapporto di causa/effetto fra

professionalità, specializzazione del pittore, e esigenze del mercato che i l mondo del N o r d realizza per la prima volta, almeno quando si pensi a un fenomeno esteso, di massa, e non al rapporto fra i l committente singolo e il sin­golo maestro.

E ancora l'esigenza di soddisfazione di un acquirente ormai numeroso quanto conosci­tore e competente del soggetto ritrattato, una merce che equivale al sostentamento prima-

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98 - Alexander Adriaensen, 1649, coli. priv.

rio e alla ricchezza, spinge Adriaensen al siste­ma della replica di soluzioni di impianto o di singole figure che abbiamo visto essere carat­teristica del modo di produrre pittura in una fase di estensione del mercato e di specializza­zione. E sufficiente mettere in parallelo i l d i ­pinto di tav. 41 con quello n. 97 per segnalare identi tà di impianto, anche di singole figure come la testa mozzata del pesce di grossa ta­glia in p r imo piano, e variazioni, che po­

tranno ritornare, come nel caso del pesce in ­tero collocato sul piatto, in altri d ip in t i . La re­plica identica del soggetto permette comun­que a Adriaensen, soprattutto quando è i m ­pegnato nella descrizione delle pelle iride­scente dell'animale, o della carne viva dello spaccato, di esibire la propria qualità di pi t to­re, i n un esercizio di stile che abbandona la fe­deltà del dettaglio per ostentare la sapienza dell'effetto, della sensazione.

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FRANS SNYDERS

I l contributo di Frans Snyders alla storia della natura morta dei paesi del N o r d risulta fortemente intrecciato con la «grande manie­ra» della pittura fiamminga inaugurata e pro­pagandata da Pietro Paolo Rubens. 11 dato r i ­sulta essere tanto più importante quando si consideri la sostanziale «indifferenza» che la pittura di genere conosce rispetto al gusto e alla sua evoluzione in atto nell'arte «maggio­re», o meglio per la pittura sacra o di storia.

Ma le vicende in qualche modo parallele dei due pi t tor i d i Anversa, la presenza ancora di Jan Brueghel, patrocinatore del viaggio in Italia di Snyders, la collaborazione infine che avviene, nella «fucina» di Rubens, fra i pi t tor i citati, accanto a Paul de Vos e van Dyck, in un rinnovato connubio fra specialista di gene­re e specialista di figura, rendono l'episodio, e quanti a essi verranno connessi, di gran lungo eccezionale.

11 nuovo modo di dipingere è un «nuovo modo» di concepire la totalità del mondo rap­

presentabile, legata a una scenografia destabi­lizzante l 'unicità rinascimentale; Io spazio e la sua percezione subiscono ingigantimenti e deformazioni soggettive che non permettono una tradizionale e tranquillizzante separazio­ne fra generi e temi della pittura. Con sensibi­lità diversa e con esiti altrettanto divaricanti siamo sulla stessa lunghezza d'onda della r i ­voluzione che Caravaggio andava portando a Roma dagli esordi del secolo, in cui un analo­go progetto pittorico totalizzante cancellava la distinzione fra scena e pittura di figura, pro­ponendone una nuova sintesi.

La rivoluzione avviene negli anni dieci a Anversa; Rubens vi è già ritornato, carico di esperienze e di successi italiani nel 1608; Sny­ders, che è stato introdotto presso i Borro­meo e compie i l viaggio fra Roma e Milano, è nella capitale fiamminga l'anno successivo, -dove due anni dopo sposerà Margarete de Vos. Se la tradizione della natura morta fiam­minga si era costantemente legata al formato

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99 " Frans Snyders, ubic ignota.

di ridotte dimensioni e alla presenza di un nu­mero altrettanto l imitato di elementi disposti, la soluzione che Snyders preferibilmentepredi-ligerà (si veda la grande tela, cm. 158x218, da­tata 1614 del Wallraf-Richartz Museum di Colonia) sarà quella della dilatazione della su­perficie dipinta e dell'esuberanza quantitativa dell'apparecchio.

