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Jean-Baptiste Monet, cavaliere di Lamarck (Francia, 1744-1829) Nato in una famiglia dalla lunga tradizione militare si distinse in battaglia combattendo con l’esercito francese, finchè una lesione lo costrinse ad abbandonare la carriera militare. A Parigi dal 1765 iniziò a studiare medicina e botanica ma le sue opere maggiori riguardano lo studio degli invertebrati, fino ad allora ritenuti poco degni di attenzione, di cui divenne il massimo esperto. Sviluppò la prima teoria evoluzionistica organica ma nel corso della sua vita il suo lavoro non divenne mai popolare a causa dell’osteggiamento di G. Cuvier che godeva, all’epoca, di una ben maggiore fama ed influenza in ambiente scientifico. La plasticità del vivente “A questo punto è necessario che mi spieghi sul senso che dò a questa espressione: Le circostanze influiscono sulla forma e sull'organizzazione degli animali, cioè esse, nella misura in cui cambiano, modificano proporzionalmente col tempo sia la forma che l'organizzazione strutturale stessa. È certo che se si prendesse quell'espressione alla lettera mi si attribuirebbe un errore; poiché, di qualsiasi genere possano essere le circostanze, esse non operano mai direttamente, sulla forma e l'organizzazione degli animali, alcuna qualsiasi modificazione. Ma grandi cambiamenti nelle circostanze portano gli animali a grandi cambiamenti dei propri bisogni, e simili cambiamenti nei bisogni ne portano necessariamente di corrispondenti nelle azioni. Ora, se i nuovi bisogni diventano costanti o almeno molto durevoli, gli animali prendono allora nuove abitudini, che sono tanto durevoli quanto i bisogni che le hanno fatte nascere. [...] Ebbene, da nuove circostanze che, divenute permanenti per una razza di animali, abbiano loro imposto nuove abitudini, che cioè li abbiano forzati all'abitudine di nuove azioni, risulterà l'uso prevalente di un organo piuttosto che di un altro, e in certi casi l'inizio della forzata inattività totale dell'organo che fosse divenuto ormai mutile. [...] I vegetali — che non possono muoversi, e quindi avere abitudini — da grandi cambiamenti nelle circostanze non subiscono variazioni meno evidenti nello sviluppo delle loro parti; quei cambiamenti fanno nascere e sviluppare certune di esse, mentre ne indeboliscono e ne fanno scomparire parecchie altre. Ma in questo caso tutto è operato attraverso i cambiamenti sopravvenuti nella nutrizione del vegetale, nei suoi assorbimenti e nelle sue traspirazioni, nella quantità di calorico, di luce, di aria e di umidità che riceve abitualmente; infine, nella supremazia che certi suoi movimenti vitali possono prendere sugli altri. [...] Ciò che la natura fa in molto tempo, noi lo facciamo quotidianamente variando improvvisamente le circostanze nelle quali un vegetale (e con lui tutti gli individui della sua specie) si trovava prima del nostro intervento. [...] II frumento coltivato (triticum sativum) non è forse un vegetale condotto dall'uomo allo stato in cui lo osserviamo oggi? Mi si dica in quale paese una pianta simile vive naturalmente, cioè senza essere la conseguenza di una sua coltivazione nelle vicinanze. Dove troviamo in natura i nostri cavoli, le nostre lattughe, ecc., con le modalità di struttura che essi hanno nei nostri orti? E non accade forse la stessa cosa anche per molti animali che l'addomesticamento ha cambiato o modificato considerevolmente? Quante razze diversissime di polli e di piccioni domestici ci siamo procurati, allevandoli in circostanze del tutto nuove per loro, e in paesi diversi dagli originari, razze che invano ci sforzeremmo oggi di ritrovare tali e quali in natura? [...] Per giungere a individuare le vere cause di tante forme diverse e di tante differenti abitudini di cui gli animali che conosciamo ci offrono gli esempi, bisogna ammettere che le circostanze in cui gli animali di ogni razza si sono successivamente imbattuti, diversificate all'infinito ma tutte in lento mutamento, hanno determinato per ciascuno di essi nuovi bisogni e, necessariamente, cambiamenti di abitudini. Una volta che si sia riconosciuta questa verità incontestabile, sarà facile vedere come