Viene in qualche modo individuato un pubblico diverso rispetto al borghese biso­

gnoso di d ip in t i di impegno impaginativo minore, che pure Snyders non tralascerà del tut to come negli esempi nn. 101, 103; la natu­ra morta che si era proposta come int ima e r i ­dotta riflessione sugli oggetti quotidiani o preziosi, letti comunque nell'ottica della faci­le e ravvicinata osservazione, cede i l passo a una soluzione che rinnova, ma se vogliamo reiventa, i l grande mercato tardomanierista rompendone l 'ordine compositivo ma accet-

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tav. 42 - Frans Snyders, coli. priv.

tando di esso la propensione per la sovrab­bondanza dell'accumulo. E proprio i l riferi­mento a una tradizione cinquecentesca della pittura di Anversa, nel momento della sua maggiore originalità creativa caratterizza an­che ideologicamente i l programma di Sny­ders, in sintonia con quanto andava testimo­niando con la pittura e con l'azione diploma­tica lo stesso Rubens.

Da dipint i che discendono e rinnovano il

tema tradizionale del «mercato» è possibile inaugurare questa breve ricognizione sulla na­tura morta di Snyders. La grande cacciagione disposta del n. 95 si pone allora specularmen­te rispetto al «Pescivendolo» di tav. 42, mani­festo programmatico dell'esuberanza sceno­grafica dell ' impianto e della accensione cro­matica che Snyders ricerca. E in entrambi i ca­si l'accumulo degli animali sul piano a costi­tuire la massa attrattiva principale: è sparita,

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rispetto al passato, ogni distanza dell'osserva­tore rispetto alla scena; la cattedrale inanima­ta si offre nell'incoerenza di pose concitate e contorte, come se l'animazione che rendeva fremente la vita dei singoli soggetti avesse mantenuto una traccia una volta che i l rove­sciare del pescatore o del cacciatore le prede sul tavolo, abbia prodotto La casuale posa. Ma ogni figura risulta, per cosi dire, stravolta nel­la sua fisionomia. Nella figura si incrociano i l

gusto per la meraviglia, per i l contrasto, una allusione anche alla possibili tà «metamorfica" della natura raccolta sul piano in quan t i t à so­vrabbondante, ambiguamenteacelebrareoesor-cizzare nell ' immagine la dovizia del magazzi­no anche quando esso assume le fattezze cao­tiche di una ingigantita cornucopia che Cere­re, la dea delle messi e della terra, dispensa a una gente che si considera investita di una fun­zione e di un ruolo assolutamente singolari.

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104 • Frans Snyders, coli. priv.

All'esuberanza di una costruzione pol i ­centrica, in cui ogni animale distinto risulta protagonista per l 'eccezionalità della posa, la forza del contrasto cromatico che ne delinea torte-mente le fattezze, si aggiunge una felicità esecutiva che alla pennellata costretta all'ese­cuzione dettagliata, preferisce i l libero anda­mento, capace di costruire in apparenza quan­to viene sottratto al ritratto fedele; la distanza fisica accentuata che permette una lettura

complessiva dell'insieme concede al contra­sto cromatico che Snyders fortemente ricerca, di annotare la netta e distinta corporei tà del singolo soggetto.

N o n a caso si è parlato di una composizio­ne basata su diversi centri nevralgici: così co­me la lettura dell'apparecchio inanimato co­nosce continui spostamenti, avanzamenti e r i torni perché l 'occhio possa coerentemente essere padrone del tut to, analogamente alcu-

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tav. 43 - Frans Snyders, coli. priv.

ne figure periferiche rispetto all ' impianto centrale assumono progressivamente i l ruolo di calibrato disturbo rispetto alla centralità, amplificano i l percorso visivo fino a rendere la periferia altrettanto importante rispetto al prevedibile «cuore» della composizione: in entrambi i casi illustrati la figura umana, colta in un analogo atteggiamento di «messa in mostra» teatralmente rivolta verso lo spetta­tore, è illustrata a tre quarti al di là del tavolo

imbandito e collocata in una posizione forte­mente laterale rispetto all ' impianto. In en­trambi i casi ancora i due soggetti da preda esibiti dall 'uomo partecipano figuralmente della parte più alta dell'apparato disposto sul tavolo, costituendo i l necessario legame fra i due universi messi a confronto. Ma l'esplora­zione delle «periferie» dei quadri riserva altre sorprese: se nel dipinto di tav. 42 oltre i l bor­do del tavolo, in basso, possiamo osservare i l

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nervoso estendersi dell'apparecchio, mi¬schiando code, tentacoli e teste ancora rigida­mente erette, nel dipinto dcHT'rmitage la par­te bassa del tavolo è occupata da una "figura animata- supplementare: la tensione divari­cante dei due cani che vengono colti oltretut­to in atteggiamenti assolutamente contra­stanti. Si è già precedentemente accennato, parlando del «tempo di posa» presente nel mondo della natura morta, alla predilezione-espressa da Snyders per la fissazione del­l'istantaneo sulla tela, sulla sua drammatic i tà in un contesto sostanzialmente immoto, de­stinato alla posa ferma. Aver collocato, una volta che si possa osservare i l complesso dell'immagine, il contrasto di pose alla perife­r i a della composizione rende funzionalmente conto del complesso di sollecitazioni che ven­gono messe in atto dal pittore.

L'aggressione, la minaccia, i l furto com­piuto, i l disastro della devastazione: anche se la pittura di Snyders sembra far esplodere l'esuberanza e la vitalità di una società af­fluente, i temi frequentemente trattati, pur filtrati attraverso lo spostamento dall 'uomo all'animale, costituiscono, almeno dal punto di vista drammatico, una costante carrellata fra istinto non represso e punizione incom­bente, tra errore e danno, che assume la cata­strofica sovrabbondanza del cestino rovescia­to e della più intima, ma altrettanto evidente, tensione di sguardi fra i due antagonisti, l'ani­male colto nell'atto proibito e i l guardiano, come nella composizione n. 100, che confina lo scontro nel registro basso della scena.

Si p u ò parlare, nel modo di procedere di Snyders, di un andamento cinematografico che dal campo lungo passa al primissimo pia-

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no: i l d ipinto n. 101 riprende della grande composizione precedente alcuni particolari, assemblandoli in uno spazio più ridotto, d i ­mensionato se vogliamo allo standard abitua­le della natura morta: come se i l particolare della ceramica orientale e del garofano che campeggia nel mezzo prima in bilico fra la va­rietà della cacciagione, trovasse una nuova collocazione accanto a un moderato e ridotto campionario di selvaggina e la cesta ricolma di frutta, depressa nella posizione laterale e ta­gliata nella figura del dipinto n. 100, progres­sivamente diventasse protagonista della scena per poi conoscere spostando «inquadratura» e «tempi di posa» nel dipinto n. 102 una nuova traumatica aggressione. I l riferimento teatra­le, ma forse ancora più adeguato quello cine­matografico, sembrano assumere un rilievo più stringente della analogia «suggestiva», o peggio del filtro di lettura attualizzante.

Si è parlato costantemente in queste pagi­ne di «ricorrenza» di figure acquisite nella tra­dizione o all 'interno dell 'immaginario del singolo pittore, di come cioè i l modo di pro­cedere del pittore possa conoscere ripetizioni spesso esatte, dipendenti dalla medesima po­sa. Snyders non sfugge alla regola ma il suo modo di concatenare dipinto a d ipinto sem­bra rispondere a un processo temporale co­stantemente rinnovato, una sorta di «catena» tematica che, nel progredire del tempo, nel variare del punto di vista lontano o vicino, ancora nello spostamento laterale, in una sor­ta di carrellata segmentata, aggiunge alla ripe­tizione un evidente elemento di novità. In al­t r i termini i l medesimo soggetto - e per l'esu­beranza dei temi probabilmente ciascuno può eleggere un proprio protagonista da privile-

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105 - Frans Snyders, ubic. ignota.

giare - incontrato nel pr imo episodio ritorna in contesti contigui ma diversi, accentuando quella precarietà cui si è fatto riferimento af­frontando le presenze «animate» nei quadri di natura morta di Snyders.

Il cesto di v imini , che precedentemen­te troneggiava immoto, conosce nel dipinto n. 102 i suoi trasgressori in acuta tensione: quello che noi cogliamo è un momento suc­cessivo rispetto al crimine avvenuto. La scim­

mia, in una costanza iconografica sottolineata dalla sua fortuna a partire dall'immaginario medievale, è a un tempo, come tradizional­mente ogni animale, esempio dell'istinto che i l peccato disciplina con la catena, a un tem­po, nella sua capacità imitativa del comporta­mento umano, ne rappresenta la caricatura più convincente e calzante, rasentando bibli­camente i l «diabolico».