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Jean-Baptiste Monet, cavaliere di Lamarck (Francia, 1744-1829) Nato in una famiglia dalla lunga tradizione militare si distinse in battaglia combattendo con l’esercito francese, finchè una lesione lo costrinse ad abbandonare la carriera militare. A Parigi dal 1765 iniziò a studiare medicina e botanica ma le sue opere maggiori riguardano lo studio degli invertebrati, fino ad allora ritenuti poco degni di attenzione, di cui divenne il massimo esperto. Sviluppò la prima teoria evoluzionistica organica ma nel corso della sua vita il suo lavoro non divenne mai popolare a causa dell’osteggiamento di G. Cuvier che godeva, all’epoca, di una ben maggiore fama ed influenza in ambiente scientifico. La plasticità del vivente “A questo punto è necessario che mi spieghi sul senso che dò a questa espressione: Le circostanze influiscono sulla forma e sull'organizzazione degli animali, cioè esse, nella misura in cui cambiano, modificano proporzionalmente col tempo sia la forma che l'organizzazione strutturale stessa. È certo che se si prendesse quell'espressione alla lettera mi si attribuirebbe un errore; poiché, di qualsiasi genere possano essere le circostanze, esse non operano mai direttamente, sulla forma e l'organizzazione degli animali, alcuna qualsiasi modificazione. Ma grandi cambiamenti nelle circostanze portano gli animali a grandi cambiamenti dei propri bisogni, e simili cambiamenti nei bisogni ne portano necessariamente di corrispondenti nelle azioni. Ora, se i nuovi bisogni diventano costanti o almeno molto durevoli, gli animali prendono allora nuove abitudini, che sono tanto durevoli quanto i bisogni che le hanno fatte nascere. [...] Ebbene, da nuove circostanze che, divenute permanenti per una razza di animali, abbiano loro imposto nuove abitudini, che cioè li abbiano forzati all'abitudine di nuove azioni, risulterà l'uso prevalente di un organo piuttosto che di un altro, e in certi casi l'inizio della forzata inattività totale dell'organo che fosse divenuto ormai mutile. [...] I vegetali — che non possono muoversi, e quindi avere abitudini — da grandi cambiamenti nelle circostanze non subiscono variazioni meno evidenti nello sviluppo delle loro parti; quei cambiamenti fanno nascere e sviluppare certune di esse, mentre ne indeboliscono e ne fanno scomparire parecchie altre. Ma in questo caso tutto è operato attraverso i cambiamenti sopravvenuti nella nutrizione del vegetale, nei suoi assorbimenti e nelle sue traspirazioni, nella quantità di calorico, di luce, di aria e di umidità che riceve abitualmente; infine, nella supremazia che certi suoi movimenti vitali possono prendere sugli altri. [...] Ciò che la natura fa in molto tempo, noi lo facciamo quotidianamente variando improvvisamente le circostanze nelle quali un vegetale (e con lui tutti gli individui della sua specie) si trovava prima del nostro intervento. [...] II frumento coltivato (triticum sativum) non è forse un vegetale condotto dall'uomo allo stato in cui lo osserviamo oggi? Mi si dica in quale paese una pianta simile vive naturalmente, cioè senza essere la conseguenza di una sua coltivazione nelle vicinanze. Dove troviamo in natura i nostri cavoli, le nostre lattughe, ecc., con le modalità di struttura che essi hanno nei nostri orti? E non accade forse la stessa cosa anche per molti animali che l'addomesticamento ha cambiato o modificato considerevolmente? Quante razze diversissime di polli e di piccioni domestici ci siamo procurati, allevandoli in circostanze del tutto nuove per loro, e in paesi diversi dagli originari, razze che invano ci sforzeremmo oggi di ritrovare tali e quali in natura? [...] Per giungere a individuare le vere cause di tante forme diverse e di tante differenti abitudini di cui gli animali che conosciamo ci offrono gli esempi, bisogna ammettere che le circostanze in cui gli animali di ogni razza si sono successivamente imbattuti, diversificate all'infinito ma tutte in lento mutamento, hanno determinato per ciascuno di essi nuovi bisogni e, necessariamente, cambiamenti di abitudini. Una volta che si sia riconosciuta questa verità incontestabile, sarà facile vedere come