I n due dipint i , evidentemente dipendenti

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l 'uno dall'altro (n . 104 e tav. 43) Snyders co­glie, di una medesima scena che sembra esor­dire, nella parte sinistra, dall'immagine in po­sa del n. 101, due fasi diverse, spostando l'at­tenzione da una parte all'altra del piano d'ap­poggio. Quello che risulta essere figura cen­trale nel secondo quadro (la scimmia colta nell'acrobatico possedere la totalità dell'aper­tura della cesta) diventa nel primo quadro elemento periferico, tagliato traumaticamen­te, per lasciare spazio a una imbandigione e alla fotogenia del contendente che invece co­nosce, nel precedente dipinto, la già ricordata soluzione della mutilazione.

La ripetizione di soluzioni già adottate viene utilizzata da Snyders per dipanare una intricata matassa narrativa, tesa nel comples­so a evidenziare la fragilità momentanea, an­

che la contraddi t tor ie tà degli istanti che l'os­servazione registra; quasi che i «disastri" della guerra- che Rubens recitava nelle sue tele alle­goriche conosceressero una loro traduzione-in linguaggio humblt da parte del generista.

E l'assunto «teatrale» con cui abbiamo cer­cato di leggere alcuni esiti di Snyders, se fre­quentemente ha colto l'aspetto «frammenta­rio» e momentaneo dell'architettura e dello spazio impaginati - si veda a questo riguardo la «parata" di soggetti inanimati che viene ostentata in una forzatamente voluta orizzon­talità dell'apparato nel dipinto n. 105 - sembra essere la chiave più conveniente con cui leg­gere un episodio certamente importante nella storia della natura morta del N o r d , ma carat­terizzato da peculiarità che ne rendono singo­lare la fisionomia.

J A N F Y T

L'ambiente di Anversa, ma a esso occorre aggiungere Madrid, Parigi e la stessa Italia, re­cepisce la «grande maniera» di Frans Snyders come svolta fortemente innovativa: se in città comunque una fattura per così dire tradizio­nale della natura morta cont inuerà autono­mamente o sarà limitatamente toccata, la scel­ta del grande formato e della ampiezza dell'apparecchio si molt ipl icherà nelle opere degli allievi, pr imo fra tu t t i Jan Fyt.

Dopo l'apprendistato presso Hans van

der Berch e successivamente presso Snyders, Fyt è successivamente a Parigi, e in Italia per rientrare a Anversa nel 1641. Del repertorio inaugurato dal suo maestro viene recepito l'aspetto spettacolare dell 'imbandigione, la sua complessi tà architettonica, pur nella scel­ta di figure complessivamente più contenute. All'esplosione centrifuga del pr imo si deve sostituire una organizzazione maggiormente concentrata, ruotante intorno a un «centro» visivo non più moltiplicato. Si vuol dire che

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tav. 44 - Jan Fyt, con. priv.

frequentemente Fyt organizza l'apparato sul tavolo a partire da una figura principale, evi­dente anche nella sua distinzione cromatica rispetto al resto dei soggetti presenti; questa figura di partenza conosce poi la consueta ag­gressione che amplifica architettonicamente la scena, fino a occupare buona parte del cam­po. Si veda a questo proposito il modo con

cui Fyt, nella «natura morta» di tav. 44, realiz­za l'impianto a partire dal forte contrasto cro­matico fra i due uccelli adagiati; come poi, per indicare il «modo» compositivo del pitto­re, una analoga figura di base venga amplifica­ta dall'associazione di un secondo «nucleo» visivo realizzato dalla cesta di vimini e dalla frutta nel dipinto n. 106.

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106 -Jan Fyt, coli. priv.

Differentemente da Snyders, che privile­gerà una «atmosfera» chiara, Fyt ritaglia l'ap­parato rispetto al fondo con una forzata con­trapposizione tra luce e ombra, alludendo in questo modo a una «indeterminatezza» dello spazio lontano e realizzando una «incande­scenza» del vicino da cui non deve essere estranea l'esperienza visiva che i l pittore com­pie nel suo tour in Italia e in Francia.

I l gusto internazionale espresso da Fyt e la squillante materia cromatica, realizzata con una stesura sovrabbondante, contribuiranno a rendere duratura la fortuna della produzio­ne del generista, sia pure letto nell'ottica par-zializzante dello specialista nel riprodurre ani­mali, vivi o mor t i che siano. Da questo punto di vista possono essere indicate due linee in­terpretative sulla vicenda pittorica di Fyt: da una parte quella di uno «strappo» rispetto alla

tradizione, in sintonia e in relazione con i l magistero di Frans Snyders, nella ricorrenza di soggetti che accentuano l'aspetto «decora­tivo" della pittura; dall'altra - e sarà per esem­pio la traiettoria proposta da Cìrimm (1977) -invece una lettura ancora «simbolica" dell ' im­maginario dipinto, dove la stabilità dei dati emblematici attribuibili ai singoli soggetti si sposa con l'esuberanza della fattura cromatica e dell'impaginazione. Ne l pr imo caso p u ò giocare a favore la già ricordata e longeva «for­tuna» del pittore che oltrepassa i l im i t i di pro­duzione e di gusto per i l d ipinto di natura morta: nel secondo la riflessione critica che da quarantanni a questa parte cerca di interpreta­re i l soggetto stesso della natura morta come riflessione sul mondo e sull 'uomo, a partire dalla estrapolazione e dalla esaltazione di un ambito particolare come l'arredo circostante e i suoi protagonisti.

Le due anime ora ricordate probabilmente agiscono contemporaneamente senza neces­sariamente eliminarsi del tut to: certo i l «ridi-scgno» a cui Fyt sottopone i soggetti replicati, l'invadenza di una attenzione che dall'analisi del dettaglio è passata alla ri-creazione del sensibile, del percepibile - si noti come Fyt modelli le fattezze e le materie diverse della cacciagione deposta sul piano - sono termini inevitabili che implicano una sensibilità di­versa rispetto allo stesso concepirsi come pit­tore. Fra tradizione e innovazione oltretutto, i l caso in esame, almeno dal punto di vista dell'impaginazione e delle dimensioni del di­pinto, sembra configurarsi come una rilettura del passato, della tradizione, più che una ulte­riore spinta in avanti dopo lo sconvolgimen­to nell 'immaginario proposto da Snyders.

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107 - Adriaen van Utrecht, coli, priv

A D R I A E N V A N U T R E C H T

Anche per Adriaen van Utrecht, i l secon­do pittore che in questa occasione possiamo associare alla «corte» di Frans Snyders, o co­munque caratterizzato da una dipendenza te­matica rispetto al maestro, l'esordio è quello del «giro d 'Europa», fra Germania, Francia e Italia, che si conclude con i l rientro a Anver­sa nel 1625, all'atto della sua elezione a

maestro della gilda cittadina. Se Fyt dimostra una autonomia tematica

maggiore rispetto ai modelli del maestro, co­me dimensioni e come impianto, Utrecht replicherà con costanza soggetti mutuati dal­l 'immaginario d'origine: una maniera «chia­ra» prima di tutto, modulata su una escursio­ne di luce/ombra ridotta che permette l'intel-

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108 - Adriaen van Utrecht, 1642, Museo del Prado, Madrid.

ligenza del primo come del secondo piano; la scelta ancora dei grande interno di cucina o del «mercato» nella particolare accezione che abbiamo già discusso: la grande imbandigio­ne in primo piano e la figura umana a tre quarti al di là della tavola, in un impegno a volte della situazione ambientale architetto­nica, come nella tav. 45, dove quinta diagona­le e finestra sul paesaggio animano e moltipli­cano l'impegno compositivo.

La dipendenza rispetto ai modelli di Sny­ders può comunque presentarsi vincolata an­che alla replica di alcune figure del maestro, come facilmente leggibile nel documento firmato del 1642 ora al Museo del Prado (n. 108), o può invece risultare più limitata, come nel «mercato» inedito di tav. 45 che,

nella disposizione ordinata e cadenzata fra un primo e un secondo piano, disciplina l'esube­ranza e il disordine dei precedenti impianti.