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nuovi bisogni abbian potuto essere soddisfatti e nuove abitudini acquisite, se si presta un po' di attenzione alle due seguenti leggi della natura, che l'osservazione ha sempre constatato. Prima Legge. In ogni animale che non abbia raggiunto il termine del proprio sviluppo, l'impiego più frequente e sostenuto di un qualsiasi suo organo rafforza a poco a poco quell'organo, lo sviluppa, lo ingrandisce e gli conferisce un potere proporzionale alla durata del suo uso: mentre la mancanza costante di uso lo indebolisce insensibilmente, lo deteriora, diminuisce progressivamente le sue facoltà e finisce per farlo scomparire. Seconda Legge. Tutto ciò che la natura ha fatto acquisire o perdere agli individui attraverso l'influenza delle circostanze cui la propria razza si trova da lungo tempo esposta, e di conseguenza per effetto dell'uso predominante di quel tal organo, o per la mancanza costante di impiego di quel tal altro, essa lo conserva attraverso la riproduzione nei nuovi nati, purché i cambiamenti acquisiti siano comuni ai due sessi, o almeno a coloro che hanno generato i nuovi individui. [...] La talpa, che per abitudini sue proprie fa molto poco uso della vista, ha occhi piccolissimi e a malapena visibili, per il fatto che essa esercita molto limitatamente quell'organo. [...] Poiché i serpenti hanno preso l'abitudine di strisciare sul terreno e di nasconder si sotto l'erba, a seguito di reiterati sforzi per allungarsi in modo di superare stretti passaggi, il loro corpo ha acquisito una considerevole lunghezza, per niente proporzionata alla sua sezione. Delle zampe sarebbero state del tutto inutili a quegli animali, e di conseguenza sarebbero rimaste senza impiego: poiché zampe lunghe avrebbero nociuto al loro bisogno di strisciare, e zampe più corte sarebbero state incapaci di muoverne il corpo, non potendo essere che in numero di quattro. Così, la mancanza di uso di quelle parti, rimasta costante nelle varie razze dei rettili, le ha fatte scomparire del tutto, sebbene esse rientrassero realmente nel corrispondente piano organizzativo. [...] Ma non basta spiegare la causa che ha portato al presente livello di organizzazione gli organi dei diversi animali, livello che scopriamo sempre lo stesso in quelli della medesima specie; dobbiamo anche far vedere i cambiamenti di stato operatisi negli organi di uno stesso individuo durante la sua vita, cambiamenti che sono maturati solo per un corrispondente grosso cambiamento nelle abitudini particolari degli individui della sua specie. [...] È noto che i grandi bevitori, gli alcolizzati cronici, consumano pochissimi alimenti solidi; essi non mangiano quasi affatto e bastano, a nutrirli, le abbondanti e frequenti libagioni. Ebbene, siccome gli alimenti liquidi, e soprattutto le bevande alcoliche, non restano per molto tempo né nello stomaco né negli intestini, lo stomaco e il resto del canale intestinale perdono, nei bevitori e nelle persone sedentarie continuamente applicate a lavori mentali, e abituatesi a ingerire solo pochi alimenti, l'abitudine a esser dilatati. Poco a poco e a lungo andare il loro stomaco si è fatto più stretto e i loro intestini si sono accorciati. [...] Abbiamo appena visto come il disuso di un organo lo modifichi rendendolo più debole, e finisca per annullarlo. Mostrerò ora che l'uso continuato di un organo, per gli sforzi compiuti al fine di trame il massimo profitto in circostanze che lo esigono, fortifica, amplia e ingrossa quell'organo, o ne trova di nuovi che possano svolgere funzioni divenute necessarie. L'uccello che il bisogno attira nell'acqua perché solo lì può trovare la preda che lo fa vivere, scosta le dita delle zampe, quando vuoi nuotare per spostarsi. La pelle che unisce quelle dita alla loro base contrae, attraverso la continua ripetizione del tentativo di allargamento, l'abitudine a distendersi; così, col tempo, si sono formate come oggi le vediamo quelle larghe membrane che uniscono le dita delle anatre, delle oche, ecc. Gli stessi sforzi fatti per nuotare, cioè per spingere indietro l'acqua in modo di avanzare e di muoversi in essa, hanno in pari misura disteso le membrane che sono tra le dita delle rane, delle testuggini marine, della lontra, del castoro, ecc. Al contrario, l'uccello che il proprio modo di vivere abitua a posarsi sugli alberi e che proviene da individui che avevano, tutti, contratto questa abitudine, ha necessariamente le dita dei piedi più lunghe, e conformate in modo diverso da quelle degli animali acquatici di cui abbiamo appena detto. Le sue unghie si sono col tempo allungate, affilate e incurvate a mo' di gancio, per poter meglio afferrare i rami sui quali l'animale si posa tanto spesso. [...]