Utrecht cerca - e il conforto a tale ipotesi può essere dato dal dipinto firmato n. 107 -una organizzazione degli elementi calibrata sul rapporto fra pieno e vuoto, su una lettura distinta e scalare dal proscenio al fondo, riac­quistando una sicurezza compositiva unitaria. Non che in questi esiti la lezione di Snyders sia assente, ma essa viene filtrata da una sensi­bilità più incline alla stabilità compositiva, a una riacquistata articolazione dello spazio e delle sue scansioni.

E sufficiente osservare come Utrecht, nel già citato «mercato», selezioni e ponga le di­verse figure della frutta e degli ortaggi in base alle loro qualità formali, proiettando alterna­tivamente verso l'esterno, in aggetto, e verso l'interno, vettori direzionali o punti di stazio­ne centripeti che costituiscono espliciti ri­chiami a una tradizione impaginativa del sog­getto inanimato precedente alla rivoluzione messa in atto da Snyders. La possibilità di scomporre in singoli episodi l'intero appara­to, la constatazione della relazione sintattica che si instaura fra elemento e elemento fino a determinare l'intero, sono caratteri della composizione che Utrecht, almeno in questo frangente, usa frequentemente.

L'ordine quasi geometrico con cui l'intero accumulo viene immaginato si incrocia con una lezione «scenografica» dell'intero dipinto che risulta sovrabbondante dal punto di vista delle citazioni ambientali: da quelle artificiali della quinta architettonica e dello sfonda­mento verso il paesaggio nel fondo, già citate, alla presenza naturale che incornicia in modo

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tav. 45 - Adriaen van Utrecht, coli. priv.

frammentano i l perimetro della composizio­ne. Avvicinamento in un caso, con i l tavolo i l cui bordo coincide con i l l imite basso della composizione rendendo i l piano immediato e diretto protagonista della scena; allontana­mento nell'altro, distanza e intervallo fra l'os­servatore e i l fondo, che suggerisce un «al di fuori» della stanza, e quindi amplifica uno spazio comunemente ridotto e l imitato.

Ma è da sottolineare a questo proposito come la produzione di Utrecht, dalle cucine

ai mercati, alle composizioni floreali, possa inclinare anche verso i l soggetto d'ambiente con figure, testimoniando in questo modo una fisionomia della competenza pittorica di­versa rispetto a quella frequentemente incon­trata in queste pagine. Si vuol dire che la le­zione di Anversa alla metà del secolo può co­noscere, accanto alla cont inui tà dello speciali­sta, anche i l superamento delle distinzioni, della frammentazione delle competenze e del­le abilità nella replica del naturale.

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J A N V A N KESSEL

Nel 1645 Jan van Kessel, figlio del ritratti­sta Hieronymus e nipote di Jan Brueghel i l vecchio, viene registrato nella gilda di Anver­sa come «pittore di fiori»; ma la definizione può risultare determinata non solo dalla fre­quenza con cui i l pittore replica tale soggetto ma anche dalla ingombrante parentela, tanto più forte quanto si pensi alla cont inui tà della scuola del generista protetto del cardinal Bor­romeo.

La produzione di Kessel infatti, sia dal punto di vista tematico, sia dal punto di vista della fattura, si presenta «camaleontica» per usare una felice espressione di Bergst ròm 1971. A l soggetto di fiori , che Kessel repliche­rà su tela recependo le figure mutuate dalla grande tradizione dei pi t tori fiamminghi, so­prattutto Daniel Seghers, si devono aggiun­gere i l ciclo dei «Continenti» nei quali i l pit to­re avrà modo di spaziare in tu t t i i campi che la pittura fiamminga aveva separatamente svi­luppato, dall'interno della Wunderkammer, al

paesaggio, alla natura morta. Esercizio repli­cativo sul piano tematico, virtuosistica capa­cità di concentrare nel r idot to spazio della la­stra di rame una folla di soggetti r i tratt i nella complessi tà delle fisionomie: se si legge in questa prospettiva la figura centrale dell'«eu­ropa» del Bayerische S taa tsgemàldesammlun-gen di Monaco di Baviera, i «quadri» nel qua­dro che Kessel colleziona nella stanza e alle pareti, costantemente una «autocitazione» che culmina nella replica del rame di «Insetti, rettili e conchiglie» del 1657 con la firma dell'autore realizzata con le pose degli animali viventi , sono spunti per una ulteriore minia­turizzazione delle immagini .

Kessel sembra allora riproporre, nella cita­zione come nella attività diretta, una indagine-sistematica del mondo naturale che era stata fra le mosse iniziali dell'emergere, fra la fine del X V I secolo e quello successivo, la prima stagione della natura morta: l'enciclopedismo di un Savery, di un Hoefnaghel e dello stesso

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tav. 46 - Jan van Kessel, Quattro interni di cucina, coli. priv.

Jan Brueghel i l vecchio viene riproposto in una vena ironica, incline alla bizzaria, che la distanza cronologica dagli esiti citati p u ò le­gittimare.

La produzione di Kessel legata al rame, quindi alla dimensione ridotta e all'abilità della miniatura, sembra porsi allora in una al­ternativa fra replica, e quindi divulgazione, di soggetti «noti», dal già citato Seghers, a Jacob van Es, a Frans Snyders, e capacità del

oollezionatore di concentrare tale accumulo sovrabbondante nella necessaria riduzione della scala. I due grandi rami della Panphily Doria già citati in altra occasione (Bergamo 1983, n. 185) costituiscono da questo punto di vista un esempio cardinale della capacità del pittore di aggregare nella coerenza della medesima tavola, figure, episodi, che presi frequentemente in prestito da altri pi t tori , co­stituiranno lo spunto per una produzione di

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soggetti autonomi, di più modeste* propor­zioni, che Kessel svilupperà nel corso della sua attività. E a tale produzione divulgativa non sarà estranea l'attività del figlio Jan l i che replicherà adeguatamente l'immaginario sin­tetico proposto dal padre.

Alla fase matura di quest'ultimo devono essere accostati i quattro rami, evidentemente coordinati fra loro, che vengono illustrati in questa occasione (tav. 46). Caratterizzazione dell'ambiente prima di tutto, esaltato ulte­riormente dalla lettura sincronica e composta delle immagini: in questa occasione Kessel parte da un punto di osservazione lontano r i ­spetto all'apparato disposto sul terreno, esal­tando per ampiezza e per complessità i valori spaziali dell'ambiente costantemente ritratto con aperture frontali o laterali verso l'esterno. I I senso di distanza e di ampiezza della scena ritrattata viene ulteriormente accentuato dal pittore collocando in secondo piano e sul tondo le frutta e i pesci della prima coppia, la cacciagione nella seconda serie: i l pavimento vuoto in proscenio costituisce una figura iso­lante che si collega uniformemente con le mura periferiche della stanza utilizzando ol­tretutto una cromia omogenea.

Come nell'universo snyderiano, ma con soluzioni che ampliano l'orizzonte a autori e

sensibilità diverse come Clara Peeters e Pieter Claesz., Jan van Kessel associa alla presenza immota del vegetale e dell'animale cacciato o pescato, le figure vi ve, dal gatto proteso al fu rtt i e sporgente dalla finestra alla lentezza della tartaruga, all 'incontro immoto fra la coppia di galli e i l tacchino, alternando la provviso­rietà della posa del mondo vivente alla preca­rietà drammatica dell'animale appeso per le zampe posteriori, al pesce sparso disordinata­mente sul pavimento vicino alla cesta ricol­ma. Ma una riflessione sulla scenografìcità e sulla teatralità della natura morta all'epoca della matur i tà è già stata condotta a termine in occasione della discussione sul ruolo e sull'immaginario di Snyders a Anversa.

Richiamarla ancora analizzando un «fram­mento» significativo dell'ampia produzione tematica di Jan van Kessel costituisce una ul­teriore dimostrazione della capacità ricettiva e divulgativa messa in atto dal pittore. Aven­do nella precedente situazione richiamato i l problema del dipinto di grandi dimensioni, a rilievo ambientale, dover affrontare impianti analoghi e tematiche similari a proposito di d ip in t i di ampiezza particolarmente ridotta è indicazione significativa del carattere espan­sivo dell 'immaginario di cui stiamo discu­tendo.