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I serpenti, che strisciano sulla superficie del terreno, avevano bisogno di vedere principalmente gli oggetti che si trovano in alto, cioè al di sopra di loro. Quel bisogno ha dovuto influire sulla posizione dell'organo della vista di questi animali, e in effetti essi hanno gli occhi collocati sulle parti laterali superiori della testa, in modo da poter vedere facilmente ciò che si trova al di sopra o lateralmente, a scapito della possibilità di scorgere ciò che è davanti a breve distanza. Tuttavia, obbligati a supplire alla propria incapacità di comprensione visiva dei corpi che si trovano davanti alla testa e che potrebbero ferirli se avanzassero, hanno pur sempre potuto tastarli con l'aiuto della propria lingua, che sono stati costretti ad allungare con tutte le loro forze. Quest'abitudine ha contribuito non solo a rendere in essi la lingua sottile, molto lunga e contrattile, ma anche a obbligarla a dividersi (è il caso della maggior parte delle specie) per poter tastare più oggetti insieme; ha pure fatto sì che all'estremità del loro muso si formasse un'apertura tale da consentire il passaggio della lingua senza che fossero costretti continuamente ad aprire le mascelle. [...] I ruminanti, non potendo usare i piedi altro che per sostenersi, e avendo poca forza nelle mascelle (esercitate solo a tagliare e triturare l'erba), non possono battersi che a colpi di testa, dirigendone l'uno contro l'altro la parte superiore. Nei loro accessi di collera, frequenti soprattutto fra i maschi, il proprio sentimento interno si sforza di dirigere in particolar misura i fluidi appunto verso la sommità della testa, e in quella regione avviene negli uni una secrezione di materia cornea, negli altri di materia ossea fusa con materia cornea, che danno luogo a protuberanze solide: da ciò l'origine delle corna, a volte ramificate, di cui la maggior parte di quegli animali ha armata la testa. Parlando delle abitudini, è interessante osservarne le conseguenze nella particolare forma e statura della giraffa (camelo pardalis): è noto che quell'animale, che è il mammifero più grosso, abita l'interno dell'Africa, e vive in luoghi dove un terreno quasi dovunque arido e non erboso lo obbliga a brucare il fogliame degli alberi e a sforzarsi continuamente di arrivare tanto in alto. Da quest'abitudine, mantenutasi per lungo tempo in tutti gli individui della sua razza, è risultato che le sue zampe anteriori sono diventate più lunghe di quelle posteriori, e che il suo collo si è tanto allungato da permetterle di alzare la testa toccando i sei metri di altezza (quasi venti piedi) senza drizzarsi sulle zampe posteriori. [...] Quando la volontà spinge un animale a compiere una qualsiasi azione, gli organi che devono eseguirla sono spinti a farlo dall'afflusso di fluidi sottili (di fluido nervoso), i quali divengono la causa determinante dei movimenti che l'azione di cui abbiamo detto esige. [...] Ora, ogni cambiamento acquisito in un organo, attraverso l'uso abitudinario sufficiente per averlo operato, si conserva poi con la generazione, sempre che sia comune agli individui che, mediante la fecondazione sessuale, concorrono insieme alla riproduzione della loro specie. Infine, quel cambiamento si diffonde e passa così in tutti gli individui che si succedono e che sono sottoposti alle stesse circostanze, senza che siano stati obbligati ad acquisirlo proprio per la via che l'ha creato. [...] I diversi animali hanno ciascuno, secondo il loro genere e la loro specie, certe abitudini particolari, e un'organizzazione che si trova sempre perfettamente in rapporto con quelle abitudini. Dalla considerazione di questo fatto sembra che si sia liberi di accettare sia l'una sia l'altra delle due conclusioni che seguono, e che nessuna di esse possa essere dimostrata. Conclusione ammessa fino ad oggi: la natura (o il suo Autore), nel creare gli animali ha previsto tutti i tipi possibili di circostanze in cui quelli avrebbero dovuto vivere, e ha dato a ogni specie un'organizzazione costante e una forma determinata e invariabile, che la obbliga a vivere nei luoghi e nei climi in cui effettivamente la ritroviamo, e a mantenervi le abitudini che le riconosciamo proprie. Mia conclusione particolare: la natura, producendo successivamente tutte le specie di animali, e iniziando dai più imperfetti (i più semplici) per concludere la sua opera coi più perfetti, ha complicato gradatamente la loro organizzazione, e quando questi animali si sono diffusi in tutte le regioni abitabili del globo, ogni specie ha ricevuto dall'influenza delle circostanze nelle quali si è

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imbattuta le abitudini che le conosciamo, e le modificazioni nelle proprie parti che l'osservazione ci mostra in essa. [...] Per dimostrare infondata questa seconda conclusione bisogna, intanto, provare che ogni punto della superficie del globo non varia mai nella sua situazione ambientale; e provare poi che nessuna parte degli animali subisce, neanche dopo lunghi spazi di tempo, modificazioni dovute al cambiamento delle circostanze e alla necessità che li obbliga a un tipo di vita e di azione diverso da quello che era loro abituale. [...] Tutto concorre dunque a provare il mio asserto, e cioè: che non è affatto la forma, del corpo intero o delle sue parti, ad aver dato luogo alle abitudini e al modo di vivere degli animali, ma che sono al contrario le abitudini, il modo di vivere e tutte le altre circostanze influenti, ad avere col tempo definito la forma del corpo e delle parti degli animali. Con nuove forme sono state acquisite nuove facoltà, e a poco a poco la natura è giunta a plasmare gli animali così come li vediamo oggi”. (J.-B.-P.-A. Monet de Lamarck, Philosophie zoologique, trad. it. cit, pp. 147-50, 154-55, 158, 160-63, 165-67, 169-70, 172-74)