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CORNELIS DE BRIER

La nostra ricognizione su alcuni esempi di natura morta dell'insediamento fiammingo si conclude con un soggetto, quello della Vani­tas, che, dal punto di vista tematico, risulta es­sere ricorrente come ideologica giustificazio­ne della stessa selezione nei soggetti disposti sul piano ma che, per quanto riguarda stretta­mente i l soggetto legato alla «natura morta con teschio», dopo l'avventura in terra olan­dese fra Leida e Haarlem dagli anni venti agli anni trenta, viene vitalizzato in Anversa a opera di Jan Davidsz. de Heem e, dopo la me­tà del secolo, dal magistero di Cornelius Nor-bertus Gijsbrechts che dal 1659 risulta iscritto nella gilda della città.

La formula impaginativa che diventa vin­cente è quella del grande formato e dell'espo­sizione, associata al reperto umano, di un ap­parecchio particolarmente sontuoso, in una concentrazione fra ricchezza, bellezza e fragi­lità, deperibilità. Si tratta in altri termini della contaminazione fra la precedente «Vanitas»,

contenuta come scenografìa e come arredo, e la pronk still-life, la «natura morta da parata» realizzata nella dilatazione ambientale che sembra essere caratteristica del gusto fiam­mingo alla metà del secolo.

Per quant i tà e varietà di suppellettili la scena si presenta come una sintesi disordinata delle presenze che si sono ripetute nelle di­verse specializzazioni della natura morta: la composizione di fiori, la frutta, la suppelletti­le metallica, gl i strumenti musicali, che pote­vano anche associarsi nel frequente soggetto dei «cinque sensi», ritornano quantitativa­mente aumentati nel grande apparecchio. All'ampiezza dell'elenco occorre aggiungere una varietà di pose, una aggressività dell'accu­mulo che conosce nel concentrato della scena un considerevole ventaglio di giaciture, di so­vrapposizioni come di equilibri precari.

I l dipinto da cui abbiamo preso le mosse (tav. Al) è firmato C D . Brier e è datato 1658, in una contingenza precoce quindi rispetto al

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109 - Franciscus Cìijsbrechrs, Vanitas, coli. priv.

gusto per la «grande vanitas» che conoscerà la sua stagione quantitativamente più rilevante dagli anni sessanta del secolo.

Con insistenza Brier - i cui dati anagrafici sono incerti potendo probabilmente identifi­carlo con un pittore nato a Anversa nel 1634/ 35 e di cui conosce un secondo dipinto, data­

to 1650 realizzato «alla maniera» di Jan Da-vidsz. de Heem (Amsterdam, 1970, n. 12) -colleziona sul piano d'appoggio principale e su quelli aggiunti, la sedia in primo piano, lo stipetto in secondo, il vasellame prezioso, dalla coppa sbalzata posta al centro e al verti­ce della composizione, al piatto metallico il

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tav. 47 - Cornelis de Brier, Vanitas, firmato, 1658, coli. priv.

cui bordo virtuosisticamente moltiplica i r i ­flessi, le apparenze, fornendo del senso della vista e del tatto una immagine caleidoscopica e contradditoria.

E comunque sempre nel continuo raffron­to fra i l teschio collocato in posizione stabile e centrale e le diverse suppellettili che si ag­

gregano sul piano d'appoggio che i l sistema impaginativo trova la sua conferma ideologi­ca: viene in altri termini fortemente riaffer­mato quel sentimento di «eguaglianza» a di­spetto delle fisionomie, delle funzioni, delle responsabilità diverse che i vari elementi pre­senti suggeriscono.

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tav. 48 - Fiandre, XVI secolo, pagina miniata dall'Ufficio dei defunti, coli. priv.

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A dispetto dell'assunto ammonitore che la «grande vanitas» ostentatamente contrae, i l tema avrà divulgazione e fortuna in campo internazionale, dal già citato Gijsbrechts che esporterà i l tema alla corte di Danimarca, al fi­glio Franciscus (n . 108) e alla stessa grande

fortuna che sarà conosciuta dalla natura mor­ta moraleggiante in Francia e in Spagna.

Ma questo sposta i confini cronologici e geografici con cui abbiamo cercato in questa occasione di circoscrivere un problema, altri­menti ramificato e di difficile ridisegno.

Alberto Veca

Luglio 1986

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